Dottorato, una nuova città, un'altra lingua, la solita caotica se stessa: "Vite in attesa", il romanzo d'esordio di Julia Sabina

Julia Sabina, copertina di "Vite in attesa"



Vite in attesa
di Julia Sabina
Garzanti, 2021

pp. 240
€ 15,20 (cartaceo)
€ 9,99 (ebook)


Maribel non ha scelto il dottorato di ricerca come via per affermarsi in campo accademico: l'ha tentato in posti diversissimi, cambiando appena il titolo del progetto, per andarsene da Madrid, dalla sua vita e dagli errori del passato. Quel che Maribel non sa ancora è che la sua proposta di progetto, così poco a fuoco, di cui non riesce a preparare l'indice, è un enorme specchio del caos che si porta dentro. Un titolo roboante e ben poco di strutturato dietro. Così è lei: bell'aspetto fuori e tanto ancora da dimostrare e dimostrarsi dentro. Poi certo, dimostrarselo in un nuovo paese, di cui si parla una lingua scritta sui libri, ma di cui si faticano a capire le battute e le espressioni idiomatiche, non è affatto semplice. 
A maggior ragione, se nello studentato di Lille c'è un grande via vai e dividi la camera con una studentessa ossessionata dalla carriera accademica, ma molto meno attaccata ai contenuti della sua ricerca. Paula - questo è il suo nome - è convinta che per affermarsi basti rimasticare in modo "scientifico" quello che hanno già detto altri, perché nessuno vuole ascoltare un discorso nuovo davvero, che sconvolgerebbe e basta. Ecco perché alla domanda di Maribel: «Non vorresti elaborare una teoria nuova nel tuo campo, tutta tua?», Paula risponde: «Che spiritosa!» (p. 35), e si addormenta ancora sorridendo. 

Il mondo accademico che emerge da Vite in attesa è in effetti piuttosto sconfortante: chi ci è passato sa come funziona, certo, ma nel romanzo l'autrice sceglie di evidenziare l'arrivismo, l'attesa infinita di chi aspetta un posto un po' più strutturato, il dissidio interiore dei dottorandi che devono cercare la propria ipotesi critica e dare vita a una tesi intera,... C'è anche molta solitudine, trappola in cui è facile in effetti impastoiarsi, se non si hanno concentrazione e determinazione, e Maribel non ce le ha. Innanzitutto, non crede in sé; inoltre, oltre a cercare di dimenticare l'ex che è rimasto in Spagna, Felipe, Maribel si innamora di un nuovo ragazzo, Guillaume, e la ricerca passa in secondo piano. Anche in questo caso, come per la tesi e come per il suo approccio alla vita, la "relazione" è puro sogno, che deve scontrarsi con la gretta concretezza del presente, molto meno romantico (basta un bacio per farle pensare «Eravamo complici. Da tanto. Per sempre», e poi ammettere: «Eravamo così ubriachi che inciampavamo ovunque», p. 97). 
A questo si aggiunge una costante precarietà: bisogna fare i conti con i soldi, che non sono poi tanti, ma soprattutto con l'alloggio. Se Maribel e Paula pensano di migliorare la propria condizione cercando una casa e uscendo dalla loro cameretta asfittica nello studentato, in realtà danno inizio a una rocambolesca avventura con gli affitti, e tante sono le case che si troveranno ad abitare, tra colpi di scena che hanno dell'assurdo (e spero, in effetti, che in Francia le agenzie immobiliari non lavorino così!). La sensazione nella protagonista è dunque quella di essersi mossa da Madrid per cercare la propria casa e di trovarsi invece a vagare, ancora e ancora, in case altrui. Unico punto fermo: portarsi appresso il meno possibile: 
La mia era un'esistenza leggera, quasi senza nulla. Erano in molti a sostenere che si trattava della scelta più ecologica, nonché la migliore per la mente: il minimalismo. Eppure io avevo un'altra sensazione: mi sembrava di scomparire a poco a poco. (p. 182)
Tra amicizie, feste clandestine, baci rubati, alcol e sigarette, Maribel deve fare i conti con chi vuole essere e anche su quanto vuole contare su se stessa. Vediamo fin dall'inizio che oscilla tra pensare di farcela e abbandonarsi allo sconforto per un nonnulla, o barattare il proprio corpo per un po' di spensieratezza. Se qualche volta Maribel pensa di mollare tutto - e in effetti è portata all'autosabotaggio - o minimizza il proprio lavoro, altre volte si misura con la frustrazione e con il desiderio di trovare il proprio posto nel mondo, a cominciare dall'accademia. E come? A tentoni, come ha fatto nelle prime pagine del romanzo? 
In quarta di copertina leggiamo che Julia Sabina, lei stessa accademica, "mette a nudo incertezze, dubbi e paure di un'intera generazione", ma c'è proprio da sperare in realtà che "metta a nudo incertezze, dubbi e paure di Maribel". Se restano universali le difficoltà di chi lascia il suo paese per fare ricerca all'estero (e soprattutto il forte gap linguistico viene raccontato molto bene), certe scelte totalmente irresponsabili e autodistruttive e le motivazioni con cui la protagonista si avvicina al dottorato sarebbero altamente preoccupanti, se estese a un'intera generazione. Insomma, Vite in attesa è un romanzo divertente, ma è una storia da leggere con un po' di spirito. Se avete trascorso almeno qualche anno nel mondo accademico, riconoscerete nella storia alcuni buoni esempi di professori, e proverete più volte il desiderio di scuotere forte Maribel e di farle presente che ogni momento sprecato nel mondo della ricerca significa perdere un'occasione immensa. E poi si gira pagina, per scoprire se lei se ne accorgerà prima che sia troppo tardi, perché la curiosità è in effetti quello che anima di più la lettura. 

GMGhioni