Cuore d’inverno, anima di primavera: “Il racconto d’inverno” di Shakespeare è l’«Old Tale» che non smette di far sognare ad occhi aperti il pubblico


Il racconto d’inverno
di William Shakespeare
Marsilio, marzo 2021

Traduzione di Alessandro Serpieri, a cura di Piero Boitani

pp. 384
€ 19 (cartaceo)


È Ermione, moglie di Leonte, re di Sicilia, a chiedere al figlio Mamilio di raccontarle una storia. «Un racconto triste è il migliore per l’inverno» (p. 119) risponde il figlio. Ed è da queste brevi battute che prende il titolo una delle ultime opere di William Shakespeare (datata tra il 1610 e il 1611), Il racconto d’inverno, una delle tante «Old Tales» che prendono vita nei testi del più conosciuto drammaturgo di sempre. Infatti, le antiche favole che re Lear promette di scambiarsi con Cordelia rappresentano molto bene l’ultima fase di creazione artistica di Shakespeare, la quale attraverso il racconto di vecchie storie vuole gettare luce sul “mistero delle cose” e della natura umana attraverso le atmosfere trasognanti e sospese dei mondi “altri” portati in scena dall’autore. Insieme a Pericle (1607), Cimbelino (1609) e La Tempesta (1611), Il racconto d’inverno viene classificato come romance o “dramma romanzesco” a causa della sua struttura narrativa e tematica. Con una nuova edizione edita da Marsilio e provvista di un’esauriente introduzione - firmata da Piero Boitani – che permette al lettore di cogliere gli aspetti più reconditi del testo, Il racconto d’inverno si ripresenta al pubblico italiano in tutta la sua magica bellezza e irresistibile fascino.

Il racconto d’inverno è prima di tutto un dramma sulla gelosia, sentimento che viene presentato in modo totalmente diverso rispetto a come appare, per esempio, nelle dinamiche tra Otello e Iago nell’Otello, oppure tra Iachimo e Postumo nel Cimbelino. È infatti la gelosia irrazionale e priva di fondamento – che Shakespeare riesce a ritrarre nei minimi dettagli e con una profondità psicologica che continua a sconvolgere i lettori di tutte le epoche - che pervade il re Leonte, ossessionato dall’idea che la moglie Ermione lo abbia tradito con l’amico d’infanzia Polissene, re di Boemia, e che Mamilio e il figlio che Ermione porta in grembo siano frutti dell’adulterio.
Non è nulla bisbigliare? Chinarsi guancia
contro guancia? Toccarsi naso con naso?
Baciarsi a labbra aperte? Arrestare la corsa
di una risata con un sospiro, segno infallibile
dell’onestà infranta? Cavalcare con un piede
l’altro piede? Rintanarsi negli angoli?
Desiderare orologi più veloci?
Ore, minuti? Mezzogiorno, mezzanotte?
E gli occhi di tutti con le cateratte, tranne i loro,
i loro soltanto, che vorrebbero, non visti,
fare le loro perfidie? È nulla tutto questo?
Be’, allora, il mondo, e tutto ciò che contiene,
è nulla, il cielo che ci ricopre nulla,
il re di Boemia nulla, mia moglie nulla,
e di nulla sono fatti questi nulla, se questo è nulla. (p. 97)
La gelosia si impossessa furiosamente di Leonte, oscurando la prima parte del dramma attraverso l’inverno che gli penetra improvvisamente nel cuore e che offusca i sentimenti per l’onesta Ermione. Impazzito, il re di Sicilia fa terra bruciata intorno alla sua vita: Ermione e Mamilio moriranno dal dolore causato dalle accuse, mentre Polissene scappa dalle trame omicide di Leonte. Prima di morire, Ermione dà alla luce una bambina che viene abbandonata nel regno di Boemia e successivamente adottata e allevata da un Pastore locale. Pentito, Leonte sarà schiavo per sedici lunghi anni di un dolore indicibile, in un continuo processo di tentata espiazione per i terribili crimini commessi. E se per i primi tre atti è il triste racconto invernale a regnare nella trama, il quarto atto introduce il lettore/spettatore allo sviluppo primaverile della vicenda in Boemia che vede come protagonista l’amore tra Perdita, figlia di Leonte, e Florizel, figlio di Polissene, incorniciato da scene festive, musiche, danze di satiri e intrecci comici che smorzano il polt tragico nel segno della futura riconciliazione che chiude la storia: tornati in Sicilia, i protagonisti troveranno la pace grazie alla figura di Paolina e alla sua arte magica che infonde vita nel freddo marmo della statua della regina Ermione, facendola tornare dal mondo dei morti e portando in scena il tema tanto amato da Shakespeare che fa della vita uno spettacolo teatrale illusorio.

Il racconto d’inverno è, forse, uno dei drammi più magici che Shakespeare abbia creato. Dal testo teatrale scaturisce infatti una irrefrenabile fantasia che dà vita alla più stravagante serie di incongruenze di tutto il suo corpus drammatico, facendosi gioco di ogni coerenza spaziale cronologica, mitica e immaginaria. Nel dramma, la Boemia si affaccia sul mare e le sue spiagge sono infestate da un orso assassino, mentre il tempo in Sicilia oscilla tra l’epoca classica degli oracoli di Apollo e l’atmosfera cattolica delle mysteries medievali, mentre in scena compaiono re e regine, principi e principesse, contadini e pastorelle, animali, fauni che ballano e tanti altri personaggi provenienti dal mondo tragico, pastorale e romantico. Ne risulta un vero e proprio pastiche teatrale in cui il susseguirsi delle incongruenze altro non serve che ad astrarre il dramma da se stesso e inserirlo in una dimensione magica, sognate e lirica. L’economia della storia oscilla tra il concetto freudiano di eros e thanatos, tra la pulsione di vita e quella di morte che si fa sinonimo dell’opposizione tra colpa e espiazione, tra morte e rinascita, tra caduta e risalita in cui tutti i personaggi sono coinvolti per poter raggiungere il lieto fine. Ricordando i versi conclusivi scritti da Percy Bysshe Shelley nella sua famosissima poesia “Ode al vento occidentale” (1820) «O vento, se l’inverno sta arrivando, / potrà la primavera esser lontana?», possiamo anacronisticamente interpretare il dramma shakespeariano attraverso questa chiave di lettura: Il racconto d’inverno è una storia con un cuore invernale ma che aspetta soltanto di essere sciolto dalla primavera della performance testuale e teatrale.

Nicola Biasio