«Sfrutto l'opportunità che questa città mi dà di raccontare storie»: con Maurizio De Giovanni per il suo "Troppo freddo per Settembre"


Troppo freddo per Settembre
di Maurizio De Giovanni
Einaudi, settembre 2020

pp. 255
€ 18,50 (cartaceo)
€ 10,99 (ebook)


- E che si deve fare, nonno, per capire se una disgrazia è una fortuna e una fortuna è una disgrazia? 
- Piccolina, si deve fare una cosa che quasi nessuno sa fare. Una cosa difficilissima, che si impara con fatica e sofferenza.
- Cioè? 
- Aspettare, amore mio. Si deve aspettare. (p. 6)

Da pochi giorni è arrivato in libreria un nuovo caso per Mila Settembre, l'assistente sociale che ha appassionato tanto i lettori da far sì che Maurizio De Giovanni decidesse di dedicarle una nuova storia. Troppo freddo per Settembre ci porta nella Napoli dei Quartieri Spagnoli, piena di contraddizioni e di vicende intricatissime: nel sottotetto di un palazzo viene rinvenuto il corpo del pensionato Giacomo Gravela, ex professore di Lettere. Inizialmente, tutti pensano che a causare la morte sia stata la stufa che l'anziano usava per scaldarsi, visti i giorni particolarmente freddi; poi, però, qualcosa attira l'attenzione del maresciallo Gargiulo e del magistrato De Carolis: Gravela giace sulla sua branda completamente vestito e con le scarpe! Per di più, la porta è stata chiusa dall'interno e il canale della stufa risulta ostruito. Che si tratti di omicidio? 

Quando si scopre che anche un ex studente del professore, Rosario, è appena uscito di prigione, dove era stato mandato proprio da Gravela, anni prima, ecco che spunta l'ipotesi di una vendetta d'onore. Che Rosario, erede di un importante ramo della malavita perché figlio di un camorrista e sposato con la figlia di uno degli camorristi più influenti, abbia eliminato il professore facendo sembrare il tutto una disgrazia? La madre di Rosario, ormai vedova, non ci crede e, non sapendo a chi rivolgersi - tutti a Napoli non vedono e non sentono, quando si tratta di famiglie così "delicate" -, piomba con tutta la sua disperazione nell'ufficio di Mina Settembre. E Mina, manco a dirlo, desidera scoprire la verità e aiutare così la madre affranta. Nessuno sembra capire la sua scelta: tutti, compreso il suo collega Domenico ("Mimmo") Gammardella, il ginecologo del centro, pensano che sia una follia lasciarsi invischiare in questioni che riguardano la camorra e attirarsi l'odio dei concittadini! Giorno dopo giorno, tuttavia, risulta palese sia a Mina sia a Mimmo che è impossibile ormai non lasciarsi coinvolgere dal caso... 

Nulla è cambiato e nulla cambierà: J.M. Coetzee, "Aspettando i Barbari"


Aspettando i Barbari (Waiting for the Barbarians, 1980)
di J.M. Coetzee
Traduzione di Maria Baiocchi
Einaudi, 2016

pp.198
€ 10,45 (cartaceo)
€ 6,99 (ebook)


Un non-tempo, un non-luogo. Questo il contesto in cui si sviluppa Aspettando i Barbari, il romanzo del 1980 che diede notorietà a livello planetario a John Maxwell Coetzee, scrittore di origine sudafricana che aveva all’attivo altri due titoli, precedenti di qualche anno.

Aspettando i Barbari si apre con l’immagine destabilizzante degli occhiali neri indossati dal Colonnello Joll, che dalla capitale dell’Impero arriva presso l’insediamento al confine per ispezionarlo in vista di una prevista offensiva contro i Barbari che incombono alle porte. Questo almeno è quello che il Colonnello sostiene, mentre spiega le ragioni della sua presenza al Magistrato, ossia colui che ha il compito di gestire e amministrare l’insediamento. 

Ritratto (corale) di una signora dell'arte: Elda Cerchiari Necchi nelle parole di chi "la conosceva bene"

Elda Mia.
Ritratto corale di Elda Cerchiari Necchi
a cura di Mariateresa Chirico, Emanuela Daffra, Silvia Mascheroni
Nomos Edizioni, 2020

pp. 238
€ 19,90 (cartaceo)

 

Il nome di Elda Cerchiari Necchi (Genova, 1924-Milano, 2019) potrebbe non dire molto al di fuori della cerchia degli addetti ai lavori dell’ambiente storico-artistico. Non ci sarebbe da stupirsi: si tratta, del resto, di una sorte piuttosto comune, e perlomeno in Italia, persino ai più importanti personaggi del settore, come in tempi recentissimi hanno ben dimostrato le differenti reazioni mediatiche alla scomparsa di Germano Celant prima e di Philippe Daverio poi. Più familiare ne diviene però la figura se la si associa a quella che è stata la sua prova più popolare e più diffusa sull’intero territorio nazionale, ovvero la firma, insieme con Pierluigi De Vecchi, del manuale di storia dell’arte Arte nel tempo, la cui prima edizione venne data alle stampe nel 1991 da Bompiani: un testo fortunatissimo, su cui generazioni di studenti della scuola superiore e dell’università hanno appreso a affinato le proprie competenze in materia, ma che fu solo uno, si badi, dei molti modi in cui “la Elda” declinò la sua passione nei confronti della bellezza. Per ricordarne la figura oltre ogni piagnucolante e retorico “coccodrillo”, e per raccontarla attraverso il filtro molteplice di chi a vario titolo ebbe modo di conoscerla e frequentarla nel corso della sua lunga vita, la casa editrice Nomos ha appena pubblicato Elda Mia, un volume che (come da sottotitolo) ne offre “un ritratto corale” e per nulla scontato. 

E tu sei un po' "quel tipo di donna"? Valeria Parrella racconta l'amicizia


Quel tipo di donna
di Valeria Parrella
HarperCollins, 24 settembre 2020

pp. 110
€ 16 (cartaceo) 



Quattro donne diversissime, due gemelli e due capricorno, ognuna con un vissuto fuori dal comune, apparentemente disordinato, o semplicemente non ordinario. Ecco chi sono le protagoniste di Quel tipo di donna, un racconto lungo o romanzo breve di Valeria Parrella, uscito da poco per HarperCollins. C'è chi di loro ha figli, chi si arrabatta per sopravvivere affittando stanze in una casa senza porte, chi ha paura di innamorarsi di nuovo,... Non sono donne che vivono relazioni tradizionali, né cercano una storia fissa, se non alle loro condizioni: sentirsi libere, anche insieme a qualcuno. Le protagoniste, escono da ciò che c'è di stereotipato e, per questo, di rassicurante, per affermare fortemente chi sono. Non guardano al futuro con lungimiranza, ma sanno vivere il presente con una forza e una autenticità che è difficile non ammirare.
Un centinaio di pagine è lo spazio per raccontarci di un viaggio speciale in Turchia, che le quattro amiche si sono ritagliate, chiudendo fuori tutte le loro responsabilità, gli affetti, gli impegni, le preoccupazioni, una storia appena nata. E anche il passato. Per volare insieme a chi si conosce bene e a fondo, a chi si ama pur con le sue stramberie o proprio per questo. Ecco come le quattro amiche vivono la Turchia nel periodo del ramadan, senza preconcetti e con tanta, tantissima curiosità. 

Il destino dell'umanità nel prossimo futuro: il saggio "distopico" di Darrell Bricker e John Ibbitson

 

Pianeta vuoto. Siamo troppi o troppo pochi?
di Darrell Bricker e John Ibbitson
traduzione di Silvia Manzio
add editore, 2020

pp. 312
€ 18,00 (cartaceo)
€ 9,99 (ebook)

 

Il mondo urbano che stiamo diventando sarà dominato da una popolazione geograficamente concentrata, più vecchia e meno feconda. E poiché questo fenomeno si sta verificando con più intensità nelle regioni che, per tradizione producono le eccedenze di popolazione che migrano, e in quelle stesse regioni anche la povertà è in declino, in un futuro non troppo lontano gli immigrati potrebbero farsi rari. Ecco perché i Paesi sviluppati con problemi di fecondità dovrebbero spalancare le porte, mentre invece le stanno chiudendo. Questa è pura follia. (p. 184)

Il saggio dei canadesi Bricker e Ibbitson, rispettivamente amministratore della Ipsos Social Affair e analista politico e editorialista del The Globe and Mail, parte da un presupposto tanto semplice quanto controintuitivo: vale a dire che le previsioni degli istituti di ricerca dell’Onu, così come della stragrande maggioranza degli studi di settore che prevedono un incremento vertiginoso della popolazione mondiale nei prossimi decenni, siano in errore. Alcune delle stime, infatti, basandosi su quanto avvenuto finora, ipotizzano che la specie umana arriverà a toccare quota undici miliardi, mentre altre parlano di numeri addirittura superiori. È ovvio che, considerate le problematiche relative alla produzione di cibo e di risorse energetiche che stiamo vivendo già in questi anni, la conseguenza immediata di tali numeri da capogiro sarebbe un mondo a un passo dal collasso. Riusciamo a immaginare un pianeta Terra popolato da oltre dieci miliardi di abitanti?

Bricker e Ibbitson, basandosi su altri dati, vanno in direzione contraria e sostengono che la popolazione mondiale aumenterà nei prossimi anni, sì, per poi però cominciare a declinare. Nelle circa trecento pagine di cui è composto Pianeta vuoto, i due autori portano dati difficilmente confutabili – in quanto ricavati perlopiù da istituti nazionali di statistica –, i quali mostrano con una evidenza quasi matematica il trend che sta attraversando i Paesi sviluppati da circa un cinquantennio a questa parte, e che a breve colpirà (o sta già colpendo) anche i Paesi invia di sviluppo.

«Così scendono le generazioni nella fornace del tempo»: "Gente nel tempo", un romanzo di Massimo Bontempelli da (ri)scoprire


Gente nel tempo
di Massimo Bontempelli
Utopia, 2020


pp. 192
€ 16 (cartaceo)
€ 9,99 (ebook)


«Il tempo, discesa di fatti minimi; se vi getti dentro un'avventura intensa, lo ingombri e scompigli, intorbidi il ritmo, gli togli ogni verità, è una disperazione». (p. 133)
Immaginate di ricevere un'inquietante predizione, sul letto di morte, da parte della capostipite della famiglia. Come reagireste? La Gran Vecchia nel primo e unico capitolo in cui è protagonista indiscussa sa farsi rispettare da tutti i presenti: dispone prete, medico, notaio e parenti, con un fare da generalessa che fa quasi sorridere il lettore, facendo dimenticare per un attimo che le condizioni di salute della donna sono ormai gravissime. Si apre all'insegna di un'ironia beffarda, Gente nel tempo: Bontempelli lascia che il lettore si abitui al fare deciso della matrona della famiglia Medici per poi arrivare in un crescendo di tensione alla terribile profezia: «Del resto, nessuno di voi morirà vecchio», leggiamo a pagina 18. Nessuno dei presenti riesce a ridimensionare la portata di una simile frase: il figlio della Gran Vecchia, Silvano, è immediatamente colpito, così come sua moglie Vittoria, per non parlare delle due bambine, Nora e Dirce. A loro la nonna ha infatti dedicato anche un altro terribile pensiero: 
«E nessun altro ha da nascerne, specialmente tipi come voi che non siete mai stati buoni a niente e morta io sarete ancora più inutili, perciò è meglio che la famiglia finisca; anche quelle due lì quando saranno grandi è meglio che non ne facciano...» (p. 18). 

Esplorare il mondo all'insegna del femminile: l'"Atlante delle donne" di Joni Seager

Atlante delle donne
di Joni Seager
add editore, 2020

Traduzione di Florencia Di Stefano-Abichain

pp. 208
€ 19,50 (cartaceo)

Come può un simile fardello di morte, malattia e disabilità esistere da così tanto tempo con così poco clamore? Usando le parole di un’ostetrica: “se ogni anno centinaia di migliaia di uomini soffrissero e morissero, soli e in agonia e terrore, o se milioni e milioni di uomini venissero feriti, resi disabili e umiliati, subendo lesioni profonde e non trattate ai loro genitali, costretti a un dolore cronico, resi sterili, incontinenti e terrorizzati dai rapporti sessuali, allora tutti avremmo conosciuto questo problema tanto tempo fa e qualcosa sarebbe stato fatto”. (UNICEF)
Nasce esplicitamente con l’intento di suscitare domande, più che di fornire risposte, il grande Atlante di Joni Seager. Lo fa perché un problema di genere esiste, esiste ancora, nonostante i grandi progressi fatti nel campo dei diritti umani in generale, e della tutela delle donne in particolare, in molti paesi del mondo. Lo fa perché tracciare una mappa degli squilibri, esibire il dato in maniera visuale, è un modo per rendere evidenti linee comuni e differenze specifiche, magari per rivalutare anche la tradizionale e netta divaricazione tra paesi “sviluppati” e paesi che non sono considerati tali (perché se, per certi versi, le maggiori disuguaglianze si trovano in paesi in cui si tende a supporre di poterle trovare, sono molti i limiti tuttora presenti in realtà occidentali, in cui non ce li si aspetterebbe). L’opera si costituisce di un’ampissima collazione di dati, aggiornata rispetto alla prima edizione del libro che risale al 1986, che vuole quindi descrivere la condizione della donna nel mondo sotto svariati aspetti, tracciare una “rimappatura femminista del mondo, attraverso una lente che permetta di guardare per davvero il modo in cui le donne vivono” (p. 7).
Le diverse sezioni, definite su base tematica (“Le donne nel mondo”, “Tenere le donne al loro posto”, “Diritti di nascita”, “Lavoro”, “Istruzione e connettività”, per citarne sono alcune), sono introdotte da citazioni letterarie che vanno suggestivamente a circoscrivere l’argomento, permettendo di cogliere la specificità del punto di vista adottato e conferendogli immediatamente una connotazione di umana partecipazione, al di là della (solo apparente) freddezza delle cifre che seguiranno. I nomi che vengono scomodati sono importanti, a dimostrare quante figure note di donne note sono impegnate sul fronte della tutela femminile, in maniera più o meno esplicita, più o meno politicamente schierata (da Zadie Smith a Serena Williams, da Malala Yousafzai a Charlotte Bunch). In alcuni casi, le frasi riportate sono tanto forti da farsi chiave di lettura non solo del volume, ma dell’attualità tutta, come quella di Margaret Atwood: “Gli uomini hanno paura che le donne ridano di loro. Le donne hanno paura che gli uomini le uccidano” (p. 37).

C'erano tre secoli, duecentoquaranta pietanze e sette esperti di cibo di fama internazionale: storie brevi (e relative ricette) dei piatti che fecero la storia del "moto ondivago e venato di follia che ha modellato la nostra cultura del mangiare"

Quando un piatto fa storia.
L’arte culinaria in 240 piatti d’autore

a cura di Susan Jung, Howie Kahn, Christine Muhlke, Pat Nurse, Andrea Petrini, Diego Salazar, Richard Vines
L’ippocampo/Phaidon, 2020  

Illustrazioni di Adriano Rampazzo

Traduzione di Lucia Corradini (storie) e Laura Guidetti (ricette)

pp. 452
€ 39,90 (cartaceo)


Prendete Susan Jung, Howie Kahn, Christine Muhlke, Pat Nurse, Andrea Petrini, Diego Salazar e Richard Vines e affidate loro la cura di un volume capace di ripercorrere gli ultimi tre secoli di cultura gastronomica dell’intero globo terracqueo. Prendete, cioè, sette tra le più prestigiose firme in tema di cibo & co. a livello internazionale e chiedete loro di scegliere, tra gli innumerevoli piatti assaggiati o gustati in giro per il mondo, poco più di duecento tra antipasti, primi, secondi, contorni, dolci e spuntini che siano degni di occupare un posto (a tavola) nel pantheon dell’edibile più memorabile e caratteristico. Fantascienza sub specie alimentare? . Perché se è vero che è certamente impossibile tenere il conto di quanto è stato cotto e mangiato nei trecento anni appena trascorsi, e se non meno difficile appare un sondaggio di ciò che di meglio è stato e viene ancora impiattato da cuochi di chiara e (ormai) imperitura fama, pronunciarsi in proposito è un azzardo non da poco, che pretende un curriculum fatto di molti viaggi e moltissimi assaggi. Servite, dunque, le mini-biografie delle pietanze accompagnate dalle rispettive ricette, corredate il tutto con le illustrazioni di un ex-chef d’esperienza come Adriano Rampazzo, ed ecco a voi Quando un piatto fa storia, una vera e propria antologia à la carte con l’ambizione (tutt’altro che meramente riduttiva) di proporvi L’arte culinaria in 240 piatti d’autore.

Andando via. Omaggio a Grazia Deledda al Mudec - Museo delle Culture di Milano, fino all'11 Ottobre 2020

Grazia Deledda al Mudec

(foto di Luca Tosi, per gentile concessione del Mudec, Milano)

Il Museo delle Culture di Milano ospita la suggestiva installazione “Andando via. Omaggio a Grazia Deledda”, visitabile fino all'11 Ottobre 2020. In questo spazio, dove confluiscono riflessioni multidisciplinari, trova la sua naturale collocazione l’installazione, delle opere realizzate dall’artista sarda Maria Lai nel 2011 a Nuoro, a breve distanza dalla Chiesa della Solitudine, luogo che custodisce le spoglie della scrittrice premio Nobel Grazia Deledda. 

La vita è un romanzo. Anche per lo scrittore? Ce lo chiediamo con il nuovo romanzo di Guillaume Musso

 

La vita è un romanzo
di Guillaume Musso
La Nave di Teseo, 2020

Traduzione di Sergio Arecco

pp. 265
€ 18,00 (cartaceo)
€ 9,99 (ebook)


“La realtà… La finzione… Per tutta la vita ho trovato la frontiera tra le due molto incerta. Niente è più vicino al vero del falso. E nessuno sbaglia più di chi pensa di vivere solo nella realtà. Infatti, a partire dal momento in cui gli uomini considerano reali determinate situazioni, esse diventano reali nelle conseguenze che comportano” (p. 259).
Carrie, una bimba di 3 anni, sparisce misteriosamente mentre sta giocando con la mamma a nascondino in uno splendido appartamento di Brooklyn. La madre Flora Conway, una famosa scrittrice, è certa che non ci siano segni di infrazione nella sua casa e che nessuno sia entrato. Del resto, porte e finestre sono bloccate e le telecamere di sorveglianza non hanno mostrato nessun movimento sospetto. Flora è una donna molto schiva: nonostante il successo delle sue pubblicazioni non è mai apparsa in pubblico, a farle da alter ego è da sempre la sua editrice Fantine.
Dopo questa scomparsa, la storia, attraverso un inaspettato salto geografico, giunge dall’altra parte dell’oceano, a Parigi, a casa di Romain, uno scrittore che sta vivendo la crisi del suo matrimonio e sta lottando per la custodia del figlio Théo. 
Flora e Romain si conoscono? Come fanno a incontrarsi se non nelle pagine di un libro? Qual è il legame nella vita reale che li unisce?

#CritiCinema - Sempre avanti, Miss Marx

Sempre avanti! - motto di Eleanor Marx

Se dietro un grande uomo c’è spesso una grande donna, altrettanto spesso intorno a una grande donna ci sono degli uomini deludenti.
E le donne sono vittime della tirannia di questi uomini «come i lavoratori sono vittime della tirannia degli inoperosi».
Il discorso di Miss Marx di Susanna Nicchiarelli, in concorso all’ultima Mostra del Cinema di Venezia e appena uscito nelle sale italiane, corre su due binari paralleli. Da una parte la restituzione storica e politica (accurata, ma tradita in favore dell’esprit del personaggio) e dall’altra una rappresentazione pop, ma anche un po' rock, di una Eleanor Marx molto moderna. 

Eleanor detta Tussy, figlia prediletta di Karl e del suo tempo, è l’unica delle tre sorelle Marx a portare avanti le battaglie e le opinioni dell’intellettuale del Capitale, fra viaggi all’estero e un severo lavoro di curatela delle opere del padre, e a lottare attivamente per il miglioramento delle condizioni della classe operaia, soprattutto per donne e bambini.
Il successo e il prestigio che le spettano non le vengono negati e la sua voce è lasciata libera di affermarsi, limpida, anche in un contesto in cui è l’unica.

Scenografie di Paradisi possibili: proverbi, illustrazioni e meccaniche in “L’altro mondo” di Guillaume Duprat



L’Altro mondo - Storia illustrata dell’aldilà
di Guillaume Duprat
L’Ippocampo Edizioni, ottobre 2016

pp. 176
€ 29,90 (cartaceo)


Al di sopra – aldilà - dei due grandi paradisi, quello cristiano e quello islamico, che egemonizzano il nostro ineluttabile futuro – la morte – e che nel corso dei secoli si sono impossessati della maggioranza delle coscienze degli esseri umani, Guillaume Duprat, importante studioso e illustratore francese, propone il suo studio enciclopedico sulle escatologie che l’uomo ha immaginato e creato in diverse società, generando trascendenti spazi fisici e temporali. Attraverso la sua analisi testuale, basata su studi etnografici e storico-religiosi, in L’Altro mondo - Storia illustrata dell’aldilà, edito da L'Ippocampo Edizioni, Duprat interpreta, illustra e descrive i vari mondi ultraterreni che le religioni dei cinque continenti propongono come meta dopo la morte. “Mi sento bene come collezionista di mondi” dichiara in una intervista Duprat. Così da far intendere che, forse, ben poca differenza passa tra il mondo reale e il mondo al di là della morte. La peculiarità dell’illustratore e del ricercatore è proprio quella di rappresentare fisicamente le molteplici rappresentazioni dell’oltretomba da parte di tutte quelle religioni di cui conosciamo molto poco, indicando con acume le particolarità del contesto in cui sono sorte.

Fine del mondo. Un metodo in tre atti senza epilogo

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Trilogia della catastrofe. Prima, durante e dopo la fine del mondo
di Emmanuela Carbè, Jacopo La Forgia, Francesco D'Isa
effequ, 2020

€ 15,00 (cartaceo)



Siamo stati abitati da un evento. Lo stupore non emerge però dal collasso delle società occidentali, le quali hanno tutte realizzato la sequenza di dispositivi che l’apparato dell’eccezionalità governative ha preparato nel corso dei secoli tra teoria e prassi politica, bensì dal mancato collasso di tali campi d’applicazione. La pandemia di Covid-19, di solito impiegata al modo di un’allegoria (pandemia come metafora, suggerirebbe Susan Sontag) – allegoria di guerra, allegoria della fratellanza, etc. – non è altrimenti che uno di quegli antichi eventi di cui tanto avrebbe detto il post-modernismo critico. Sarebbe interessante, nonché divertente, interrogare le decine di instant-book da cui questi mesi sono stati attraversati, a partire dallo Spillover di Quammen (Adelphi) costretto, con tanto di copertina-e-fascetta, a postdatare e adeguare ai tempi la propria narrazione divulgativa (cos’è un’infezione se non una struttura scientifica che sempre ritorna?) fino al Virus di Zizek (Ponte alle Grazie), opera resa di giorno in giorno, di riflessione in riflessione, sempre più contemporanea. Non fino al punto di superare i tempi.

"Nomadland. Un racconto d'inchiesta" di Jessica Bruder


Nomadland. Un racconto d'inchiesta
di Jessica Bruder
Edizioni Clichy, 30 giugno 2020

Traduzione di Giada Diano


pp. 384
€ 17,00 (cartaceo)
€ 8,99 (ebook)




Nomadland, ossia la terra dei nomadi, non è un libro ambientato nel passato, alla scoperta delle tribù dei nativi d’America, non parla nemmeno di come i conquistatori abbiano cacciato i pellerossa dalla loro terra, rinchiudendoli in riserve. Nomadland, edito in Italia da Edizioni Clichy, all’interno della collana Rive Gauche, dissotterra altri tipi di scomode verità nascoste, di un continente americano forte solo in apparenza. 

Jessica Bruden, autrice dell’opera, è una giornalista che ha deciso di imbarcarsi in un viaggio on the road, per raccogliere la testimonianza dei “senza casa”, che vivono in roulotte per ritagliare al minimo le spese. Attraversando da parte a parte l’America, spostandosi in lunghe carovane, questi nomadi del nuovo millennio sostano per il breve periodo di un lavoro stagionale. Questo “girovagare” forzato nasce dalla sconfitta del capitalismo, dalla sua incapacità di salvaguardare ogni cittadino, assicurandogli una corretta protezione in caso di malattia e, soprattutto, un meritato pensionamento. Quello che per molto tempo è stato chiamato il “sogno americano”, oggigiorno assomiglia a un ibrido tra la condizione di povertà assoluta ed il concetto di retaggio hippy, di libertà. 

Non definibile, non affrontabile: "L'ospite e altri racconti" di Amparo Dávila

Amparo Davila
L'ospite e altri racconti
di Amparo Dávila
Safarà editore, 2020

Traduzione di Giulia Zavagna

pp. 144
€ 16,50 (cartaceo)

«A volte senza volere» dice Sergio «senza accorgersene, capita di mescolare realtà e fantasia e fonderle insieme, ci si lascia intrappolare nel loro groviglio e ci si abbandona all'assurdo, è come partire per un viaggio verso una città che non è mai esistita». (p. 74)

Il nome di Amparo Dávila, almeno per i lettori italiani e per chi non si addentra nella letteratura messicana, è poco noto. Recentemente scomparsa, ha all'attivo una produzione di poesie e racconti. L'ospite e altri racconti da poco edito da Safarà, è una raccolta che si potrebbe definire horror. Ma che rientra benissimo anche nel thriller psicologico. E che non dimentica di mostrare uno squarcio sulla situazione femminile nel domestico. Coniuga queste tematiche usando uno stile di scrittura ossessivo e percussivo nella ripetizione di nomi e situazioni e suscitando nel lettore un senso di disorientamento, soffocamento e panico. Alla disperata ricerca di un qualunque tipo di appiglio concreto e razionale, i racconti lasciano dietro la terrificante sensazione di non riuscire mai ad afferrare pienamente ciò che ci spaventa: e che quindi non abbiamo la possibilità di sconfiggere. 

Ritornare all'acqua per ritrovarsi e per perdersi: "Gita al fiume" di Olivia Laing

Gita al fiume 
di Olivia Laing
Il Saggiatore, 24 Settembre 2020
Traduzione di Francesca Mastruzzo e Giulia Poerio 

€ 24 (cartaceo)
€ 11,99 (e-book)

Le opere di Olivia Laing stanno finalmente arrivando in Italia. E se in Gita al fiume, edito in Inghilterra nel 2011, la Laing ci narra del suo viaggio terapeutico a piedi dalla sorgente alla foce del fiume Ouse, il Saggiatore sta facendo il percorso inverso: dalla foce della scrittura dell’autrice, cioè da Città sola e Viaggio a Echo Spring, le sue opere più recenti, è arrivato fino alla sorgente, pubblicando questo potentissimo memoir di quasi dieci anni fa, in cui la Laing, parlandoci di luoghi e di scrittori a lei cari, ci parla in realtà anche di se stessa.

Eppure a quest’opera la definizione di memoir sta stretta e larga: Olivia Laing non ci narra nulla di più su se stessa di quella settimana passata a camminare lungo il fiume. Ci dice della crisi precedente all’inizio del viaggio, mesi di depressione e di reclusione in casa in seguito alla perdita del lavoro e della fine di una lunga relazione. E poi, per sette giorni, condivide con noi le sue riflessioni, le sue scoperte, i suoi ricordi. Fino alla fine del libro, dove, secondo le regole informali del genere del memoir, ci dovrebbe essere uno scioglimento finale, una riflessione conclusiva. Eppure, giunta lì dove le acque dell’Ouse si gettano nel canale della Manica, la Laing sale sul treno, poggia la testa sul finestrino e torna nella sua Brighton senza dirci nulla su di sé. Perché quello che doveva dire, ce l’ha già detto. 

A difendere un mondo che crolla: "Al centro del mondo", di Alessio Torino


Al centro del mondo
di Alessio Torino
Mondadori, settembre 2020

pp. 264
€ 18,50 (cartaceo)
€ 9,99 (ebook)


«E poi c'è lei, l'arnia perfetta, ordinata e produttiva. Un po' come mio nipote Damiano, grande ape operaia. È il desiderio di tutti avere una famiglia così. La vogliamo tutti, anche se siamo consapevoli della sua rarità» (p. 209)

Che cos'è per voi il centro del mondo? Per Damiano Bacciardi e per la sua famiglia è Villa la Croce, quella che per molti è Villa dei Matti, perché negli anni nel loro podere sono successe cose inquietanti e veri e propri drammi. Ma è anche il luogo dove ci sono arnie straordinarie, in grado di produrre un miele che tutti chiamano "la manna", perché le donne, dopo aver fatto mangiare di questo miele ai mariti, risolvono i loro problemi di infertilità. È anche una dimensione fuori dal tempo, dove non sembra esserci tecnologia, gli strumenti più usati sono un'accetta, una doppietta e quel che può servire alla cura dei maiali e delle arnie. Questa realtà, apparentemente in equilibrio con i ritmi della natura e dominata dalla ciclicità delle stagioni e dell'agricoltura, è però continuamente messa in crisi e assaltata. Prima si è consumato un terribile evento, che ha portato via il padre di Damiano e che ha solcato nel ragazzo un trauma profondo, irrecuperabile, lo stesso che non gli permette più di guardare alla quercia secolare del podere senza provare un brivido e l'istinto di abbatterla. Poi sono arrivati i desideri di vendere da parte dello zio Vince, che - ora più, ora meno convinto - pensa che ricominciare da zero e altrove possa essere un toccasana anche per i nervi scossi di Damiano (che sia folle davvero?). 

#IlSalotto - Affrontare il nemico invisibile: intervista ad Anna Giurickovic Dato

 

Foto della pagina Facebook dell'autrice
(riproduzione autorizzata)

Dopo tre anni dal suo esordio con La figlia femmina, la giovane scrittrice catanese Anna Giurickovic Dato torna in libreria con Il grande me. È un romanzo potente, il suo, che con una scrittura dinamica e accesa sa commuovere, affrontando al contempo una delle più grandi tematiche della letteratura: l'approccio alla morte.

Ho voluto dunque approfondire alcune delle tante questioni che la lettura di questo romanzo ha saputo sollevare.

Innanzitutto complimenti, Anna, per questo tuo secondo romanzo. Devo dire che l’aspettavo con trepidazione sin da quando l’hai annunciato su Facebook.
Vorrei dunque cominciare con una domanda un po’ di rito: come nasce l’idea del Grande me?
Più che un’idea è una rielaborazione. La vita che, filtrata dalla finzione narrativa, diviene l’anima del romanzo che non avrei voluto scrivere e al quale, tuttavia, sono profondamente grata. Il grande me è il grande che è in tutti noi, non quello che abbiamo inventato, ma quello che dobbiamo ancora scoprire.

Il tuo esordio con Fazi risale al 2017, quando viene dato alle stampe La figlia femmina, un romanzo molto diverso ma che condivide con Il grande me la ferocia dei sentimenti e quell’intimismo così peculiare del tuo narrare. Come è cambiato il tuo approccio alla scrittura in questi tre anni? E come, invece, l’approccio all’iter di pubblicazione?
Ho scritto La figlia femmina pensando che non lo avrei mai pubblicato, ma con la ferocia di chi ce l’avrebbe messa tutta. Ho scritto Il grande me, invece, sapendo che sarebbe stato pubblicato: questa consapevolezza, anziché inibirmi, mi ha dato coraggio, ho spinto il mio timbro oltre le barriere che, io stessa, prima, mi ero imposta; non ho guidato lo stile verso il canone, ma mi sono lasciata guidare da intuizioni, narrative e linguistiche, che mi conducessero verso una scrittura che mi somigliasse il più possibile. Non ho avuto fretta, non mi sono lasciata soddisfare facilmente, mi sono divertita a scandagliare i vocaboli uno per uno, cercando di potenziarne l’effetto. Non so se ci sono riuscita, ma è stato un lavoro che mi ha reso più consapevole. La pubblicazione, questa volta, era là, mi aspettava, per questo non è mai stata una meta; la vera meta era quella di non farmi tradire dalle mie stesse parole.

Cultura, contegno e razza: "Il gioiello della corona" di Paul Scott

Il gioiello della corona di Paul Scott

Il gioiello della corona
di Paul Scott
traduzione di Stefano Bortolussi
Fazi Editore, 17 settembre 2020 

pp. 584
€ 20,00 (cartaceo)
€ 9,99 (ebook)


 

«Questa è la storia di uno stupro, degli eventi che vi hanno condotto e che l'hanno seguito e del posto in cui è accaduto». (p. 11)
Quel posto dall'azzurro cenere dei cieli smaltati, dalle vaste pianure e sagome scure delle colline all'orizzonte, di donne avvolte in sari di seta, e dal «lebbroso che sedeva a gambe incrociate mostrando il busto segnato dalle chiazze rosacee del male e sollevando le braccia simili a rami spezzati» (p. 156). Quel posto chiamato India, una terra ancorata alla potenza del Raj, impero Anglo-Indiano, dove tutti sono vittime dell'ipocrisia di un'ambizione coloniale. 
Scritto tra il 1965 e il 1967, Il gioiello della corona è il primo volume della tetralogia di The Raj Quartet, fissato per sempre dalla penna di Paul Scott (da cui sono state tratte due serie televisive: la più recente quella per BBC Radio 4, diretto da Sally Avens nel 2005).

Cinquecentottantatre pagine di voci che si susseguono, si rincorrono e si sovrappongono, tutte con l'unico obiettivo di trovare il colpevole di questioni atroci e di contenere passato presente e futuro nel palmo di una mano. Ma «esiste uno specifico evento storico che abbia un inizio preciso e una fine soddisfacente?» (p. 163). Difficile a dirsi quando si tratta di determinare colonialismo e postcolonialismo.

La testa come un brillante di Romeo Marconato: "Zodiaco street food" di Heman Zed

Zodiaco street food Heman Zed
Zodiaco street food
di Heman Zed
Neo edizioni, 2020

pp. 232
€ 15,00 (cartaceo)



«Prima si strafanno di droga e alcol e poi gli viene una fame che si sbranerebbero la madre».
«Ah. Interessante. Cioè non stanno mica tanto a guardare se il crudo è marchiato Parma».
«Ma figurati, dopo una certa ora si mangiano anche quello marchiato Sette Nani». (p. 14)

I territori della fu Serenissima sono terra di passaggio e di scambi. Esploratori, commercianti, merci da tutto il mondo hanno percorso in lungo e in largo i canali lagunari e si sono addentrati nelle riviere che arrivano fino alla città interne.

Lo sa bene Marconato Romeo, uomo di laguna dalla testa ai piedi che dopo un solido esordio con la Mala del Brenta al soldo di Felice Maniero si è lanciato nel settore alimentare. Dopo anni di consolidata contraffazione di alimenti, ha virato sullo street food con dodici furgoni con i nomi dei segni zodiacali, su cui capeggia Il leone, che sfamano con panini di dubbia qualità tutti i tiratardi e gli strafatti in fame chimica che transitano da Chioggia a Padova.  

Perché da quelle parti continua a girare di tutto: non più mercanti con sete preziose, ma produttori di televisione trash dalla Svizzera italiana che cercano il modo di risollevare il loro programma di cucina ormai in crisi. Non esploratori, ma vecchie spie del KGB che non hanno perso il loro smalto: sono bionde, in forma e hanno una presa ferrea quando si tratta di spezzare colli. La capacità di fare affari, leciti o meno, scorre nel sangue dei figli della Serenissima e Romeo, alla guida del suo Leone, con tormentoni latinoamericani di sottofondo e con la Glock puntata alle palle di chiunque lo prenda per il verso sbagliato, è pronto a onorare la tradizione. 

Alla ricerca del padre perduto: “Papà”, di Régis Jauffret



Papà
di Régis Jauffret
Edizioni Clichy, settembre 2020

Traduzione di Tommaso Gurrieri

pp. 200
€ 17 (cartaceo)
€ 8,99 (ebook)

Un titolo, un fotogramma ripetuto sei volte come copertina, un sottotitolo e l’epigrafe «la realtà giustifica la finzione» (p. 9) come elementi costitutivi del nuovo libro di Régis Jauffret, apparentemente semplice e immediato, ma che invece, durante un’attenta lettura, rivelerà tutta la sua complessità e derivata bellezza.

Il titolo – Papà – si fonde con il fotogramma. Un uomo viene trascinato fuori da un palazzo da due personaggi che si avviano verso una Citroën a trazione anteriore. I due uomini si rivelano essere agenti della Gestapo. Il palazzo è quello in cui Régis Jauffret è nato e cresciuto a Marsiglia. E la persona catturata è il padre dell’autore, Alfred Jauffret. Sette secondi di video che appaiono per caso durante un documentario televisivo sulla Francia di Vichy e sulle rappresaglie dei nazisti nella zona libera francese durante la Seconda guerra mondiale hanno cambiato la vita del rinomato scrittore francese per sempre. In quel lasso di tempo, Régis Jauffret si rende conto di non conoscere affatto quell'uomo che per tanto tempo aveva chiamato “papà”:

Di quell'amore che non può morire: "Il grande me", secondo romanzo di Anna Giurickovic Dato

 

Il grande me
di Anna Giurickovic Dato
Fazi, 2020

pp. 220
€ 18,00 (cartaceo)
€ 10,99 (ebook)

 

Non chiede, non osa chiedere «Quanto vivrò?», e mi sembra di essere seduta su un cuscino di sine per quanto è la foga con cui vorrei alzarmi, tappare la bocca alle oncologhe, le orecchie a mio padre, e dirgli: Amore mio, non ci pensiamo, oggi noi non ci penseremo. (p. 46)

 C’è un tacito accordo che Anna Giurickovic Dato stipula con i propri lettori sin dalle primissime righe di questo suo secondo romanzo, edito come il primo (quella Figlia femmina, 2017, che tanto clamore ha suscitato e del quale ha parlato per noi Mattia Nesto) dalla casa editrice romana Fazi: le sorti del protagonista Simone, sembra dirci l’autrice, sono segnate sin da subito, non vi è una speranza di salvezza, di fuga, di uscirne vivi da questo male; quello che leggerete è il suo lento, inesorabile, progressivo declino, il suo percorso fatale verso la morte; allora, sapendo questo – e, aggiungo io, sapendo che quanto stiamo per leggere è riferito a eventi reali, accaduti alla famiglia Giurickovic neanche troppo tempo fa –, siete voi lettori disposti a farvi prendere per mano da me e farvi condurre lungo la via?

Affrontare Il grande me è dunque innanzitutto questo: un atto di coraggio. Perché se è vero che molti libri trattano di argomenti verosimili e raccontano storie che, bene o male, possono essere accadute a qualcuno da qualche parte in questo mondo, è altrettanto vero che c’è uno scarto palpabile nel modo di percepire una lettura quando sappiamo che il romanzo che teniamo fra le mani è frutto di un evento realmente accaduto a chi l’ha scritto. È una percezione che ha a che fare con l’intimità, con l’aprirsi dell’autore o dell’autrice, con il suo disvelare al mondo le proprie debolezze, i propri limiti, le proprie tensioni esistenziali. Per questo, ad esempio, libri come Noi, i ragazzi dello zoo di Berlino lasciano quel senso straziante di vuoto e disperazione alla fine: perché gli eventi narrati non sono solo verosimili, bensì reali. E com'è possibile che una persona sia in grado di tollerare tutto quel dolore?

La voglia di vivere: “A ottant'anni se non muori t’ammazzano” di Ferdinando Camon ci apre gli occhi sulla realtà degli anziani durante la pandemia

 


A ottant'anni se non muori t’ammazzano
di Ferdinando Camon
Apogeo Editore, agosto 2020

pp. 92
€ 12 (cartaceo)


Senza alcuna esitazione, Enea si caricò sulle spalle il vecchio padre Anchise per fuggire dalla città di Troia in fiamme. Per questo motivo, il suo epiteto è pius. Se sostituissimo l’incendio di Troia con un virus mortale, chiede Ferdinando Camon, Enea salverebbe ancora Anchise? La risposta ai tempi del Covid-19, secondo l’autore, è negativa. La categoria sociale più colpita dal virus è, appunto, quella degli anziani. Ma non è soltanto una questione di età, è una questione di Stato, di Legge, di medicina, di civiltà. Di cultura. In questi tempi difficili, sembra che tutte queste istituzioni siano d’accordo col sacrificare il vecchio per salvare il giovane. In questo modo, la società si macchina dell’impiĕtas latina: «Per la stessa ragione per cui Enea è pio, la nostra medicina che abbandona i vecchi è empia, i nostri medici sono empi, la nostra società che li giustifica è empia» (p. 25). 

Molto più che semplici "immagini di belle donne": un volume L'ippocampo celebra le geishe nella versioni a stampa dei maestri dell'ukiyo-e


Geishe. Celebrate dai maestri della stampa giapponese

a cura di Amélie Balcou
traduzione dal francese di Margherita Botto
L’ippocampo, 2020

Cofanetto con:
pp. 40 (opuscolo)
pp. 196 (stampe)
€ 29,90 (cartaceo)



Kitakawa Utamaro, Kikukawa Eizan, Chōkōsai Eishō, Ichirakutei Eisui, Chōbunsai Eishi, Utagawa Kunisada II, Tsukioka Yoshitoshi, Toyohara Chikanobu: probabilmente solo in pochi avranno familiarità con i nomi di questi maestri della stampa giapponese del XVIII e XIX secolo, ma di certo chiunque, anche solo per capi sommi e magari molto stereotipati, sarebbe in grado di associare un’immagine (se non addirittura una lettura critica) alla parola “geisha”. 
La cortigiana e dama di compagnia cinta nei caratteristici abiti tradizionali ed esperta in raffinati intrattenimenti è divenuta un riferimento imprescindibile nell’immaginario più popolare del Sol Levante, e la letteratura così come le arti visive e audiovisive ne hanno, negli anni, celebrato e raccontato la complessità della figura e del ruolo. Storicamente, poi, il caratteristico trucco mirato ad esaltare il pallore di un incarnato perfetto, le elaborate acconciature esito di ore e ore di puntigliosa preparazione, la ricchezza di ornamenti e la consuetudine con il bello in ogni suo aspetto hanno fatto in modo che, in patria, esse fossero tra i soggetti privilegiati delle stampe cosiddette ukiyo-e, ovvero di quel tipo di produzione seriale incentrata sulle “immagini del mondo fluttuante” che conobbe il suo momento d’oro durante il periodo Edo (1600-1868). E quale pretesto migliore, dunque, dell’ultimo volume appena pubblicato da L’ippocampo per conoscere o ripassare questo filone di successo che nel celebrare la soavità del femminile esortava al godimento della vita e dei suoi piaceri materiali?

#IlSalotto - Il viaggio come ricerca del senso della bellezza errante: intervista a Elisa Orlandi

 

Foto di ©Elisa Orlandi
Ci sono libri che parlano non solo al nostro cervello, ma arrivano dritti alle nostre emozioni, sfamano e al tempo stesso affamano di curiosità. Il senso della bellezza errante di Elisa Orlandi, uscito per Calibano editore, è il reportage appassionato di dieci viaggi tra i tanti che hanno cambiato la visione del mondo dell'autrice. Leggendolo, si apprezza fin da subito l'assenza di pregiudizi che ha sempre accompagnato Elisa Orlandi: desiderio di scoperta, di incontro con l'altro, contemplazione delle bellezze di posti tra loro diversissimi (si passa dal deserto ai ghiacci), rispetto e curiosità verso le tradizioni degli altri Paesi. Anche i sapori, oltre ai colori e gli odori, trovano un loro posto speciale, perché nei vari posti l'autrice non manca di sperimentare quel che offre la cucina locale. 
Letterario nello stile, che non è mera cronaca di viaggio, ma assume tutte le sfumature del reportage, del diario di bordo, nonché di un viaggio interiore alla scoperta di sé, con immagini scattate dall'autrice, Il senso della bellezza errante è un'opera insolita nel panorama editoriale di oggi, in cui le narrazioni perlopiù sfuggono veloci a penne poco accorte, che rifuggono le descrizioni. Nell'opera, trascinante come se fossimo anche noi in viaggio, troverete un'eleganza posata e un giusto prendersi tempo per raccontare, ammirare, comunicare la sorpresa del viaggiatore.
Per approfondire alcuni dei tanti temi trattati nell'opera e comprendere più a fondo le scelte compiute, abbiamo intervistato Elisa Orlandi, che ringraziamo per la disponibilità. 

Il senso della bellezza errante
di Elisa Orlandi
Calibano, 2019

€ 18 (cartaceo)


CLICCA QUI PER ACQUISTARE IL LIBRO

La tua raccolta di reportage di viaggio ha qualcosa di più: non si limita a raccontare un paese, ma tutto è mediato dai tuoi sensi, dai pensieri e dalle emozioni che hai provato. Per quale ragione hai pensato di condividere un progetto con la pubblicazione? 
All'inizio ho scritto per me, come fosse una sorta di diario, per non dimenticare quanto avevo vissuto. Non volevo che nemmeno il più piccolo dei particolari svanisse dalla mia memoria o fosse plasmato da essa in qualcosa di non corrispondente al vero perché, in quel caso, avrei perduto dei momenti, degli attimi che reputo essenziali per conservare un ricordo intenso e profondo del mio peregrinare. Rileggendo quanto avevo messo nero su bianco, cominciai a pensare che quelle storie, quelle tradizioni, quei luoghi potessero diventare più raggiungibili, attraverso la lettura, a persone impossibilitate a viaggiare ma pervase da un interesse verso culture differenti dalla nostra. Soprattutto ho voluto, attraverso le mie parole, far conoscere tratti di mondo di cui sentiamo poco parlare. Ho lasciato che fosse la semplicità quotidiana delle persone incontrate a parlare. Ho voluto vedere la realtà attraverso i loro occhi, ascoltare le sconfitte, i desideri, le piccole conquiste attraverso la loro voce per far sì che il lettore potesse sentirsi più vicino e coinvolto nonostante la distanza, come se stesse viaggiando insieme a me. 

Le nuove Judy possono contare su Sallie McBride: "Caro nemico" di Jean Webster

jean webster caro nemico
Caro nemico
di Jean Webster
Caravaggio editore, 2020  

Edizione a cura di Enrico De Luca
Traduzione di Miriam Chiaromonte

pp. 360
€ 16,90 (cartaceo) 
€ 7,49 (ebook)


Ci sono altre tre ragazze sullo stesso piano della torre... una Studentessa dell'ultimo anno che indossa gli occhiali e che ci chiede in continuazione di fare per piacere un po' più di silenzio, e due Matricole che si chiamano Sallie McBride e Julia Rutledge Pendleton. Sallie ha i capelli rossi e un naso all'insù ed è abbastanza amichevole. (Papà Gambalunga, p.32)
Così ci viene presentata Sallie McBride dalle parole di Judy Abbott mentre scrive a papà Gambalunga (qui potete trovare la recensione) del suo arrivo al college. Dal cartone animato ce la ricordiamo con gli occhiali (come vuole la tradizione degli anime per i personaggi bravi a scuola), per nulla snob e supponente come Julia e animata dai migliori sentimenti di amicizia per Judy. La nostra conoscenza della storia - almeno, quella di chi sta scrivendo - si fermava al cartone animato senza sospettare che ci fosse un seguito al romanzo epistolare di Jean Webster e, meno che mai, che in questo seguito prendesse la parola proprio Sallie. La giovane viene infatti convinta e, in qualche modo, strappata alla sua "frivola" esistenza per assumere un ruolo delicato e complesso: la gestione dell'istituto John Grier dove Judy (all'epoca ancora nota come Jerusha) ha trascorso la sua infanzia.

"Piccoli atti lussuriosi" tra (due o più) adulti consenzienti e finanche innamorati: così è il sesso illustrato da Simon Frankart e raccontato in prima persona dal pubblico di @petitesluxures

Petites Luxures.
Storie intime
illustrazioni di Simon Frankart
traduzione di Fabrizio Ascari
L’ippocampo, 2020

pp. 108
€ 15,00 (cartaceo)


Contenuti vagamente erotici o semplicemente pornografici on line? Niente di più semplice da reperire. Qualche click strategico su tastiere, tablet e smartphone… et voilà: l’imbarazzo, ormai, pare essere soltanto quello della scelta. Vero è, tuttavia, che anche in rete “il sesso in sé e per sé” può ben essere un focus senza necessariamente rifarsi a canoni di realismo e iperrealismo a uso e consumo di un’utenza dall’eccitazione fuori misura e senza orario. Ciò accade nel caso dell’illustrazione a tema, per esempio. Più nello specifico, in quella di Simon Frankart. Il nome vi risulta nuovo? Forse lo sarà meno quello della sua pagina Instagram: @petitesluxures. Per la gioia di poco meno di 1,5 milioni di followers, difatti, dal 2014 “Piccoli Atti Lussuriosi” si dedica alla fenomenologia dei corpi in amore con uno stile unico e molto francese, trattando l’universalità del desiderio con l’essenzialità della linea e di un nero su bianco appena ravvivato da rare incursioni di colore. Un successo sempre crescente che ha ottenuto ben presto il plauso e la confidenza di una grande quantità di utenti. Al punto che un paio di anni fa, con la promessa di dargli un’interpretazione grafica ad personam, lo stesso fondatore ha osato chiedere a lettori e lettrici di condividere con lui il racconto di un episodio memorabile o significativo della propria vita in materia di sex & co. Risultato: gli hanno risposto in centinaia, da tutto il mondo. Così, le cinquanta Storie Intime recentemente pubblicate nella loro versione italiana dalla casa editrice L’ippocampo non sono che una cernita minima di un sondaggio sull’amore (e altri sentimenti variamente incarnati) condotto su scala planetaria.

«Scombussolare il tempo, dilatare i giorni, allungarsi la vita»: "Le regole degli amanti", il nuovo romanzo di Yari Selvetella


Le regole degli amanti
di Yari Selvetella
Bompiani, settembre 2020

pp. 320
€ 18,00 (cartaceo) 
€ 10,99 (ebook)


Amami, stupido, che è più divertente, fammi capire se sono importante, abbracciami forte, fammi una promessa, poggiati alla mia coscia e fammi sentire se meriti o no tutte queste chiacchiere, settimane di appostamenti, il cuore in gola, la vita che mi pare di averti già dato, altrove, proprio qui. Anche io ti prometto, siamo abbastanza giovani da poter promettere e abbiamo vissuto abbastanza da sapere che nella vita non c'è altro che l'attesa. Siamo dalla stessa parte, non diciamocelo, la sera sta arrivando, la notte ci renderà irriconoscibili, oggetti tra gli altri della casa, pezzi da inventario. È ancora troppo presto. Viviamo, prima. Un po'. Tutto quello che possiamo. (p. 25)

Quando Iole e Sandro, i due protagonisti e le due voci narranti di Le regole degli amanti, si incontrano, sono entrambi sposati, hanno figli piccoli e un lavoro che assorbe gran parte della giornata. E sono gelosi della loro vita privata. Eppure niente vieta alla passione di divampare: Iole vede ogni domenica Sandro al maneggio, lo osserva cavalcare con maestria, mentre lei è ancora alle prime armi e non può uscire dal recinto. Poi una caduta, il primo scambio di battute, la vicinanza: la passione divampa, ma fin da subito i due hanno chiaro di voler preservare in qualsiasi modo la loro relazione extraconiugale dalla noia. Come fare? Quasi per gioco, stilano le regole degli amanti, esattamente come recita il titolo, e attorno a queste costruiscono anni di relazione. Sono anni in cui, oltre alla passione sempre presente, Iole e Sandro sperimentano un'enorme gamma di sentimenti, e non per forza sono tutti positivi. Una relazione è fatta anche di questo, di una conoscenza dell'altro che può farsi scomoda, inquietante, frustrante, nonché di una accettazione leale e aperta dei difetti e dei vizi dell'altro. 

"Pericolose per sé e per gli altri": la storia delle donne rinchiuse in manicomio tra il 1850 e il 1950


Luride, agitate, criminali
di Candida Carrino
Carocci Editore, 2020

pp. 148
€ 16,00 (cartaceo) 


"Mi avete abbandonata qui per sperdermi ogni traccia di me. Ricordatevi che sono vostra madre e che non meritavo tutto ciò. Nulla feci di male per essere qui condotta [...] Son cinque mesi che sto qui, non basta?"
Maria Vittoria C., vedova di un medico e madre di otto figli, entra per la prima volta in manicomio nel 1929. La richiesta di internamento stilata dal medico si regge sul fatto che la donna dichiara di voler gestire in autonomia e libertà la propria vita sessuale, contravvenendo così al codice di comportamento che la società si aspetta da una vedova con figli. Morirà in manicomio tredici anni dopo. 
Rosa R., contadina analfabeta di ventidue anni, viene internata nel 1902 "per aver dato segni non dubbi di alienazione" e di malinconia, con episodi di eccitamento della volontà. La ragazza scappa spesso di casa e si ribella ai genitori. Cinque anni dopo rimane incinta mentre si trova in manicomio e tutti - medici, avvocati, istituzioni - dipingono la donna come ebete, impudica e vittima di una violenza. Nessuno di loro accetta la possibilità che possa avere avuto un rapporto consenziente. Non crescerà sua figlio poiché rimarrà in isolamento fino al 1943. Camilla R., figlia di una madre socialista che l'ha educata all'impegno sociale e alla propaganda politica, conosce una diversa diagnosi: è paranoica. Antifascista, seguace delle idee sovversive ereditate della sua famiglia e "scaltrissima", dimostra di lottare per un ruolo paritario nella lotta politica, è colta e sa scrivere. La sua inquieta parabola la porterà a tornare a casa anni dopo e a ricostruire una vita con i suoi figli ma del periodo di internamento dirà: 
Tutti gli orrori che si sono detti sul manicomio e sul manicomio criminale in particolare, sono veri. (p. 115)

Loro sono solo tre delle tantissime donne che tra il 1850 e il 1950 vissero l'esperienza del manicomio. Candida Carrino, storica e dottore di ricerca in Studi di genere che da anni si occupa di internamento femminile, ha pensato che questi casi andassero raccontati e che non potessero restare dentro le migliaia di cartelle cliniche ammucchiate negli archivi.
Il risultato è Luride, agitate, criminali, un saggio uscito per Carocci editore che ricostruisce, attraverso lo studio minuzioso della documentazione conservata presso diversi archivi storici di ex ospedali psichiatrici italiani, le dinamiche che portavano le donne a essere internate.
Quello che si delinea è un intero sistema che vedeva coinvolte le famiglie, i medici, le istituzioni e che schiacciava le donne in una morsa punitiva. Una caccia alle streghe mascherata da terapia clinico-psichiatrica della quale finivano vittime tutte coloro che venivano considerate violente e minacciose. 

"Della gentilezza e del coraggio": un manuale di gentilezza da applicare nel mondo politico e non solo


Della gentilezza e del coraggio
di Gianrico Carofiglio
Feltrinelli, 2020

pp. 128
€ 14 (cartaceo)
€ 9,99 (ebook)
Audiolibro disponibile su Audible


Parafrasando la celebre battuta di un altrettanto celebre e amatissimo film: noi non ci comportiamo con gentilezza e con coraggio perché è una cosa carina. Ci comportiamo con gentilezza e con coraggio perché siamo membri della razza umana (p. 114).
La mia passione per Gianrico Carofiglio ha radici antiche ed è nata grazie a un "incontro" casuale con La regola dell'equilibrio (Einaudi, 2014): anni fa, infatti, comprai praticamente a scatola chiusa questo libro perché avrei dovuto regalarlo in occasione del Natale imminente. Poi non ricordo il perché, ma quel pacchetto rimase a casa mia e così, passate le vacanze, lo scartai e lo lessi.
Ricordo che di lì a poco avrei dovuto sostenere l'ultimo esame del mio corso di laurea (il temibile Diritto processuale penale) e quel giallo giudiziario così ben scritto, così coinvolgente e scorrevole costituì per me il miglior ripasso della materia che avrei mai potuto fare.
Da lì mi informai sull'autore, un magistrato pugliese del quale sino ad allora avevo sentito parlare, ma al quale non avevo mai prestato la dovuta attenzione. Scoprii così che aveva esordito nella narrativa (dopo pubblicazioni tecniche nel settore giuridico) proprio con una storia avente per protagonista il malinconico avvocato Guido Guerrieri (Testimone inconsapevole, Sellerio, 2002), e così corsi a recuperare tutti i suoi racconti.
Da allora ogni volta che Carofiglio ha pubblicato qualcosa, ogni volta che è intervenuto in televisione o ha partecipato a qualche evento letterario, ho fatto in modo di poter leggere o ascoltare le sue parole, sempre così pacate ma splendidamente centrate.
Non fa eccezione Della gentilezza e del coraggio. Breviario di politica e altre cose (Feltrinelli, 2020), un saggio breve ed agile nel quale l'autore analizza con lucidità e schiettezza le modalità attraverso le quali si possono esprimere pacatamente le proprie opinioni non solo in politica, ma anche nella vita di tutti i giorni.

Gli opposti non solo si attraggono, ma intrecciano le loro vite, i desideri e i dolori: "Una grande storia d'amore", di Susanna Tamaro


Una grande storia d'amore
di Susanna Tamaro
Solferino, 17 settembre 2020

pp. 288 
€ 16,15 (cartaceo)
€ 9,99 (ebook)


Cos'è, in fondo, una grande storia d'amore? Viene da chiederselo davanti a un titolo così importante, che potrebbe di primo acchito sembrare banale. In realtà, è un titolo fortemente evocativo, onirico, così vago nella sua apparente semplicità da nascondere due trappole: in primo luogo, quando guardiamo la copertina, leggiamo il titolo e ognuno di noi pensa inevitabilmente a qualcosa di diverso, vuoi per il proprio vissuto, vuoi per le aspirazioni romantiche più o meno presenti. Inoltre, durante la lettura del romanzo ci accorgiamo che il titolo, così generalizzante, abbraccia una notevole complessità di eventi, emozioni, sensazioni che vanno ben oltre l'amore, o forse che lo comprendono. 
Nelle primissime pagine troviamo Andrea, non più giovane, solo su un'isola, nella sua casa in mezzo alla natura: perché la sua Edith non è lì con lui? La natura si sta riappropriando del giardino, le api, che Edith ha sempre curato tanto, sono abbandonate a loro stesse e il silenzio è la nuova dimensione in cui Andrea è costretto a vivere. A questa dimensione della solitudine presente, si alternano ritorni del passato attraverso i ricordi di Andrea: il primo incontro con Edith, quando lui era capitano di un traghetto e lei una ventenne in vacanza con i suoi amici, profondamente diffidente davanti a qualsiasi idea di divisa o di regola. 

La lunga notte di Nives. Il ritorno di Sacha Naspini


Nives

di Sacha Naspini
edizioni e/o, 2020

pp. 133 
€ 15,00 (cartaceo)
€ 11,99 (ebook)



Nives ha sessantasette anni quando resta vedova, dopo che il suo Anteo è caduto a faccia in giù nel trogolo dei maiali. L’incipit è asciutto, come del resto asciutta, scabra, ridotta all’essenziale è sempre la prosa di Naspini. Dopo molti anni passati insieme a un altro, abituata ai suoi rumori, agli odori, a un’intimità viscerale accresciuta dall’isolamento e dal legame forte con la terra, la donna si trova sola. Non versa una lacrima, ma tutto il dolore trattenuto le si accumula dentro, creando una pressione crescente che non ha valvola di sfogo e che sfocia in tremendi attacchi d’ansia notturni.
Che non mi basto? si diceva. Scoprirlo in tarda età era una mazzata che prendeva malvolentieri. Ogni mansione si appesantiva di quell’accento: il fatto non condiviso andava perso. (p. 12-13)
Mentre avvizzisce e smarrisce la lucidità, notte insonne dopo notte insonne, sospeso sopra la testa lo spauracchio di doversi trasferire oltralpe (ma è come dire su Marte), a casa della figlia e del genero, “uno di quei tizi che per spremergli un sentimento bisogna tirargli una coltellata” (p. 10), Nives sente di perdere il controllo sulla vita, e dubita finanche di averne avuta una che potesse dire veramente propria. 

Vita e parole nei giovedì sera di Elvis

seminara i segreti del giovedì sera

I segreti del giovedì sera
di Elvira Seminara
Einaudi, luglio 2020

pp. 200
16,50 (cartaceo)
€ 8,99 (ebook)


L’ultimo romanzo di Elvira Seminara, scrittrice che negli anni ci ha abituato all’intima riflessione sui rapporti umani e sulle sue fragilità (Dall’Indecenza ad Atlante degli abiti smessi, per citarne alcuni), apre una nuova finestra sul percorso personale dell’autrice, in termini stilistici e di ricerca, e sull’apertura del suo sguardo verso l’esterno, pur restando in tema di affetti; stavolta lo sguardo balza fuori dall’orbita dell’io, allargando gli orizzonti verso altri microcosmi, legati dal filo dell’amicizia. 


Proprio nel libro in cui l’autrice compare per quella che è nella vita, una scrittrice che si fa chiamare Elvis, diminutivo di Elvira appunto, e decide di portarci nell’intimità dei luoghi in cui vive, descrivendo riti e angoli che si svolgono nella sua amata città, Catania, ecco che magicamente c’è in realtà un’annullamento del sé a favore del vissuto corale, generazionale quasi. 

La malattia, l'orrore, la vita: il nuovo libro di Marta Zura-Puntaroni

 

zura-puntaroni-noi-non-abbiamo-colpa
Noi non abbiamo colpa 
di Marta Zura-Puntaroni 
minimum fax, 2020 

pp. 192 
€ 16,00 (cartaceo) 
€ 7,99 (ebook)

 

Se c’è un Dio a cui anziani e infanti sono più vicini è un Dio crudele e primordiale, fatto della parte più autentica dell’essere umano: un Dio egoista che ti rende uguale a lui, che ti fa strappare il giocattolo dalla mano del compagnuccio più gracile, che ti fa sgomitare per avere più spazio sull’ingocchiatoio, così da stare più comodo mentre una nenia cattolica dopo l’altra cerchi, nei pochi anni che ti restano, di guadagnarti il Regno dei Cieli. (p. 60)

Nel 2017, per Altri Animali, recensivo Grande Era Onirica, quello che definivo «un esordio col botto» di Marta Zura-Puntaroni. La trama era semplice e, come dicevo, strettamente funzionale a ciò che la giovane autrice, all’epoca ventiseienne voleva raccontare: vale a dire la storia romanzata della propria depressione (a tal conosco almeno un altro autore contemporaneo che ha voluto trattare lo stesso tema dall’interno, ossia raccontando la propria esperienza: Andrea Pomella, che nel suo L’uomo che trema, Einaudi 2018, espone al pubblico oltre vent’anni di patologia. Anche di lui ho parlato, sempre su Altri Animali).

Alla fine di quella recensione sospendevo il giudizio sull’autrice marchigiana, in quanto il suo romanzo-memoir a un certo punto perdeva i contorni e si dilatava nel tempo, finendo per aggrovigliarsi su se stesso, nello stesso modo in cui i giorni di chi è depresso perdono colore e sembrano non avere fine. Era stato un errore da principiante o una scelta voluta e calcolata?