#IlSalotto - Il viaggio come ricerca del senso della bellezza errante: intervista a Elisa Orlandi

 

Foto di ©Elisa Orlandi
Ci sono libri che parlano non solo al nostro cervello, ma arrivano dritti alle nostre emozioni, sfamano e al tempo stesso affamano di curiosità. Il senso della bellezza errante di Elisa Orlandi, uscito per Calibano editore, è il reportage appassionato di dieci viaggi tra i tanti che hanno cambiato la visione del mondo dell'autrice. Leggendolo, si apprezza fin da subito l'assenza di pregiudizi che ha sempre accompagnato Elisa Orlandi: desiderio di scoperta, di incontro con l'altro, contemplazione delle bellezze di posti tra loro diversissimi (si passa dal deserto ai ghiacci), rispetto e curiosità verso le tradizioni degli altri Paesi. Anche i sapori, oltre ai colori e gli odori, trovano un loro posto speciale, perché nei vari posti l'autrice non manca di sperimentare quel che offre la cucina locale. 
Letterario nello stile, che non è mera cronaca di viaggio, ma assume tutte le sfumature del reportage, del diario di bordo, nonché di un viaggio interiore alla scoperta di sé, con immagini scattate dall'autrice, Il senso della bellezza errante è un'opera insolita nel panorama editoriale di oggi, in cui le narrazioni perlopiù sfuggono veloci a penne poco accorte, che rifuggono le descrizioni. Nell'opera, trascinante come se fossimo anche noi in viaggio, troverete un'eleganza posata e un giusto prendersi tempo per raccontare, ammirare, comunicare la sorpresa del viaggiatore.
Per approfondire alcuni dei tanti temi trattati nell'opera e comprendere più a fondo le scelte compiute, abbiamo intervistato Elisa Orlandi, che ringraziamo per la disponibilità. 

Il senso della bellezza errante
di Elisa Orlandi
Calibano, 2019

€ 18 (cartaceo)


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La tua raccolta di reportage di viaggio ha qualcosa di più: non si limita a raccontare un paese, ma tutto è mediato dai tuoi sensi, dai pensieri e dalle emozioni che hai provato. Per quale ragione hai pensato di condividere un progetto con la pubblicazione? 
All'inizio ho scritto per me, come fosse una sorta di diario, per non dimenticare quanto avevo vissuto. Non volevo che nemmeno il più piccolo dei particolari svanisse dalla mia memoria o fosse plasmato da essa in qualcosa di non corrispondente al vero perché, in quel caso, avrei perduto dei momenti, degli attimi che reputo essenziali per conservare un ricordo intenso e profondo del mio peregrinare. Rileggendo quanto avevo messo nero su bianco, cominciai a pensare che quelle storie, quelle tradizioni, quei luoghi potessero diventare più raggiungibili, attraverso la lettura, a persone impossibilitate a viaggiare ma pervase da un interesse verso culture differenti dalla nostra. Soprattutto ho voluto, attraverso le mie parole, far conoscere tratti di mondo di cui sentiamo poco parlare. Ho lasciato che fosse la semplicità quotidiana delle persone incontrate a parlare. Ho voluto vedere la realtà attraverso i loro occhi, ascoltare le sconfitte, i desideri, le piccole conquiste attraverso la loro voce per far sì che il lettore potesse sentirsi più vicino e coinvolto nonostante la distanza, come se stesse viaggiando insieme a me. 

Il titolo è fin da subito altamente evocativo: Il senso della bellezza errante è ciò di cui sei andata alla ricerca nei 10 viaggi che compongono l’opera. Come potresti spiegare questo titolo ai lettori che non hanno ancora letto il libro? 
Già dai primi viaggi avevo compreso quanto la Bellezza nostro mondo mi aveva ammaliato, abbracciandomi più volte. Sentivo il bisogno continuo di reincontrarla, di coglierla in forme nuove e inaspettate alle varie longitudini e latitudini. Era un appagamento dei sensi, inebriante. Doveva però esserci altro, qualcosa di più profondo che mi spingeva verso di Lei. Non fu né immediato né facile intraprendere quel percorso. Fu Lei a indicarmi la strada. Fu Lei a celarsi molte volte. Poi capii. E fu meravigliosamente intenso. La chiave di volta. 

I viaggi che racconti ti hanno portata molto lontana ma ti hanno anche spinta a superare continuamente i tuoi limiti, sono stati uno sprone che anche il lettore condivide. Le incertezze prima di partire per l’India, ad esempio, i pensieri contrastanti sull’elemosina in Cambogia o la scoperta di particolari usi e costumi matrimoniali a Bali sono scoperte che smuovono l’animo. Pensi che conoscere di più usi e costumi tanto lontani dai nostri possa aiutarci a combattere il razzismo ancora tanto diffuso? 
Come concetto generale ritengo che la conoscenza sia fondamentale per noi stessi come individui ma soprattutto come bene prezioso per ogni comunità. Senza conoscenza non può esserci un progresso sano e una pesudoconoscenza strumentalizzata non può che condurre a una società fallimentare e melmosa che galleggia e arranca. Se mancano le fondamenta tutto ciò che si costruirà poggerà sempre sull'incertezza, sulla disuguaglianza. Un popolo che non conosce non saprà difendersi, non avrà gli strumenti per progredire in maniera sana. Per ciò che riguarda la mia esperienza penso che l'aver conosciuto usi e costumi tanto differenti dai miei sia stato un arricchimento senza uguali. Bisogna saper ascoltare, anche ciò che può smuovere le nostre certezze e rendere quindi più difficoltosa la comprensione. Dobbiamo essere in grado di abbattere i muri dei nostri pregiudizi perché solo così potremo aprire le porte a ciò che ignoriamo e cominciare un dialogo istruttivo con l'altro e con noi stessi. I giudizi affrettati sono le pietre che innalzano quei muri. Penso che la strada da percorrere sia questa. Solo conoscendo si può volgere lo sguardo verso qualcosa di buono. C'è davvero tanta necessità di questo. Spero nel mio piccolo di far meditare le persone che mi leggeranno ed incuriosirle ad approfondire certe tematiche. 


Viaggi semplici e viaggi difficili: nei tuoi viaggi ti sei mostrata aperta alle scoperte, ma anche consapevole di ciò che potevi o non eri pronta ad affrontare, come ad esempio in Perù. Tornando indietro, c’è qualche esperienza di cui ti sei privata in viaggio che vorresti recuperare?
  
Sicuramente in ogni paese ci sarebbe stato molto, tanto altro da vivere rispetto a ciò che mi è stato possibile. Avrei voluto stringere più mani, aver avuto più tempo per fermarmi a respirare gli odori di certi luoghi, per ascoltare altre storie di vita vissuta ma mi ritengo privilegiata per le esperienze cui ho preso parte. Un rammarico, però, ad essere sincera, esiste ed è quello di non essere giunta a Machu Picchu percorrendo il "cammino Inca". L'esperienza di trovarmi di fronte alla meraviglia di quel sito archeologico con alle spalle la fatica, il fiato corto, le gambe doloranti ma soprattutto la perseveranza e la soddisfazione del traguardo avrebbero reso tutto ancora più indimenticabile. Leggendo il tuo libro mi sono resa conto di come le emozioni abbiano un ruolo centrale, siano ciò che smuove il viaggio, ma anche la migliore ricompensa dopo sacrifici e fatica. 

Qual è l’emozione più forte, positiva o negativa, che hai vissuto in viaggio e che puoi raccontarci?
Le emozioni, positive e negative mi hanno accompagnata per tutte le strade che ho percorso. Sono loro ad aver fissato con ancora più vividezza i ricordi nella mia memoria e mi permettono di ritornare ogni giorno a quegli attimi unici. L'emozione più forte credo di averla vissuta in India. Non voglio darle una valenza positiva o negativa e non vorrei svelare troppo a chi non ha letto il libro. Ancora oggi il gesto di quella donna nel tempio mi smuove un'onda immensa di sentimenti che non sono nemmeno in grado di scindere e analizzare razionalmente. Sono sempre più convinta che la preziosità di quella esperienza stia proprio nel suo essere profondamente misteriosa e totalmente inspiegabile. C'è un mondo che corre parallelo alla ragione e all'evidenza ed è stata l'India a ricordarmelo. 

Non c’è reportage senza incontri: sono tante le persone che ti sono passate davanti o che hanno condiviso con te un tratto di itinerario. Guide, compagni di viaggi organizzati, persone locali: per tutti hai un ricordo che li immortala come in una fotografia. Quanto conta il fattore umano nei tuoi viaggi? E chi, tra le tante nuove conoscenze, ricordi con particolare piacere? 
Il fattore umano è essenziale nei miei viaggi. Senza quello, il percorso, in molti casi avrebbe strizzato l'occhio all'asetticità. I luoghi spettacolari di questo mondo parlano da soli e sono capaci di donarti spettacolarità e unicità da lasciati senza fiato ma i gesti, gli sguardi, le parole di chi incontri sono un impagabile valore aggiunto che ti permette di crescere in termini umani perché il confronto arricchisce sempre. Ho capito profondamente il valore della condivisione, di chi ti donava il poco quando nulla aveva e lo faceva con un sorriso sincero. Ho avvertito tutto il potere benefico di un "grazie" attraverso il calore di un abbraccio. Ho stretto mani forti e callose, anziane e tremanti, piccole e appiccicose. Ho ascoltato storie di sconfitte, di speranza, di abisso, di rinascita. Ho visto dignità. Ho il ricordo di molte persone, che conservo come un tesoro perché ognuna di loro mi ha lasciato qualcosa su cui riflettere o semplicemente ha condiviso con me momenti di infinita e preziosa semplicità aprendomi le porta della loro casa e della loro vita. Tra le tante conoscenze un posto speciale lo riservo alla mia guida sudafricana. Una persona molto diversa da me per me per età, esperienza di vita, cultura ma che in pochi giorni ha saputo farmi entrare nel suo mondo fatto di poesia, di delicatezza, di valori. Impossibile dimenticare il significato di quelle chiacchiere serali tra i silenzi e i rumori improvvisi della savana. Le mie domande trovavano sempre una risposta nelle sue parole meditate e piene di sentimento. 


Nel libro ci sono alcune delle tue fotografie, ma so che è stato difficile scegliere quali inserire nell’opera. La tua idea di viaggio è sempre congiunta alla fotografia? Perché? 
Una discriminante nella scelta di alcune mete è stata proprio la fotografia. Un richiamo che sentivo nascere da una parte recondita di me cui ho voluto dar voce. La mia passione per la fotografia è nata col tempo ed ha subito una metamorfosi strada facendo. La ricerca delle immagini da immortalare mi ha fatto posare lo sguardo laddove sarei passata noncurante dei particolari. Mi ha permesso di non tralasciare alcuni dettagli che hanno dato ancora più significato a certe esperienze. Mi sono soffermata sulle varie intensità della luce durante il giorno e ho imparato ad apprezzare sempre di più l'introspezione che scaturisce dalle sfumature di un tramonto. Ho immortalato volti, rughe che raccontano storie, mani deformate dal lavoro, l'intensità di un sorriso improvviso, lo sguardo sognante di un bambino. Ho incorniciato il profilo di montagne maestose, la magia di deserti sconfinati, la purezza dei ghiacciai. Ho conservato i miei sentimenti difronte a quei momenti di bellezza estrema. Soprattutto ho imparato a conoscere me stessa attraverso ciò che andavo fotografando perché in ogni immagine c'è l'occhio e l'anima di chi scatta. 

Fin dalle prime pagine salta all’occhio che la tua scrittura è anche letteraria, non si limita al racconto di viaggio, ma si sofferma su dettagli, colori, sensazioni con un omaggio alla letteratura di viaggio. Sei anche una lettrice di romanzi e reportage di viaggio? Cosa ci consigli? 
Ho sempre amato la lettura fin da bambina. Prediligo romanzi, noir, saggi. Non riesco ad appassionarmi al genere fantasy. La letteratura di viaggio o comunque un buon libro che mi permetta di conoscere altre culture penso sia una meravigliosa finestra tramite cui guardare un pezzo di mondo. Se devo fare un nome sicuramente cito Tiziano Terzani. La sua scrittura arriva alla testa e al cuore. Non era solo un capace giornalista ma un uomo che sapeva cogliere le minuziosità e trarne continui insegnamenti. Tra le sue pagine trovi informazione e passione. 



Durante quest’anno molto complesso, quasi tutti ci siamo trovati a sognare un posto che vorremmo vedere o rivedere. Qual è stata la meta a cui hai pensato più spesso? 
Ho pensato spesso ai miei viaggi. Ai sapori, ai profumi, alle meraviglie di quelle terre, agli incontri. Sono ritornata molte volte sui sentieri percorsi, riguardando una fotografia o semplicemente chiudendo gli occhi. C'erano giorni in cui scivolavo sulle acque lente del Mekong o mi sedevo tra le verdi risaie balinesi. Altri in cui mi rifugiavo nella quiete di un monastero buddista o sentivo il gelido vento islandese sferzarmi il viso. Mi ritrovai nel mondo arcaico peruviano, tra le dune infuocate nel tramonto sahariano o a guardare negli occhi un piccolo kudu nella savana sudafricana. Mi sorpresi, pensierosa, a vagare nell'imperscrutabile India. A nuotare, libera, tra le tartarughe in Malesia. Ogni singolo giorno però torno un istante laggiù, dove il mondo finisce, in Cile. Il deserto di Atacama è un luogo che ha smosso e liberato qualcosa nascosto dentro di me e da allora i miei occhi osservano tutto ciò che mi circonda in modo diverso, intenso. Profondo. 

Per concludere, raccontaci le dieci cose che ogni viaggiatore deve avere con sé (puoi scegliere sia elementi astratti sia concreti). 
Sei un viaggiatore quando comprendi che il viaggio non è ciò che sta tra una partenza e un ritorno ma un'attitudine che deve entrare a far parte della tua vita quotidiana. Devi portare: curiosità, spirito d'adattamento, rispetto, tenacia, una mente libera da pregiudizi, una valigia semivuota da riempire con le emozioni. Non dimenticare: scarpe comode, medicinali d'emergenza (deformazione professionale!), un taccuino per gli appunti e i contatti utili, una reflex (e ricordarsi che i migliori scatti sono quelli nascono dal cuore).


Intervista a cura di Gloria M. Ghioni
Tutte le foto presenti nell'articolo sono state riprodotte per autorizzazione della fotografa, ©Elisa Orlandi. Vietata la riproduzione non autorizzata