"Il decoro" di David Leavitt, straordinario specchio del nostro presente, pieno di contraddizioni e di egoismi

Il decoro
di David Leavitt
SEM, 2020

Traduzione di Fabio Cremonesi e Alessandra Osti

pp. 352
€ 17 (cartaceo)
€ 8,99 (ebook)


«Vi andrebbe di chiedere a Siri come assassinare Trump?»: comincia con questa domanda, porta dalla padrona di casa Eva Lindquist, Il decoro, il nuovo romanzo di David Leavitt, appena arrivato in libreria per SEM. Al di là dell'inizio spiazzante, le risposte date dai diversi ospiti dicono già molto del loro carattere. Non ve ne accorgerete subito, certo che no, perché nelle prime pagine sono solamente nomi che si avvicendano un po' vertiginosamente, ma se rileggete il capitolo incipitario alla fine del libro ritroverete incredibili chiavi di lettura. Per il momento, invece, pazientate e proseguite con la lettura: ci troviamo, come è facile immaginare, appena dopo l'elezione di Trump e Leavitt raccoglie le reazioni di una classe alto borghese di intellettuali. Eva, ricchissima grazie ai guadagni del marito Bruce, consulente finanziario, regge la sua vita attorno al decoro e all'ospitalità: nelle sue case vanno e vengono scrittori (come Sandra), esponenti del ramo editoriale (Rachel e il marito Aaron), giornaliste (l'amica di sempre, Min, e Indira), professionisti d'arredamento (Jake e il socio Paul) e cuochi laureati (come Matt, futuro dottore di ricerca che cerca un modo per sbarcare il lunario). E poi, certamente, sui tappeti pregiati scorrazzano i tre cani di Eva e Bruce, che non a caso portano nomi di persona, e con i loro dispetti testimoniano la tensione tra i due padroni. 
A casa Lindquist sono tutti preoccupati per la loro libertà e la loro sicurezza, ben diversamente dal vicino di casa Alec, che con la moglie sta organizzando una festa per l'insediamento di Trump. Ecco perché Eva si ritrova in men che non si dica a valutare un appartamento da ottocentomila dollari a Venezia, come possibile investimento per crearsi un nido dorato, qualora dovesse lasciare l'America e cambiare vita. Supportata dall'amica Min, Eva fa in fretta a sognare un nuovo arredamento di cui dovrebbe sicuramente occuparsi Jake (e poco conta che lui non voglia tornare a Venezia); la donna è abituata a sentirsi sempre dire di sì. Come si leggerà con un po' di sgomento, tra Bruce e la moglie Eva c'è una sorta di tacito accordo, che si evince nella conversazione tra l'uomo e il vicino di casa, Alec, in riferimento all'acquisto dell'appartamento veneziano:
«Aspetta un attimo, mi stai dicendo che lo compri senza averlo visto?»
«L'ha visto Eva. Credo che lo vedrò quando andremo a firmare il contratto».
«Ma se non l'hai visto, come fai a sapere che lo vuoi?»
«Chi ha detto che lo voglio? È mia moglie che lo vuole». Bruce si fermò e si girò a guardare in faccia Alec. «La cosa fondamentale da capire di Eva e me è che abbiamo un sistema. Lei si occupa di volere, io di pagare. È sempre stato così fra noi, e se devo essere onesto, finora è andato benissimo a me come a lei. O forse più ancora a me, perché mi ha risparmiato il peso di volere cose». (pp. 184-185)
Qualcosa però si incrina nell'equilibrio tra Eva e Bruce, quando la segretaria di lui, Kathy, si ammala di cancro e il marito la lascia da sola con un mutuo da pagare e figli problematici a cui badare. Il desiderio di aiutare (anche economicamente) la donna diventa una strana crociata: Bruce trascorre con lei molto tempo per accompagnarla alle sedute, pur non volendo altro da lei, se non che accetti il suo supporto: 
Non si può certo disapprovare la compassione - o sì? Forse, se la si percepisce come parte della strategia di un'altra donna per soppiantarti. Ovviamente attribuire una cosa del genere a Kathy sarebbe stato ingiusto. Avrebbe potuto benissimo spiegarlo a Eva. [...] Era stato un gesto spontaneo e di generosità. O forse la cosa più irritante per Eva poteva essere il fatto che Bruce - che per tutti gli anni del loro matrimonio aveva lasciato che fosse lei a comprargli i vestiti e a scegliere ristorante, vacanze e amici - all'improvviso facesse di testa sua? (p. 99)
I rapporti cambiano, non fa che ripetercelo tra le righe David Leavitt in questo romanzo (e in tanti altri suoi celebri titoli): se Eva è il perno attorno cui tutti i personaggi ruotano, anche quando lei è assente - cosa che infastidisce parecchio alcuni, ma pare impossibile sottrarsi al suo carisma -, tutti sono destinati prima o poi a diventare protagonisti. Ecco allora che conosciamo più da vicino l'amarezza di Aaron per essere stato licenziato dal suo editore con l'accusa di molestie verso una donna, cosa che ha esacerbato il suo sguardo tutt'altro che tollerante nei confronti del mercato del libro (viene da pensare che anche Leavitt si sia divertito a tirar fuori qualche sassolino dalla scarpa!). O vediamo come Sandra, promettente scrittrice, non solo collabori con Aaron (suscitando talvolta le gelosie della moglie Rachel), ma miri a infilarsi nella loro rete di amicizie, conquistando i Lindquist anche con qualche colpo di testa, come autoinvitarsi alle loro cene. E che dire di Jake, che ha dedicato al bello tutta la sua vita, arredando le case di tanti ricchi americani? L'uomo ha rinunciato ad avere una propria vita in seguito a una pesante delusione e adesso gli pare strano intrattenere un rapporto (ma è giusto chiamarlo così?) virtuale con un uomo, senza sapere se lo vedrà mai. Anche il suo socio, Paul, seduttore incallito delle clienti più disponibili, pare stanco del suo stile di vita, che lo ha portato a vivere nel lusso, ma ad essere sostanzialmente sempre solo («Sono stanco delle imprese umane», dirà infatti a p. 158, espressione che potremmo riportare per molti dei personaggi del libro). 
Questi sono solo alcuni dei tanti filoni che attraversano Il decoro, mostrandoci come anche un certo stile di vita costi non solo denaro, ma anche tanta ostinazione e ancor più energie. Perdere qualche volta il ritmo, uscirsene con una domanda sbagliata o troppo personale, vuol dire essere automaticamente esclusi dal mondo di Eva (come accade al cuoco Matt). Fin troppo esigente con tutti e poco accomodante, la donna non conosce quella compassione invece mostrata da Bruce, decisamente più empatico: è forse questa differenza a portare il loro strano rapporto a scricchiolare sempre di più. È anche questo un cambiamento a cui assistiamo nel corso del romanzo: un aprire gli occhi l'uno sull'altra progressivo e irreversibile; resta in noi lettori la curiosità di scoprire se questa presa di coscienza minaccerà il loro matrimonio. 

Se siete arrivati a leggere fin qui, ormai lo avrete già capito: Il decoro è un libro parecchio impietoso, che non risparmia commenti salaci - con quell'ironia scartavetrante tipica di Leavitt - verso la politica, l'editoria, le relazioni amorose e più genericamente interpersonali. Pare impossibile tenere fuori dalle relazioni i propri interessi personali, e le rare volte in cui questo accade avviene un fortissimo terremoto sociale. Ne deriva che uno degli stati d'animo dominanti sia quello della precarietà, in tutti i settori della vita. Una precarietà forse innescata dalle elezioni, vera e propria miccia per le paure dei presenti. Chiudiamo con questa frase pronunciata da Eva, a dir poco emblematica: 
«Io penso che il problema sia che io sono sconvolta e che mi rifiuto di fare ciò che chiunque altro farebbe, ossia scivolare in questo tedio terribile oppure impegnarsi a fondo a girare la testa dall'altra parte. Ora, non sto dicendo che non lo farei anch'io, se ci riuscissi, ma non ce la faccio. Ho troppa paura» (p. 221)
Se amate la scrittura di David Leavitt, la sua capacità di affondare nei personaggi e in noi lettori senza pietà, la sua capacità di osservazione fine e mai giudicante, senz'altro troverete in Il decoro il romanzo dell'anno. Per quanto mi riguarda, sarò molto curiosa di leggere la rassegna stampa di questo libro, perché Il decoro è talmente pieno di possibili chiavi di lettura che susciterà riflessioni diverse, a seconda del filone che i critici metteranno in luce: porta a interrogarci su tanto del nostro presente, anche in qualità di europei, e le nostre paure, i dubbi, le speranze si rifrangeranno dentro questo straordinario e densissimo libro, senza offrirci la possibilità di fuga in qualche esito più rassicurante.

GMGhioni







L'America ai tempi delle elezioni di Trump: #DavidLeavit, da sempre maestro nel raccontare la società, coglie le reazioni di un gruppo di alto-borghesi intellettuali americani subito dopo la vittoria di Trump, o meglio dell'innominabile per Eva. Padrona di casa molto attenta a tenere alto il decoro (improperi, riferimenti alla vita sessuale vengono a dir poco aborriti nella sua casa), Eva vuole acquistare un esoso appartamento a Venezia per preparare una sorta di nido dove rifugiarsi, qualora l'America cambiasse radicalmente. Il marito, Bruce, è un uomo che non ha mai pensato ai propri desideri, ma a come pagare quelli di Eva. Attorno a loro e ai loro tre cani, amati come figli, tanti conoscenti (come i vicini di casa) e amici di vecchia data (esponenti del mondo editoriale e giornalistico, perlopiù), dipendenti dallo stipendio dorato (come l'arredatore Jake o il cuoco, che cambia però a seconda dell'umore di Eva). Contraddizioni, soldi come effetto placebo per una vita fondamentalmente frustrata, interessi personali celati da amicizia e da decoro (non a caso lo ripetiamo per la seconda volta) e molti sentimenti normalmente tenuti a bada emergono dalle conversazioni serrate (in cui #Leavitt è un genio). Un romanzo con tanti personaggi che diventano a mano a mano protagonisti per qualche pagina. Presto la recensione di @gloriaghioni! Avete già letto altri romanzi di David Leavitt? Vi intriga questo? #CriticaLetteraria #SEM #SocietàEditriceMilanese #bookstagram #Semlibri #inlibreria #IlDecoro #instalibri #bookish
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