"Luce ovunque, si veda tutto": la prosa nuda di Jonathan Bazzi

Febbre
di Jonathan Bazzi
Fandango Libri, 2019

€ 18,50 (cartaceo)
€ 9,99 (ebook) 

La febbre logora, consuma, riarde. La febbre confonde, indebolisce, disarma. La febbre arriva, in un giorno qualunque di gennaio, e non va più via. Da quel momento, la vita del protagonista cambia radicalmente, subisce un’inversione di senso; quel giorno è, per Jonathan, "il confine, lo spartiacque – tra quello che ero e quello che sono" (p. 9). Da quel momento inizia una ricerca, la ricerca delle cause, che si trascina in un crescendo progressivo di ansia, in un affastellarsi di ipotesi sempre più angoscianti e però sempre smentite, fino ad arrivare alla diagnosi della sieropositività, che paragonata alle supposizioni errate, alimentate da una consultazione compulsiva di blog e forum online, appare quasi rassicurante. 
Meglio l'HIV di altre patologie più inquietanti o potenzialmente letali, o così almeno si ripete – e ripete a tutti – il narratore, senza darsi il tempo di riflettere e assimilare un cambiamento definitivo di stato. L'assumere il ruolo del consolatore, di colui che deve ostentare sicurezza e serenità per tranquillizzare chi gli sta intorno, finisce per bruciare più della febbre, per scavare un solco sempre più profondo nella coscienza del protagonista che, senza accorgersene, vi scivola dentro e inizia ad affondare senza opporre resistenza.
Vittima perfetta, preda di un delirio autoreferenziale, Jonathan respinge chi lo ama – già invaso dal virus non accetta altre intromissioni, semmai le subisce passivamente, preda di un'atonia sempre più radicale. Nel mentre, però, la diagnosi obbliga a una ridefinizione integrale di sé, della propria intera esistenza. Ecco dunque che nel romanzo si alternano due piani temporali: il presente in cui il protagonista lentamente prende consapevolezza della propria condizione, la accetta e decide di reagire, e il passato, la storia di una formazione spietata, vissuta in mezzo alle asprezze e alle contraddizioni di un quartiere degradato. 
Comprimario della narrazione è infatti senza dubbio Rozzano, 
il Bronx del Nord: il paese dei tossici, degli operai, degli spacciatori. I tamarri, i delinquenti, la gente seguita dagli assistenti sociali. [...] Una specie di Sud senza il calore del Sud. È Sud sradicato e reimpiantato in fretta. Un concentrato delle difficoltà delle piccole periferie della Calabria, della Sicilia, della Puglia, della Campania, innestato in mezzo al freddo e alla nebbia della Pianura Padana, in mezzo ai suoi ritmi, ai suoi standard. È Sud raffreddato, senza mare, senza famiglia, senza più tradizioni. (p. 24, 25)
A Rozzano vigono codici culturali e leggi a sé stanti, che devono essere condivisi per poter sopravvivere; a Rozzano imperversano i "maschi", la brutalità, il calcio come segno di virilità. Da Rozzano si può provare a scappare, ma di Rozzano non ci si libera mai: la crudeltà delle regole del ghetto, le relazioni disfunzionali sono qualcosa che si incista dentro, che definisce una personalità e uno stile di vita. Eppure segno della grande intelligenza dell'autore è il non cercare di creare forzosamente una relazione di causalità tra le due parti che compongono il romanzo: non c'è alcun cedimento al determinismo, alcun desiderio di suscitare compassione. La scrittura, anzi, è asciutta, a tratti tagliente, e mira a una completa messa a nudo – perfettamente incarnata nell'idea della trasparenza del protagonista: 
Rifiutando l'obbligo al silenzio mi sono reso trasparente, ho la pelle d'aria, all'occorrenza scompaio: le parole – gentili, feroci – non mi si fermano dentro. (p. 316)
Il testo risuona di echi colti, in particolare si sente, forte e pertinente, il rimando a Susan Sontag, che condannava la tendenza ad attribuire un valore metaforico, e peggio morale, a malattie come il cancro o l'AIDS, aggravando con il peso del pregiudizio, della colpevolizzazione e del biasimo sociale, quello della malattia stessa. Proprio per sfuggire a questa pressione, insostenibile e ingiustificata, l'autore sceglie la via della parola. A chi lo vorrebbe silente, umiliato, in imbarazzo, Jonathan oppone la forza della sua voce, il rifiuto di lasciarsi mortificare e mettere all'angolo. La prova più difficile, ci dice il romanzo, è il confronto con se stessi, con il proprio passato, con le prospettive future. È impedirsi di cedere – soccombere – a una "condizione corporea, oggettiva", di considerarla qualificante, indicativa del valore della persona:
Il virus in realtà non dice niente di me, non dice niente di chi ce l'ha. Sempre lo stesso, uguale per tutti. Semmai conta il modo in cui chi ce l’ha assume su di sé la sua diagnosi, lo stile con cui sceglie o riesce ad attraversarla. Ci avete mai pensato? Ve ne frega davvero qualcosa? [...] Quando scopri di avere l'HIV pensi di essere l'unico al mondo. [...] Nube oscura, cappa, vietato parlare: siccome nessuno lo dice hai l'impressione di averlo solo tu. Non è così: lo scopro rifiutando la tradizione del pudore. (p. 312)
Il pudore implica un desiderio di proteggere un nucleo intimo, custodirlo dal male, dalla cattiveria del mondo; al tempo stesso, però, Bazzi ne mette in luce un aspetto meno indagato: il pudore può diventare prigione, se non è sentito ma imposto dall'esterno, legato alla paura del giudizio o del pregiudizio. Ecco allora l'importanza di liberarsene, di proclamare a gran voce la propria condizione non di malato, ma di sopravvissuto (innanzitutto alla paura, alla paralisi). È qui che si intravede il nesso con l'infanzia rozzanese, che le due parti in cui si articola la vicenda si rincontrano, si saldano a formare un unicum compatto ed efficace: proprio la realtà scabra e violenta di Rozzano è diventata infatti maestra, è diventata – come la definisce l'autore – φάρμακον, "il veleno e l'antidoto". A Rozzano Jonathan ha imparato "lo sradicamento silenzioso, il vuoto della non appartenenza". A Rozzano, ci dice, "mi sono abituato all'idea che mi dovrei vergognare di quello che sono e ho capito che il patto velenoso si può spezzare raccontando tutto" (p. 320). 
Dalla sua infanzia emarginata, ferita, inascoltata; dai legami affettivi labili, dall'inadeguatezza delle figure di riferimento sono scaturite la forza, la disciplina, l'autonomia di pensiero. Nel continuo sentirsi diverso, il protagonista ha trovato le risorse per fare di questa diversità una virtù, per accantonare la vergogna di sé. L'effetto di questa deposizione del pudore è una narrazione durissima, implacabile e battente, che non cela niente ("Luce ovunque, si veda tutto", p. 311). Non tutti leggeranno con facilità e piacere questo romanzo, perché nell'esporre se stesso l'autore obbliga a un'analoga operazione anche il suo pubblico. Il romanzo chiama sincerità, autoanalisi. Mette l'uomo medio di fronte ai suoi stessi limiti: chiunque si senta sicuro, aperto, tollerante e libero da pregiudizi, verrà continuamente interpellato, deliberatamente messo in difficoltà. Se deve essere luce, che luce sia, su tutto, anche sulle ipocrisie degli illuminati. Febbre costringe a un bagno di umiltà, che a tratti affatica, in alcuni momenti imbarazza, alla fine inevitabilmente rigenera.

Carolina Pernigo









Per festeggiare il compleanno di @jonathanbazzi, @quinquilia ha iniziato a leggere il suo #febbre, recentemente edito da @fandangolibri. Quella che alla nostra redattrice si spalanca di fronte è un'opera dominata a un tempo da una tagliente onestà e da un'alta qualità letteraria: in una giornata di gennaio solo apparentemente come le altre, al narratore viene la febbre e da quel giorno non va più via. Sono i primi sintomi della sua sieropositività, la cui diagnosi arriva completamente inattesa e quasi stordente. La narrazione si muove quindi tra il presente della presa di coscienza, e il passato - con ampi flashback sulla realtà connotata, degradata di una Rozzano in cui se non sei "maschio", possibilmente sportivo, o al massimo giornalista sportivo, hai poche possibilità di emergere. Un romanzo con cui l'autore guarda, senza paura e con uno sguardo pungente, alla propria esistenza, mettendosi a nudo davanti al lettore. L'avete già letto? È piaciuto anche a voi come sta piacendo a noi? #instabook #instalibro #bookstagram #bookoftheday #bookish #igreads #igbooks #readingnow #newbook #bookaddict #booklover #cover #bookcover #inlettura #cosebelle #jonathanbazzi #fandangolibri #instaread #rozzangeles
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