In "Cattiva" totem letterari e tabù da sfatare

Cattiva
di Myriam Gurba
Fandango Libri, 2019

pp. 261
€ 18 (cartaceo)

Cattiva è un libro che sfugge a ogni etichettatura. Quando l’ho scelto mi appassionava l’idea che fosse un po’ memoir, un po’ noir, con una strana storia di fantasmi e persecuzioni sullo sfondo e soprattutto che parlasse di un’esperienza autobiografica legata allo stupro. Myriam Gurba, la narratrice, è un’artista, nata e cresciuta in California, ma è anche un melting pot di culture, nata da madre messicana e da padre americano, con origini polacche, che cerca una risposta a molte domande della sua adolescenza e soprattutto il superamento del trauma dello stupro. 
La mia vita cominciò da figlia unica che parlava una sola lingua. E questa lingua mescolava l'inglese e lo spagnolo. Derivò tutto da un patto tra i miei genitori: papà, che era americano e aveva gli occhi verdi, mi avrebbe parlato in inglese. Mamma, messicana per nascita, e femminista per scelta, promise di rivolgersi a me nella nativa lingua romanza, condita con un po' di Nahuatl. (p. 14)
Lo stesso uomo che le ha usato violenza è responsabile di altri crimini, tra cui l’omicidio, a sfondo sessuale, di una ragazza molto simile a Myriam, Sophia, da cui la stessa autrice è quasi ossessionata, arrivando ad immedesimarsi completamente nel suo vissuto e nel suo terrore. I temi che si toccano dentro il romanzo sono molteplici, sullo sfondo degli anni Novanta, della divisione razziale, della paura per l’Hiv. Lo stile è politicamente scorretto, le opinioni dissacranti ci raccontano di un mondo disincantato, tipico dell’adolescenza ma anche un mondo che resiste al perbenismo, alle apparenze, ai canoni, e ribalta il punto di vista. 
Mentre lo guardavo da dietro le tende bianche di pizzo del soggiorno, sapevo che per lui sarei stata la preda perfetta. È questo che facevano quelli come lui, una volta, in California. Ci trasformavano in frutta esotica. In manghi, forse. La morte della sottoscritta avrebbe fatto di lui un bianco migliore, nel passato di questo Stato. (p. 104)
Lo stile è la cosa che mi ha colpito di più, non ne sono rimasta affascinata, perché l’ho trovato molto crudo e a tratti molto lontano dal mio modo di concepire la scrittura, ma di sicuro è un linguaggio che arriva al cuore delle questioni. Il libro appare molto condizionato, a mio avviso, dalla personalità visionaria dell’autrice, che, non nascondendo il debito artistico nei confronti di Ana Mendieta e Hannah Wilke, riesce a dare il meglio di sé proprio nelle sequenze descrittive, passando da un registro alto ad uno gergale, giocando con le parole come fossero immagini, utilizzando le figure retoriche per sconfinare dalla prosa alla poesia, attraverso quello che definirei un vero e proprio linguaggio di genere, dove il concetto di superficie e corpo travalicano l’aspetto mentale, lo frantumano attraverso la percezione corporea. 
Verso mezzogiorno mi mettevo i sandali e andavo a camminare per le vie senza marciapiede del quartiere. Cercavo di schivare gli sputi dei lama, mentre stringevo al petto le biografie di qualche donna famosa. Mi immergevo nella lettura giù vicino al fienile abbandonato. Femminismo, l'odore del fieno, il filo spinato. Un sole che non dovevo dividere con nessuno. Erba. (p.164)
Ogni cosa è vissuta attraverso il corpo, ogni emozione è trasformata in una sensazione corporea, quasi a tatuare nella mente del lettore il contesto, che è quello e soltanto quello e non è adattabile ad ognuno di noi, se non immedesimandosi totalmente in quell’esperienza, come del resto la stessa Myriam fa sia con le vittime, che coi i carnefici. La narrazione scardina i totem letterari e ci pone davanti una serie di tabù da sfatare, da quelli sessuali a quelli razziali, a quelli femminili e maschili.
Sono i carnefici di un’idea di purezza e di giustizia elitaria i veri destinatari del messaggio, emblematica è la figura di Michael Jackson, su cui pesano accuse di pedofilia o del professore che vede la molestia e si gira da un’altra parte. 
Non è un libro per tutti, ma solo per chi voglia rischiare un’esperienza forte, immaginifica e reale al tempo stesso, che va oltre il concetto del genere letterario, del genere sessuale e del linguaggio stesso. Un’assoluta novità, che come tutti i libri nuovi, può piacere o meno, ma ha una sua precisa identità.

Samantha Viva






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