La maestria delle piccole cose: "La gente non esiste" di Paolo Zardi

La gente non esiste
di Paolo Zardi
Neo edizioni, 2019

pp. 207
€ 14



«Non serviva molto per sembrare intelligenti: desideri minimi, e grandi paure. Forse era per questo che il robottino del prato sembrava vivo. Una sera l’aveva sorpreso mentre, con le ruote piene di fango, tornava nella sua casetta a ricaricare le pile, dopo una giornata di duro lavoro» (p. 121).
Dopo tre romanzi – il capolavoro XXI secolo (Neo edizioni, 2015), il delicatissimo La passione secondo Matteo (Neo edizioni, 2017) e l’irruento Tutto male finché dura (Feltrinelli, 2018) – Paolo Zardi torna alle origini, a quei racconti con i quali ha esordito nell’ormai “lontano” 2010, sempre con la Neo edizioni. 
Ma forse è sbagliato parlare di ritorno alle origini; ché, a ben guardare, da quell’Antropometria, da quella misurazione dell’uomo intesa come studio dell’animo umano, Zardi non sembra essersi mai allontanato, neanche quando raccontava dell’Italia fatiscente che sembra aspettarci dietro l’angolo, in un futuro così prossimo da essere quasi oggi. Come gli zoologi tentano di studiare i comportamenti animali osservandoli nei loro habitat naturali, durante i rituali quotidiani, cogliendoli in uno sbadiglio, negli accoppiamenti, nel bel mezzo di un pasto, così lo Zardi antropologo “ci” osserva e studia attraverso le nostre banali, disarmanti abitudini.
Il primo racconto, Ombrelloni, in questo senso è un incipit ma anche una dichiarazione d’intenti: otto pagine di indagine, otto pagine di osservazione di un’unica scena, scandagliata nei dettagli dei piccoli gesti e negli altrettanto piccoli pensieri. Piccoli pensieri, o pensieri piccoli, ché in questo caso spostare l’aggettivo prima o dopo non cambia molto: è proprio durante il normale fluire delle considerazioni più comuni – un pasto, le cose da fare dopo il lavoro, la telefonata di un amico che non vediamo da anni – che possono avvenire le epifanie più stupefacenti, in grado di sconvolgere le vite.
È nella capacità di saper cogliere quei momenti di transizione fra un evento e l’altro che fa di Zardi un grande scrittore: la sua è una maestria delle piccole cose, il suo è un occhio clinico che senza sangue e senza rivoluzioni armate porta sul palco dell’esistenza ciò che di più fondamentale esiste. Sono barlumi appena di consapevolezza, emersioni in superficie che rischiano subito di sprofondare giù se il pensiero immediatamente successivo ci turba, se la scena che abbiamo davanti ci distrae. I personaggi di Zardi, donne e uomini comuni come chi scrive questa recensione e come (probabilmente) chi la legge, sono sempre in bilico fra il lasciar andare questi pensieri per tornare al quotidiano e l’assecondarli, il seguire quel filo di Arianna che, paradossalmente, conduce all’interno del labirinto e non fuori.

Non posso dire di aver amato tutti i ventisette racconti che compongono La gente non esiste: personalmente parlando Neolingua e Il ventunesimo secolo li ho trovati poco riusciti – il primo mi sembra si perda in una serie di considerazioni slegate, un tantino forzate, il secondo non è stato in grado di prendermi sin dalle prime righe – ma sono solo due gocce d’acqua nel mare nostrum della letteratura zardiana, che tocca picchi altissimi con Le sottili pareti del cuore, Urano e Igloo i quali hanno quell’inconfondibile capacità di trasportare verso altre realtà tipica delle grandi opere d’arte; il fatto che siano consequenziali rende quella ventina di pagine degne di nota. Urano e Vita, poi sono racconti che riesco a definire solo come una sensazione di finis terrae: una sorta di approdo dell’umanità, che mai come in questo periodo storico sembra dover riuscire a prendere le decisioni giuste per far sì che il futuro esista ancora, per non ritrovarsi, volendo fare una connessione forse azzardata ma credo azzeccata, nel mondo post apocalittico della Strada di McCarthy.

È nei racconti che lo scrittore padovano dà il meglio di sé, per due motivi strettamente connessi: il primo è che la brevità, com’è noto in questo campo, costringe alla sintesi o, ancor meglio, all’intensità, a una tensione emotiva che esplode in poche pagine, cosa di cui non tutti sono capaci ma che per altri è una sorta di ambiente naturale; il secondo è che è vero che la gente non esiste, che «esistono gli uomini, i loro insopprimibili desideri, le speranze insondabili, le misteriose direzioni che tessono ogni vita», come si legge in quarta di copertina, ma è proprio nell’esplorazione della pluralità e nella capacità di proiettarsi negli altri esseri umani, nei loro sogni, nelle loro paure, nei loro dubbi, che Zardi trova se stesso e in qualche modo ci consente di partecipare alla grande indagine antropometrica che, in fondo, molti di noi tentano di portare avanti.

David Valentini