Sciabordio di parole e musica: Indifesa di Giuseppe Cesaro


Indifesa
di Giuseppe Cesaro
La Nave di Teseo, 2018

pp. 295
€ 16

Come fare per raccontare una storia di ambiguità e sfumature sessuali non ben definite, anzi completamente fuse assieme, dove l’identità non è mai una ma, sulla scia delle onde solcate da Odisseo, è sempre molteplice e multiforme? Sono principalmente due le strade: o ci si innalza sopra l’oceano del non definito con la leggerezza di un fantastico manga come Ramna ½ oppure, ed è il caso di Indifesa di  Giuseppe Cesaro, uscito in questi giorni per La Nave di Teseo usare la pesantezza del temo come testa d'ariete per abbattere le resistenze del pubblico. Indifesa infatti racconta l’indicibile, un uomo che diventa donna e una donna che diventa uomo senza un perché e senza un per come, ma semplicemente accade, con la soave leggerezza delle parole. 

D’altronde, Cesaro, con la leggerezza delle parole (che si fa pesantezza di significati e significanti nel loro concatenarsi) ha una lunga frequentazione: è stato consulente dei testi di alcune canzoni di Claudio Baglioni, uno dei più importanti, comunque si giudichi la sua produzione musicale, cantanti italiani. Da questo ramo pop e “leggero” delle parole, mosse dall’insondabile ritmo del mare si snoda Indifesa: un romanzo marino, che sa di sale, un po’ come le lacrime. Non sempre segno di tristezza ma, talvolta, simbolo di un’immotivata gioia. 

Andrea, il protagonista del romanzo (nome scelto non a caso dato che, almeno in italiano, può essere “dato” indistintamente sia a un uomo come a una donna), è un bambino introverso, schivo, che ama leggere e contemplare le cose, piuttosto che viverle. La sua vita si divide tra la frequentazione di un rigido collegio religioso e la propria famiglia, altrettanto rigida e impostata, specie per quanto riguarda la figura del padre. Andrea non ha particolari qualità o inclinazioni tranne forse un’irrazionale attrazione, quasi rabdomantica, per la musica, espressa nella riuscitissima scena del pianoforte. Eppure questa esistenza minuta e in sordina si chiude entro se stessa con violenza: una mattina, colpito da lancinanti dolori allo stomaco, Andrea si rifugia nel bagno della scuola dove scopre l’insondabile. Egli non più un giovane adolescente maschio: quella mattinata egli è diventato una ragazza. La macchia di sangue che si allarga sui pantaloni ne è la tangibile prova.

Quella che potrebbe essere una vera e propria metamorfosi, più nella variante orrifica di Kafka che in quella elegante di ovidiana memoria, non cambia in fondo troppo le carte in tavola nell’esistenza di Andrea. Ne aggrava certamente la situazione, ma non ne sposta i binari. Il giovane ragazzo (o la giovane ragazza, fate voi) è infatti oggetto degli scherni dei compagni di classe, una vera e propria banda che, a parte qualche solitario ed eroico professore che, per brevi attimi, ne carpisce l’attenzione, è un coro indistinto di lupo famelici che trascorrono il tempo a blandire il povero Andrea.

Questo dato di fatto, di essere un minor nato, non solo è descritto da Cesaro con grande grazia nella sequenza in cui il protagonista afferma: “non mi è mai più capitato di scendere le scale senza attaccarmi al corrimano”, per paura appunto di essere spinto e spintonato come accadeva all’uscita di scuola,  ma anche nel rapporto col padre che, a differenza della madre, non comprende, anzi, non vuole comprendere la condizione del figlio e si rintana prima in una sorda rabbia e poi cessa praticamente ogni tipo di rapporto con Andrea. 

Andrea però cresce e in un largo arco narrativo (che Cesaro percorre senza soluzione di continuità dai 13 agli 80 anni) e, grazie ad una macchina fotografica trovata per caso nei cassetti della madre mentre cercava dei vestiti da donna da indossare, trova la sua vera inclinazione: la fotografia. Tramite il diaframma della macchina Andrea riesce a “leggere” le persone cosa che invece, nella vita di tutti i giorni e nei rapporti quotidiani, egli è completamente incapace, o quasi.

Solo Livia infatti, ex compagna nell’odiata scuola, riesce a capirlo o, per meglio dire, non vuole capirlo ma, semplicemente, stargli accanto. E non per fargli del male come, quasi sempre, è capitato nella sua vita. Una vita libera, coraggiosa anche, ma trascorsa sempre senza alzare mai la voce perché “la violenza mi blocca, mi paralizza”. 

In un mondo che è tutto un mostrar di muscoli e un gridare le proprie ragioni, Andrea si tira fuori e, come una creatura dei sogni, si può spogliare della sua essenza umana solo nelle notti di luna piena: per questo motivo può fare il bagno al mare solo nelle notti di luna piena. Nessuno lo deve disturbare nella sua perfetta e complessa imperfezione.


Mattia Nesto