Pillole d'Autore. Porte magiche in un mondo di barriere: "Exit West" di Mohsin Hamid

Foto di Eleonora Festari
C'è una città nel Medio-Oriente in cui la guerra imperversa distruggendo i palazzi, le abitudini e le speranze dei suoi abitanti, facendoli vivere in uno stato di perenne coprifuoco. In questa città vivono Nadia e Saeed, due giovani molto diversi - mite e legato alla propria famiglia lui, indipendente e orgogliosa lei - che si incontrano e aspettano diversi giorni prima di rivolgersi la parola. Si sa che nelle città come la loro i rapporti tra uomini e donne sono regolati dall'attesa. 

Così nasce la storia d'amore raccontata in Exit West (recensito anche da Gloria qui), seconda prova di Mohsin Hamid, già autore de Il fondamentalista riluttante: nell'attesa di una tregua tra un bombardamento e l'altro, nell'attesa di poter di nuovo uscire di casa per rincontrarsi o di ricevere un segnale per parlarsi o semplicemente stare in silenzio a guardarsi, magari ascoltando musica su un vecchio giradischi. 


La città di Nadia e Saeed non avrà il nome, ma ha sicuramente le fattezze della guerra del nostro mondo e la loro storia ha il ritmo di un tempo preciso: quello delle migrazioni
Il più rilevante fenomeno della nostra contemporaneità viene raccontato con il taglio del realismo magico. Quando la morte sembra essere la possibilità più vicina, Nadia e Saeed decidono di lasciare il loro paese. Si dice in giro che ci siano porte in città che, se varcate, ti portano in luoghi lontani. Una leggenda metropolitana, ma quando non hai nulla da perdere il rischio vale un tentativo.
Attraversata la porta, con quel coraggio pieno di dubbi di chi parte, si ritrovano su una spiaggia di un altro paese; è il primo passo di un percorso che li condurrà ancora più lontani da casa, alla ricerca di accoglienza. Nel viaggio cambiano le prospettive, le relazioni, la capacità di sottostare alle condizioni di un mondo sempre più incline alla costruzione di barriere. Cambiano Nadia e Saeed e con loro questo amore. 

Il viaggio doloroso dei migranti è rappresentato attraverso la metafora della porta magica che rappresenta la scommessa, l'ignoto, la prova che non sei certo di superare. Vi si ritrova il senso della scelta di chi affida la propria vita al mare, percorre a piedi i chilometri di confine tra uno stato e un altro o cerca di costruire una casa per i propri bambini anche in una tenda che non ricorda una casa. 
In molti hanno parlato di Exit West come di un libro "necessario" per comprendere cosa si prova a lasciare casa propria in cerca di salvezza, come si cambia alla fine di un viaggio in cui la posta è la vita. In un mondo unificato dalle reti tecnologiche e digitali, ma separato dai divari della geopolitica e della guerra, avremmo tanti modi per approcciare ciò che sta succedendo attorno a noi: dal giornalismo all'attualità, dall'attivismo all'analisi del quotidiano, dalla testimonianza all'impegno. Questo libro secondo me non è necessario tanto perché ci racconta cosa sta succedendo: ha il pregio di essere intelligente e, nella sua semplicità di struttura (che si lega talvolta a uno stile dalla resa un po' fredda e distante), affila la lama dentro un tema fondamentale. 

È la dimostrazione che il racconto dei temi più complessi richiede una condizione essenziale: la scelta di una prospettiva di valore. E conferma che la fiaba racconta la realtà tanto quanto un reportage. 

La sospensione dell'incredulità rende possibile cercare la salvezza varcando una porta che dall'inferno di questo mondo conduce all'ignoto. E questa porta non si apre solo in paesi di guerra, ma ovunque nel mondo, da Sidney ad Amsterdam, da Mykonos a San Francisco. 
C'è il senso dell'emergenza dei nostri giorni, ma anche quello storico delle migrazioni di ieri, a latitudini geografiche e temporali differenti. Il libro in sé è un invito a farsi una domanda sul concetto di migrazione perché "tutti emigriamo anche se restiamo nella stessa casa per tutta la vita, perché non possiamo evitarlo. Siamo tutti migranti attraverso il tempo". È un invito a costruire delle porte che ci diano ancora libertà di scelta

Edizione di riferimento: Moshin Hamid, Exit West, traduzione di Norman Gobetti, Einaudi, Torino, 2017


La televisione e la radio diffusero un comunicato con la decisione del governo, una misura antiterrorismo provvisoria, dissero, ma non specificarono con quale scadenza. Anche la connessione a internet fu interrotta. A casa Nadia non aveva una linea fissa. E quella di Saeed non funzionava da mesi. Privati della finestra sull'altro e sul mondo fornita dal telefono, e confinati nei rispettivi appartamenti dal coprifuoco notturno, Nadia e Saeed, e innumerevoli altre persone, si sentivano isolati e soli e molto più impauriti. 


Dormirono poco quella notte, la notte prima della partenza, e la mattina il padre di Saeed li abbracciò, disse loro addio e si allontanò con gli occhi umidi, ma senza esitare, pensando che era meglio se andava via per primo invece di costringere i due giovani a uscire di lì angosciandosi per lui che li guardava da dietro. 


Di notte, nell'oscurità, mentre i droni, gli elicotteri e i palloni spia si aggiravano a intermittenza nel cielo, ogni tanto scoppiava una rissa, e c'erano anche omicidi, stupri e aggressioni. Alcuni nella Londra buia davano la colpa a provocatori nativisti. Altri davano la colpa ad altri migranti, e cominciavano a spostarsi, come carte ridistribuite dopo che un mazzo è stato mescolato...


A cura di Claudia Consoli