#IlSalotto - Con Mario Desiati



Mi lega a Mario Desiati un affetto istintivo. Nell’ultimo anno ci siamo lanciati scarsi segnali ma d’altronde Mario frequenta poco i social e, soprattutto, l’Italia privilegiando la Berlino meno pangermanica che la storia ricordi. Ne scopriremo tracce nel suo prossimo romanzo. Intanto ha pubblicato per Einaudi “Candore”, qui recensito da Gloria Ghioni (leggi la recensione). Era il richiamo che aspettavo per ricomporre il suo numero, girovagare tra letteratura e Juventus e giungere alla storia di Martino Bux.
L’ossessione del porno, per le attrici-vestali che lo hanno popolato, la fantasia incandescente che accompagna Martino durante la vita, che è la fantasia di tutti noi uomini, sia chiaro, servono anche a sezionare un mondo da bassifondi che conduce Mario, come raramente gli è capitato, lontano dalla sua Puglia e dentro a una Roma decameronica. Perché Roma?
«Perché è l’ambientazione perfetta. Intanto Roma è l’unica metropoli italiana, in cui un uomo di provincia con certe aspirazioni, anche se fondamentalmente privo di talento, può provare a emergere. Poi Roma ha questa sua doppia vocazione, spirituale e temporale, dove la trasgressione e l’effrazione sessuale sembrano difficili ma in realtà ci sono e la rendono la città dal passato più libertino. Basti pensare a quello che succedeva durante l’epoca imperiale. Roma ha questo di stimolante: l’aspetto sessuale resta sottotraccia, sotterraneo, ma poi tutto è consentito. Posso citare il racconto che mi ha fatto il proprietario di un sexy shop che ha realizzato affari maggiori durante il giubileo che in altri periodi. Roma dunque è il territorio di Martino Bux, una persona notturna che la attraversa come un animale sotterraneo».

Martino Bux somiglia al protagonista di una fiaba metropolitana in cui ci sono continui ventri di balena pronti a inghiottirlo perché non ce la fa proprio a trasformarsi da burattino in bambino per bene.
«Una condizione non infrequente in molti maschi della mia generazione. In effetti, con Martino siamo a uno stadio ancora antecedente a quello di Peter Pan. Siamo più vicini a Pinocchio, ma a un Pinocchio con scarse possibilità di liberazione, un Pinocchio che si lascia trascinare dalle cose più che provare a farle, che ricerca lo stupore perfino da quarantenne. Tuttavia, sono questi tratti che me lo hanno fatto scegliere come personaggio portante: Martino, ammettendolo a se stesso e dicendolo agli altri con candore, vuole rivivere per sempre ciò che ha ammirato a 18 anni in un film porno durante una scena di gang bang. Egli stesso somiglia al soggetto passivo di un’ammucchiata, è un uomo disposto a subire di tutto. E alla fine subisce di tutto».

Devo fare una piccola digressione: sei riuscito a confrontarti con un tema delicato mantenendoti lungo il binario tipico della tua scrittura, la delicatezza. Non c’è una pagina del libro dove la butti in caciara o che induca a considerazioni moralistiche. Cosa tutt’altro che scontata. Hai detto che l’ossessione di Martino è il porno. Perché proprio il porno, potevi scegliere, che ne so, il cinema caucasico oppure David Foster Wallace e avresti potuto restare su un terreno sempre in bilico tra sanità mentale e squilibrio.
«Perché è un mondo che conosco bene e da tanto tempo, anche per esperienze di lavoro che mi hanno portato in contatto con posti trasgressivi. Per cui avevo in canna questo libro almeno dal 2003, buttavo giù appunti di anno in anno e a un certo punto mi sono accorto di avere sottomano vari personaggi. Allora ho dovuto fare una cernita, alcuni li ho cestinati, altri li ho salvati dando loro tuttavia un peso relativo. Dalla selezione è uscito di prepotenza Martino Bux. Nel 2013, quando ho cominciato, con compiutezza, a lavorare a “Candore” sapevo su chi puntare: l’unico dotato, appunto, di candore».

Strano optare per pulizia e sincerità quando si ha a che fare con pornografia, papponi e locali da quattro soldi. Potevi scegliere un bastardo, no?
«Il candore era lo sguardo che mi affascinava di più, se vuoi che mi somiglia di più. Pensa a come Martino racconta le donne. Le donne sono volutamente stereotipate, appaiono soltanto perché è il suo punto di vista a materializzarle, dunque restano personaggi più bidimensionali rispetto a lui. Martino Bux vede e percepisce la donna alla maniera angelicata del dolce stilnovo, dove veniva elevata ma privata così di una serie di qualità. Ogni donna del romanzo per Martino è una divinità che tuttavia rimanda alle sue vere muse, le attrici porno. Non stiamo parlando dunque di un supereroe, ma di uno guidato da un occhio malato che, come chiunque, convive con un profondo punto di rottura: che a lui si è creato nella faglia del pudore. “Candore” vuole provocare disagio in chi lo legge. In fondo è ciò che cerco anch’io: ovvero libri che mi facciano sorgere dubbi, non sentire più figo e intelligente senza aggiungere nulla. Voglio punti oscuri dalla letteratura, l’intrattenimento è un’altra cosa».

Concludo con quella che ad alcuni è apparsa la grande provocazione del romanzo, ad altri una blasfemia. Parlo ovviamente del paragone Pasolini - Siffredi e delle ammucchiate di Rocco come la fedele riedizione dei Pratoni della Casilina. E se anche qui fosse invece una questione di candore?

«Smitizziamo un po’ questo passaggio che mi ha fatto divertire a suo tempo, quando l’ho scritto, e che mi fa divertire adesso quando viene commentato. È Martino Bux a fare questo parallelo, non Mario Desiati, e a crederci convinto. Per Mario Desiati è un paradosso, giudicato in maniera più o meno maliziosa da chi scrive e parla di libri, funzionale al romanzo. A me piaceva giocare, non provocare, su quell’appunto di “Petrolio” che richiamerebbe le gesta di Rocco Siffredi e con questo gioco, in termini più letterari, trovare uno dei tasselli funzionali a edificare l’essenza del protagonista».

Marco Caneschi