#CritiComics | Un Frankenstein a fumetti a metà tra il romanzo e i film

Frankenstein di Mary Shelley
di Giulio Antonio Gualtieri e Riccardo De Stena

Star Comics, 2015

pp. 111
€ 15.00


Una delle particolarità del Frankenstein di Mary Shelley è la sua capacità di non mostrarci mai nulla dei fatti salienti e al contempo farci invece sprofondare in dettagliate descrizioni dei paesaggi cui Victor Frankenstein è solito affidare i suoi pensieri durante lunghe cavalcate o vagabondaggi. È tutto in questa dicotomia lo scontro tra nichilismo e romanticismo che la Shelley usa come scheletro per il suo romanzo: se da una parte la scrittrice ironizza velatamente sugli ideali romantici (prendendo di fatto in giro anche il marito e la sua cerchia di amicizie) costruendo con Victor Frankenstein un personaggio concentrato solo su sé stesso, sui propri pensieri e su ideali cui non è mai in grado di essere all'altezza, dall'altra si adopera per nascondere agli occhi del lettore qualsiasi immagine che evochi una metodologia o una procedura usata da Frankenstein per portare in vita il mostro. Certo, la Shelley accenna agli studi di Victor e qualcosa ce lo fa intuire, ma l'oscurità con cui è ammantata la nascita del mostro non è altro che l'ennesimo tassello con cui la scrittrice pone le basi per il nichilismo che pervade il Mostro, l'uomo moderno davvero sofferente perché in reale connessione col mondo e i suoi abitanti, altro che la tristezza aristocratica e pigra dei romantici.

Guardaroba e bella prosa: un approccio letterario alla "profondissima superficialità" della moda

La moda nella letteratura contemporanea
di Daniela Baroncini

Bruno Mondadori, 2010

pp. 154

€ 16,00


Non è certo una novità che la moda e la rispettiva fenomenologia (latu sensu intesa) siano state da tempo sdoganate in qualità di argomenti di studio e di dibattito critico. Oltre alle Accademie professionali, ai (più o meno costosi) Master e ai corsi di Diploma e di Laurea, non si contano, ormai, le pubblicazioni a tema: tra riviste specializzate e collane dedicate, passando per editoriali, articoli e servizi rilanciati sulle pagine dei quotidiani più autorevoli, in spazi così importanti che non è più possibile parlare di semplici rubriche. Molto è stato detto e molto resta ancora da dire: la moda, d’altronde, vive del suo continuo e costante aggiornamento, e per natura non fa che cambiare le carte in tavola, remixando all’infinito tra loro tutte le categorie culturali e spaziotemporali. Tra le molteplici lenti attraverso le quali è possibile guardare a questo argomento, una – senza dubbio tra le più peculiari - è quella letteraria, inforcata da Daniela Baroncini nel suo La moda nella letteratura contemporanea.

Di violini e di poesie: "La ballata di Adam Henry" di Ian McEwan


La ballata di Adam Henry
di Ian McEwan

Einaudi, Torino, 2014

traduzione di Susanna Basso
pp. 202


€ 20



La ballata di Adam Henry è un libro denso, capace di catturare l'attenzione del lettore già dalle prime righe, tenendolo per mano fino alla fine del romanzo, quando una dolorosa notizia lascerà un solco profondo nella vita della protagonista.

Fiona Maye, giudice dell'Alta Corte britannica, conduce una vita ordinaria, a fianco di Jack, col quale è sposata da trentacinque anni. La sua vita scorre in maniera piuttosto tranquilla fino a quando, un giorno, il marito le dice di essersi infatuato di una giovane ragazza di ventotto anni e di volersene andare, per regalarsi una scappatella. Ed è allora che Fiona, umiliata e offesa, rifugiandosi come sua abitudine nella routine lavorativa per scappare dai sensi di colpa e dalle elucubrazioni mentali, incontra Adam Henry, un ragazzo di quasi diciotto anni, i cui genitori rifiutano per motivi religiosi la trasfusione che potrebbe salvargli la vita. Spetta a Fiona, che lavora presso la sezione Famiglia, prendere una decisione, e per farlo nel modo migliore sceglie di oltrepassare una soglia pericolosa, oltre la quale non è più possibile tornare indietro e che cambierà per sempre la sua vita, innescando una serie di eventi dai quali non sarà possibile sottrarsi: decide di incontrare il ragazzo. Le intenzioni del giudice sono chiare: Adam ha quasi diciotto anni, è capace di intendere e volere, sarebbe perfettamente in grado di decidere per sé ma non può farlo poiché non è ancora maggiorenne. L'incontro tra i due, e tutto ciò che ne consegue, segna uno spartiacque nella vita di Fiona, risultando decisivo anche per la risolvere la crisi matrimoniale che sta attraversando.

"Ghetto Italia": viaggio nell'Italia nascosta e illegale del caporalato


Ghetto Italia. I braccianti stranieri tra caporalato e sfruttamento
di Yvan Sagnet e Leonardo Palmisano
Fandango Editore 


pp. 240
euro 15,00





Questo libro è un viaggio che vorresti fare chiudendo gli occhi e tappandoti il naso, ma è necessario farlo con gli occhi sbarrati, e la puzza di marcio sotto le narici, fino in fondo. 
Leonardo Palmisano, sociologo ed etnologo, ci conduce lungo la penisola, dalla Sicilia al Piemonte, passando per Puglia, Calabria, Campania e Lazio, dentro alcuni dei ghetti in cui anche oggi sono sfruttati migliaia di lavoratori stranieri. Ad accompagnarlo c'è il sindacalista Yvan Sagnet, uno dei protagonisti della rivolta dei braccianti di Nardò, nel 2011. Un libro, questo, che non è passato inosservato, e all'inizio di quest'anno i due autori hanno ricevuto minacce pesanti e la solidarietà di quella fetta di buona Italia che per fortuna ancora si indigna.

A.Thirkell, “Un’estate nel Barsetshire”, 1939, personaggi su tela, 13,5 x 19 cm

Prima di pranzo
di Angela Thirkell
Astoria, 2016


Traduzione di Bruna Mora

280 pp.
17,50 €



Quante cose possono succedere Prima di pranzo? Secondo Mr. Middleton davvero poche, visto che ogni turbamento alla sua regolare esistenza è in grado di modificare il suo umore per giorni e giorni. Nella storia di Angela Thirkell, invece, le aspettative di uno dei protagonisti vengono disastrosamente (per lui, meno per il lettore) disattese e nell’arco di un paio di settimane di vacanze estive si susseguiranno una serie di eventi risolti solo proprio prima di una delle consuete colazioni dell’architetto logorroico.

Me before you: una storia intensa che fa discutere

Io prima di te
di Jojo Moyes
Mondadori, prima edizione 2013

Traduzione italiana di Maria Carla Dallavalle

pp. 396
€ 13 (cartaceo)


Indipendentemente da quale punto di vista io decida di abbracciare nel recensire questo libro e il film che ne è stato tratto, temo che sia impossibile evitare le polemiche che negli ultimi mesi sono scoppiate intorno a questa storia. Come, devo avvertire il lettore, dovrò anche anticipare alcuni aspetti della trama, gli stessi che si sono rivelati più problematici nell'acceso dibattito – non più solamente critico letterario - sviluppatosi soprattutto in seguito all’ uscita del film. Fatti i dovuti avvertimenti sul rischio spoiler, è doveroso confrontarsi con le tematiche che hanno alimentato in questi mesi la polemica sulla storia ideata da Jojo Moyes, senza timori e, allo stesso tempo, cercando di non perdere di vista l’obiettivo critico centrale in tal sede. E ammettere che la lettura di questo romanzo mi ha sorpresa, per l’intensità dei temi trattati, il coraggio con cui l’autrice racconta una storia problematica, che destabilizza, solleva dubbi, spinge a riflettere, a porsi domande scomode. Non mancano, da un punto di vista strettamente letterario, ambiguità, difetti impossibili da ignorare, incertezze e scelte di comodo, ma in generale ho apprezzato il tentativo dell’autrice – in parte riuscito – di costruire una storia profonda, capace di andare oltre il romanzetto rosa dalla trama piuttosto scontata e provare a creare invece qualcosa di più forte, correndo qualche rischio.
Pubblicato in Inghilterra nel 2012, Me before you è in breve diventato un bestseller mondiale, da cui – oltre ad un sequel fortemente voluto dai lettori che personalmente invece non ho particolare interesse a leggere – quest’anno è stato tratto l'omonimo film di cui la stessa autrice ha curato la sceneggiatura, attesissimo dal pubblico e di recente uscito anche in Italia. Protagonisti due volti noti , Emilia Clarke (divenuta celebre nel ruolo della madre dei draghi Daenerys Targaryen di Game of thrones) e Sam Claflin (Hunger Games), che la regia di Thea Sharrock guida al cuore del romanzo di Moyes; una sfida notevole, quella di Clafin, sia dal punto di vista emotivo che fisico, ma degnamente superata mentre non altrettanto all'altezza appare l'interpretazione della Clark, a tratti decisamente sopra le righe (ben oltre le eccentricità del personaggio stesso) ed esasperata. Ed è, soprattutto, in seguito all’uscita del film negli Stati Uniti che, come si diceva, il dibattito intorno a questa storia si è fatto acceso, alimentando una polemica non ancora esauritasi sul tema della disabilità, dell’eutanasia e del dolore.

#sensoridicolo: l'ultima intesa giornata

@gloriaghioni live dall'ultimo evento...

Domenica a Livorno si è concluso “Il senso del ridicolo”: dopo il tripudio di pubblico del sabato, ecco l’ultima tappa per verificare se la scommessa di aggiungere eventi e location è stata una buona idea. Basta poco per accorgersi che la folla non accenna a diminuire; al contrario, code ordinate salutano i padiglioni fin dalla mattinata. 

QUANDO DA UN BLOG PUÒ NASCERE MOLTO ALTRO
Stefano Bartezzaghi dialoga con Claudia De Lillo - foto di ©gmghioni
Il primo incontro ha visto sul palco Claudia De Lillo, nota ai più come Elasti @nonsolomamma, autrice di un fortunato blog che racconta la sua vita familiare, di madre, moglie, vicina di casa, donna lavoratrice… Tuttavia anche il suo nome di battesimo è destinato a essere sempre più riconoscibile, ora che Claudia è anche diventata romanziera (con Alla pari, appena uscito per Einaudi), e che lavora a Radio 2. L’idea originaria del blog nasce dal desiderio di raccontarsi, mantenendo però l’anonimato. Ai tempi (sono già passati dieci anni!), Claudia De Lillo lavorava per una agenzia finanziaria ed era importante non farsi riconoscere: in questo senso, il blog e l’identità di Elasti le permettevano di «sfogarsi senza dare fastidio a nessuno». O almeno, questa era la speranza iniziale: infatti, lo pseudonimo non ha impedito che il successo rendesse ben riconoscibile l’autrice e che i vicini di casa, tirati in causa per aneddoti improbabili, accusassero De Lillo con un “chi ti credi di essere?”. A quel punto, Claudia De Lillo ha compreso che scrivere di chi ci è attorno richiede delle cautele e anche un certo senso di responsabilità. I suoi figli, ad esempio, vengono sempre tutelati e protetti; ora che sono grandi, ad esempio, la mamma chiede sempre se può aggiungere questo o quel siparietto famigliare. Simpatia, voglia di mettersi in gioco e la capacità di comunicare esperienze di vita condivise hanno fatto sì che Claudia De Lillo sia attualmente giornalista per D di Repubblica e speaker radiofonica alle prime ore del mattino su Radio 2 con Caterpillar AM. 
Il tutto prova che il senso del ridicolo non aiuta solo a migliorare la giornata, ma anche la carriera, mettendosi alla prova con un sorriso sulle labbra!

La Sicilia dei Vespri nell'esordio di Paola Marchese, "Il boscaiolo"

Il boscaiolo 
di Paola Marchese 

Algra Editore, 2016 

pp.184 
€17,00 


Il boscaiolo è il primo romanzo di Paola Marchese, artista catanese classe ’78. Algra editore, giovane e promettente realtà editoriale etnea, ha fatto bene a credere al potenziale del libro, perché Il boscaiolo è un’ottima prima prova letteraria. Lo è proprio perché niente ha delle tipiche pecche da opera prima: nessun superfluo e sentimentale protagonismo dell’autrice, nessun facile lirismo, nessuna mancanza di oggettività. È un libro che funziona principalmente perché rende bene un espediente spesso usato nella costruzione di narrazioni, ma non sempre con maestria, cioè la commistione tra realtà e fantasia.

Marchese ambienta il suo romanzo nella Sicilia dei Vespri del 1282, scelta interessante e sicuramente apprezzabile data la difficoltà nel reperire fonti e informazioni storiche su quel periodo. Come spiega la stessa autrice nella nota introduttiva al libro, l’ambientazione storico-geografica è quella della Sicilia che si ribella agli Angioini, conquistatori subentrati agli Svevi e appoggiati dal papato ma invisi ai siciliani per il loro cattivo e opprimente governo. Il popolo si ribellò un po’ ovunque in Sicilia, partendo da Palermo, dove iniziarono le rivolte poi note col nome di “Vespri” proprio perché scoppiarono all’ora del vespro del lunedì di Pasqua del 1282. È questo lo sfondo storico su cui l’autrice delinea le vicende fittizie dei due personaggi principali: Lidia, baronessa del feudo etneo di Castelmontalto, e Karl, boscaiolo umile ma misterioso a cui la baronessa è data in moglie dal perfido barone Ruggero.

#paginedigrazia. Il contagio dell'anima: "La via del male" di Grazia Deledda



La via del male
di Grazia Deledda

a cura di Sandro Maxia

Ilisso, 2007
pp. 256

€ 11,00 (E-book € 4,99)


Affrontato per la prima volta, un romanzo di Grazia Deledda produce sul lettore lo stesso effetto di un altro grande classico della nostra letteratura, Cristo si è fermato a Eboli di Carlo Levi. Come in quel caso, si ha l'impressione di essere calati in una realtà radicalmente altra, misteriosa e lontana nel tempo e nello spazio, densa di tradizioni e di storia. L'abilità descrittiva dell'autrice e l'amore per il paesaggio sardo che traspare da ogni parola affascinano e trasportano all'interno della narrazione. La stessa precisione ritrattistica, caratterizzata da un'aggettivazione ricca e suggestiva, si ritrova del resto nella resa dei personaggi, sfaccettati e a tutto tondo.

Il protagonista, Pietro, è un giovane impulsivo, impetuoso, poco riflessivo: si abbandona a sogni, fantasticherie, pulsioni momentanee, ed è capace di gesti eclatanti come di piccoli momenti di tenerezza. Maria, con la sua bellezza sensuale e dirompente, sorvola leggera i propri stessi sentimenti, mutevole e lunatica come solo una ragazza poco più che adolescente può essere, in ogni epoca, in ogni luogo. Fin dall'inizio la storia si muove dunque tra passato e modernità, associando il rispetto per una cultura antica e fortemente connotata come quella sarda alla capacità di cogliere nei personaggi i tratti universali e senza tempo di ogni essere umano.

La mia intervista (impossibile) a Dylan Dog

UAAAAAAAAAARGH!!! Sono al numero 7 di Craven Road a Londra per intervistare un personaggio alquanto discutibile e controverso, un sedicente investigatore ed ex agente di Scotland Yard, le cui avventure sono pubblicate dalla Sergio Bonelli Editore. Ho un po' di nervosismo addosso: è la mia prima intervista dal vivo e pare sia anche il compleanno dell'intervistato. Il campanello emette però un verso strano e sembra non esserci nessuno in casa. Riprovo. UAAAAAAAAAARGH!!! La porta finalmente si apre e compaiono un sigaro acceso ed un paio di grandi baffoni neri.
- Good morning! Excuse me, may I speak with Mr. Dog? - azzardo nel mio inglese scolastico.
- Come scusi? Non ho capito bene cosa ha detto, - risponde il titolare dei baffi in un perfetto italiano.
- Ah, parla italiano? 
- Certo! Sono poliglotta, so tacere in ben quindici lingue, compreso lo swahili! 
- Groucho! Smettila di importunare i clienti... - tuona una voce dall'interno.
- Non ti preoccupare, capo! Non ho più battute in serbo. Un attimo e comincio con quelle in croato!
- Mr. Dog? Io non sarei un cliente a dir la verità... sono qui per l'intervista, ricorda? - riprendo io.
- Ah, ecco. Prego, si accomodi dentro e perdoni il mio assistente.
Finalmente entro e sfilo attraverso un lungo corridoio tappezzato da statue e feticci di ogni genere, con un particolare gusto per l'orrido ed il macabro, oserei dire. Dylan Dog, il sedicente indagatore dell'incubo è in salotto ad aspettarmi. In giacca nera, camicia rossa e jeans, mi studia con sguardo interessato e mi invita a prendere posto di fronte a sé. L'intervista può finalmente cominciare.

#Sensoridicolo: la varietà "furiosa" per il secondo giorno

foto di ©GMGhioni

Se il primo giorno del festival ha ingolosito tutti quanti con le promesse di un weekend pieno di spettacolo, riflessioni, letture, ecco che il sabato ha avuto un grandissimo protagonista: l'Orlando furioso di Ludovico Ariosto, nel centenario dalla prima redazione. Non solo ci si è stupiti di quanto l'Orlando sappia ancora far ridere, ma anche di quanto - perlomeno qui in Toscana - la parafrasi sia superflua per la comprensione dell'opera. Fruzione diretta, suggerimenti critici e risate sono stati una costante anche quando s'è parlato di film e di radio, confermando che la formula così poliedrica del festival è vincente. 


A (RI)SCOPRIRE DA VICINO LAUREL & HARDY, AL DI LÀ DELLA FACILE RISATA
foto di ©GMGhioni
Gabriele Gimmelli, giovane e vivacissimo studioso di cinema e letteratura, ha avvicinato il pubblico con un paio di celeberrimi filmati di Laurel & Hardy, altrimenti noti come Stanlio e Ollio. Ma è proprio la fenomenologia di questa "strana coppia" ad attirare l'attenzione: sono opposti che si completano, hanno un'identità fluida, che tende a vacillare. I filmati scelti da Gimmelli lo provano: Laurel & Hardy sono figli del loro tempo (la Grande Depressione) e operano quasi impercettibilmente ma definitivamente cambiamenti significativi all'idea di commedia comica. Il loro rapporto, basato spesso su un tira e molla che li fa misurare in un continuo scambio dialettico, è in realtà pieno di ambiguità e ironia, con gag più o meno surrealiste. Laurel, inglese del nord, con esperienza di clownerie, e Hardy, americano del sud dalla grande galanteria, mettono in scena e radicalizzano stereotipi sulle loro origini, propongono ambigue situazioni che giocano sulla misoginia americana e scappano da donne-virago che li rincorrono armate. 
Tra i grandi cambiamenti portati, la dilatazione del tempo narrativo, che dalla slapstick comedy vira verso qualcosa di molto più lento, gag che preparano e ritardano altre gag, aumentando così con l'attesa il piacere della risata. 
Se lo spazio (semplicissimo, con scenografie essenziali) è pur sempre pericolosissimo, anche i finali a volte sorprendono. Gimmelli, in chiusura, ne propone alcuni, che sono delle vere e proprie freak ending, con ricadute nel raccapricciante e nell'horror. 
La grande professionalità di Gimmelli e la documentazione (filmica e bibliografica) fornita non fanno che confermare quanti segreti riveli il mondo del comico, e quanto dietro a una risata si celino studio, fatica, creatività. 

#CritiMusica: Al musicista chiediamo di musicare: riflessioni (dentro e fuori dal pentagramma) sui 50 concerti di Paolo Fresu in giro per la Sardegna


Paolo Fresu. 50 anni suonati
Viaggio in Sardegna con Paolo Fresu nel diario fotografico di Gianfranco Mura
di Paolo Fresu

Prefazione di Paolo Rumiz
Traduzione inglese di Serena Evangelisti
Traduzione francese di Sophie Jankélévitch e Giuseppe A. Samonà
Foto di Gianfranco Mura
Filmati di Giorgio Galleano

Ilisso, 2012

pp. 256 + DVD


Il mio amico Marco, che è sardo (e per giunta nuorese) come me, mi ha insegnato un gioco, che a me pare frutto felice della sua intelligenza autoironica e che gratifica evidentemente il mio lato dadaista. Consiste nell’inventare un grande o piccolo evento, destinato a svolgersi nella nostra Isola, per poi elencare i suoi partecipanti illustri mixando a piacimento i nomi e i cognomi delle personalità “indigene” contemporanee più affermate nel campo della cultura e dello spettacolo (viventi e performanti, s’intende). Poi – come nella canzone – si sta in attesa…«per vedere di nascosto l’effetto che fa». Vale a dire: chissà se qualcuno si accorge che questi personaggi non esistono, che sono solo l’esito anagrafico di un collage originato da una celia purissima eppure capace di innescare riflessioni profonde sulla tanto discussa identità/questione sarda. Per esempio: se annuncio che Flavio Fois, con il suo nuovo romanzo Solo e impietoso, apre il Festival “Spiaggia Desertissima” – altrimenti disertato da Michela Soriga, Marcello Marras, Paola Murgia e Gavino Mameli – e magari aggiungo che il sodale Antonio Bandinu suonerà i silenzi, in quanti si accorgeranno che le generalità degli artisti elencati sono solo il frutto del mio taglia e cuci mentale? Sono proprio sicura che tutti capiranno lo scherzo? O forse la percezione un po’ indistinta dei personaggi made in Sardinia divenuti riferimenti obbligati, e anche un po’ interscambiabili, esiste davvero e non è priva di contraddizioni e malintesi, soprattutto per ciò che concerne il loro ruolo? E ancora: questa viscida saponetta, tanto mortale a scivolarci sopra, profuma solo di mirto oppure ne esiste una fragranza per ciascuna regione d’Italia? Ho pensato anche a questo, con umore un po’ incerto, sfogliando Paolo Fresu. 50 anni suonati: un libro bellissimo e prezioso che, con l’allegato DVD ricco di spezzoni e interviste, credevo (forse ingenuamente) che avrebbe fatto da “tappeto sonoro” a questa fine estate, e invece ha rivelato ben altri intrecci, ben altre trame, e ben più di un nodo.

#SensoRidicolo: alla seconda edizione del festival più simpatico d'Italia

Poco prima di iniziare, alle prese con il pass stampa e i gadget del festival.

Quest'oggi è cominciato il secondo anno di "Il senso del ridicolo", il festival diretto da Stefano Bartezzaghi, che vede il trionfo dell'ironia e dell'umorismo non solo nella parola scritta, ma anche nel cinema, nell'arte, nella musica e nel teatro. Livorno s'è riempita di bucce di banane, simbolo del festival, e le aspettative sono molto alte, come accade per qualsiasi seconda edizione. Le impressioni della parima giornata? Assolutamente positive, leggete un po' che cosa è successo in poche ore...

FOCUS ON... LA LECTIO MAGISTRALIS DI MAURIZIO FERRARIS

Foto di ©GMGhioni
Dopo i saluti istituzionali e un po' di palese agitazione, è arrivata la lectio magistralis di Maurizio Ferraris, dedicata alla "fenomenologia dello spirito" in senso lato: avete mai notato che in italiano usiamo "spirito" sia ad indicare il divertimento per una battuta ironica, sia il profondo dell'anima? Al contrario, il tedesco ha due termini specifici, rispettivamente "Witz" e "Geist". E se la fenomenologia dello "spirito" non riguardasse più il Geist ma il Witz?
Ferraris parte da una spassosa carrellata di esempi per riflettere sull'imbecillità, divisa tra "imbecillità della massa" (tutto sommato ingenua) e "imbecillità dell'élite", ben più pericolosa perché riguarda le menti dei grandi pensatori. 

CriticaLibera: IAS, interrogatorio allo scrittore

Per questa CriticaLibera vi proponiamo un progetto molto particolare nato a Venezia e più precisamente in un luogo abbastanza insolito della città lagunare, ovvero la Casa Circondariale – Casa di Reclusione Donne della Giudecca. Da questo luogo, carico di simboli e di riferimenti il più delle volte negativi, parte l'iniziativa, promossa dall'Associazione Closer, chiamata IAS - Interrogatorio allo scrittore, cioè portare la scritture, anzi gli scrittori "in carne ed ossa" nelle case circondariali perché vengano, forzando un po' i termini, "interrogati" dagli stessi detenuti (in questo caso detenute). Incuriositi sia dal titolo sia dal Carcere della Giudecca abbiamo raggiunto telefonicamente Giulia Ribaudo, facente parte di Closer e una delle più attive nella promozione di eventi del genere. Assieme a lei abbiamo fatto un viaggio, davvero ricco di sorprese, in una Venezia nascosta e assolutamente non-turistica ma tutta da scoprire. Noi di CriticaLetteraria non siamo nuovi per dare voce ad iniziative del genere (come nel caso dei "Racconti dal carcere").

"Tre camere a Manhattan": con Simenon, l'amore è l'ultima risposta alla solitudine

Tre camere a Manhattan
di Georges Simenon

Adelphi, 2015

Traduzione di Laura Frausin Guarino

pp. 190
10 € 


«È uno dei rarissimi libri che abbia scritto a caldo. E questo mi faceva paura». Così descrive Georges Simenon, il grande autore belga padre del celebre Maigret, uno dei suoi romanzi più vibranti, Tre camere a Manhattan. Ispirato dal tormentato rapporto sentimentale dello scrittore con Denyse Ouimet, sua seconda moglie, il libro riflette alla perfezione l’aura di dolorosa coscienza nei confronti del sentimento; l’abilità di Simenon nello scandagliare le innumerevoli fasi dell’innamoramento nasce chiaramente da un’esperienza personale intensa.

François e Catherine, Frank e Kay, come decidono di chiamarsi reciprocamente, si incontrano una fredda notte a Manhattan, in un bar. Entrambi non potrebbero essere più soli: non hanno un partner, non hanno più amici, non hanno un lavoro. Guardano con rimpianto a un passato colmo di successo e trionfi. Dolce e impulsiva lei, ritroso e burbero lui, Kay e Frank decidono di trascorrere quel che resta della notte insieme, e da quel momento risulta impossibile per loro separarsi l’uno dall’altra, anche solo per qualche ora.

«Bambini di ferro»: la ratio dell'understatement

Bambini di ferro
di Viola di Grado

La nave di Teseo, 2016

pp. 249

Euro 18,00

Il romanzo di Viola Di Grado è un libro apparentemente solido e strutturato: citando il titolo, si potrebbe definire ‘di ferro’. Eppure già dalle prime pagine il lettore avverte qualcosa, una sorta di magma che pullula tra la sintassi e il lessico. La scelta del narratore esterno concorre alla sensazione di meccanicità, ma, allo stesso tempo, la nega. I fulcri portanti della narrazione, Yuki (educatrice che imposta le emozioni, come fossero una lezione da imparare mnemonicamente) e Sumiko (la bambina difettosa), diventano il riscatto e l’impossibilità di imbrigliare la realtà: il loro rapporto, infatti, si sviluppa in una sfera pre-razionale (o se si vuole sub-razionale), sotto la soglia dei comuni rapporti.

Perché il comun denominatore tra le due protagoniste è il silenzio, ovvero la comprensione che non ha bisogno della struttura del linguaggio, ma si libera da esso mediante una sorta di empatia ‘difettosa’. Ne deriva un romanzo schizofrenico che racconta una storia, servendosi non solo degli strumenti della narratologia tout-court (che la Di Grado, ancora una volta, dimostra di saper maneggiare con maestria degna di una scrittrice matura e navigata), ma anche della scienza e della mistica. In questo marasma, eccelle l’uso della lingua, che non si perde, forte della freschezza di un’autrice che non ostenta la sperimentazione, perché già la sua peculiarità di scrittrice giovanissima che sa celare la sua maturità è la più ardita delle sperimentazioni.

"Lost In Translation", cinquanta parole intraducibili dal mondo

Lost In Translation
di Ella Frances Sanders
Editore Marcos y Marcos, 2015

traduzione di Ilaria Piperno


pp.48
€ 15.00


Daniel Pennac, in Ecco la storia, un'arguta e metamorfica storia di sosia che, quasi fosse insofferente alla propria identità, diviene, nel suo procedere, metaromanzo, scriveva: 
"(...) È vero ancora che Yasmina Melaouah, Manuel Serrat Crespo, Evelyne Passet e alcuni altri dei miei amici traduttori dubitano che "la finestra", "a janela", "das Fenster", "the window" o "la fenêtre" indichino esattamente la stessa cosa, poiché nessuna si affaccia sugli stessi rumori né si richiude sulle stesse musiche."
Con un solo, significativo periodo, l'autore fa riferimento alla refrattarietà della lingua a venire violata nelle sue più intime sfumature semantiche al fine di un'efficace trasposizione delle sue parole in un altro codice: tradurre è un po' tradire e gli addetti ai lavori lo sanno bene. Non basta un'ottima conoscenza del proprio idioma e di quello da cui si traduce: sono necessarie competenze specifiche sulla cultura che ogni linguaggio, ed ogni parola che lo compone, riflette; sulla letteratura che ne ha arricchito il lessico e ha contribuito alla sua evoluzione; sull'oralità attraverso cui ogni lingua vive e respira e continuamente muta. Non solo, occorrono sensibilità e intuito e possibilmente una buona vena creativa per non alterare troppo il testo originale e contemporaneamente rendere onore alla lingua in cui si traduce.

"Quando il futuro governava il presente" di Aldo Bondi

Quando il futuro governava il presente. 
La storia di Alberto Scandone, un politico pressato dalla Grazia
di Aldo Bondi

Il Pozzo di Giacobbe, 2016 
pp. 195
€ 12,00 



In un celebre passo delle Pensées di Pascal si legge che in Gesù Cristo vengono a conciliarsi tutte le contraddizioni. Così il pensatore francese, non senza un estenuante travaglio intellettuale ed esistenziale, risolveva l'aporia tra fede e ragione, tra mondo secolare e vita contemplativa. Una pacificazione finale in cui l'inquietudine della quête riluce di una significazione inedita e inaudita, vibra ancora di quella vertigine dove il cuore, posto davanti al suo destino, si "spaura", come dice il poeta. E una fede pascaliana, temprata cioè da una irriducibile irrequietezza di fondo nonché vivificata da continue "intermittenze del cuore", è appunto quella che sorregge la vicenda umana di Alberto Scandone, politico e intellettuale "pressato dalla Grazia", tratteggiata in maniera agile ma rigorosa da Aldo Bondi che a Scandone aveva già dedicato la più ampia monografia Tra Gramsci e Teilhard. Politica e fede in Alberto Scandone (1942-1972) edita nel 2012. Rispetto a quest'ultima, e a dispetto del titolo da cui emerge la facies più marcatamente politica, Quando il futuro governava il presente, pubblicato per i tipi dell'editore trapanese Il Pozzo di Giacobbe e accolto nella collana 'Synodia' diretta da Giuseppe Bellia e Lanfranco Bellavista, si presenta piuttosto come una "biografia spirituale" dell'avventura, tragicamente e precocemente conclusa, di Scandone.

Il Salotto - Insieme a Luisa Finocchi per festeggiare un anno di Laboratorio Formentini per l'editoria



Oggi, 21 settembre, è un grande giorno per il Laboratorio Formentini per l'editoria: in un solo anno, ha raggiunto un numero incredibile di incontri e momenti di confronto, con professionisti dell'editoria, dell'università e del mondo sfaccettato della scrittura. Poco tempo, dunque, ma già la capacità di muovere la vita culturale milanese in modo davvero considerevole, intrecciandosi a iniziative e mostre, progetti e festival.
Chi di voi fosse a Milano e volesse festeggiare, non ha che da scegliere entro il programma preparato per oggi, visibile già in homepage (clicca qui).  

Vista la felice eccezionalità di questo progetto, che speriamo non smetta di sorprenderci anche nel suo secondo anno di appuntamenti, abbiamo intervistato la Luisa Finocchi, direttrice della Fondazione Mondadori, che ha in gestione il Laboratorio. 



Da una rapida disamina di questo primo anno insieme al Laboratorio Formentini, i numeri lasciano senza parole: 300 incontri, 10.000 visitatori e oltre 600 relatori, ma anche grandi collaborazioni e una rassegna stampa ricca di menzioni e pezzi dedicati. Quali nuove sfide si propone il Laboratorio per il suo secondo anno?
Forse la sfida maggiore sarà quella di conquistare nuovi pubblici, vale a dire persone che non sono direttamente coinvolte nel mondo dei libri: è una cosa che, almeno in parte, è già accaduta durante il nostro primo anno, con le collaborazioni avviate con alcuni designer e con alcune iniziative legate al mondo del teatro. Più in generale, l’idea è che il distretto editoriale milanese cominci a restituire, negli spazi del Laboratorio, il proprio immenso bagaglio di conoscenze e competenze professionali, mettendolo a disposizione di categorie di persone che non sono in stretto contatto con questo mondo: penso ai bambini ma anche, agli stranieri, per i quali stiamo pensando di ospitare iniziative legate all’insegnamento dell’italiano.

"Svegliamoci pure, ma a un'ora decente" di Joshua Ferris

Svegliamoci pure, ma a un’ora decente
Di Joshua Ferris 
Neri Pozza, 2014

Traduzione di K. Bagnoli

pp. 369
Euro 17,00


Nel giugno del 2010 il New Yorker si apprestava a pubblicare una lista dei venti migliori scrittori sotto i quaranta considerati la punta di diamante del panorama nord americano; tra questi era presente anche Joshua Ferris. 
Fra le domande a cui lo sottoposero spicca l’inevitabile quesito sui dubbi del lavoro, sulla difficoltà di considerare la scrittura il proprio mestiere, e la risposta – serrata come tutte le altre – recita: «I have never stopped considering not becoming a writer».

Eppure alla lettura dei numerosi racconti e dei tre romanzi pubblicati non si hanno dubbi sulla sua bravura. L’ultimo sforzo in particolare - Svegliamoci pure, ma a un’ora decente - è l’esempio perfetto di un nuovo modo di fare letteratura, sempre in bilico tra la descrizione di uomini persi e incompresi e un mondo irrecuperabile e ostile.

Dentro la testa di Else

La signorina Else
(tit. orig. "Fräulein Else")
di Arthur Schnitzler
Piccola Biblioteca Adelphi

Traduzione di Renata Colorni
I ed. 1924
1988, 20ª ediz., pp. 123

€ 10 (cartaceo)
€ 3,99 (ebook)

La storia di Else sembra uscita da un articolo di cronaca: una ragazzina viennese di diciannove anni si trova, suo malgrado, al centro di uno scandalo mentre è in vacanza con la zia ed il cugino in Italia. Solo che dall'autore di Doppio Sogno non ci si può non aspettare nessuna banalità. Ad impreziosire, infatti, la storia è la particolare tecnica narrativa cui ricorre Schnitzler, che con un ininterrotto flusso di coscienza - spezzato qui e lì solo da qualche dialogo - immerge il lettore a diretto contatto con i pensieri della protagonista, come se si fosse dentro la sua testa. 
Il risultato - con i suoi anacoluti, le ellissi, la punteggiatura libera ed il periodare paratattico e conciso - è di una naturalezza impressionante e tradisce l'approfondito studio di carattere compiuto da Schnitzler, autore sempre attento allo spessore psicologico delle sue creature. 

#paginedigrazia - Quando il vento scuote il presente e svela il passato





Il paese del vento
di Grazia Deledda
Ilisso, 2007

con prefazione di Marcello Fois
anno di uscita: 1931

pp.133
€ 11 (cartaceo)
€ 4,99 (ebook)


La passione secondo Grazia Deledda: anche chi non si è mai accostato prima alle pagine di questa scrittrice, in Il paese del vento conoscerà subito il tramestìo incessante di sentimenti che agitano i personaggi, scossi da turbamenti per loro ineffabili (non certo per la scrittrice, impareggiabile nello scavare entro le complesse psicologie dei protagonisti). È un vero e proprio panorama del sentimento, spazzato da un vento pervicace che soffia con stridori sinistri, fino a intaccare la serenità degli uomini. Una natura matrigna? Forse no, semplicemente una natura personificata, in grado di interpretare e addirittura estremizzare ciò che gli uomini non sanno dire:
Fu davvero una specie di tifone, quello che per tre giorni imperversò intorno a noi. Solo alla notte si placava, come stanco del suo furore insensato; ma poi riprendeva con più forza la sua opera disperata. E pareva che piangesse, il vento angoscioso, urlando un suo dolore terribile; e che avesse una follìa di vendetta contro le cose che tentava di distruggere e che invero distruggeva. (p. 84)

Breve storia di un naufragio sentimentale: "Chesil Beach" di Ian McEwan


 
Chesil Beach
di Ian McEwan
Einaudi, Torino, 2007

Traduzione italiana di Susanna Basso

pp. 136
€ 15,50



Estate 1962. Una coppia cena in un albergo di lusso, in attesa della loro prima notte di nozze. Sposati da appena qualche ora i due si guardano, si prendono le mani, si sussurrano parole dolcissime, pronunciate con la dolcezza tipica di un amore appena iniziato. Le sensazioni e le emozioni che smuovono i due protagonisti, però, sono molto diverse e l'incrociarsi di queste differenti aspettative porterà la vicenda ad un esito imprevisto.
Florence Mayhew, violinista di talento, appartenente ad una ricca famiglia, ed Edward Ponting, promettente storico, proveniente da una famiglia più modesta e problematica, incrociano i propri destini per caso, ad una riunione del Comitato per il disarmo nucleare e lì comincia la loro storia, fatta di romantici appuntamenti e convenzioni pudiche da rispettare. Quella notte, attesa con impazienza fremente da Edward e profondamente temuta da Florence, segnerà il punto di non ritorno all'interno delle loro esistenze, originando una serie di eventi destinati a cambiare per sempre la loro vita.

Pillole d'Autore: "Odio sentirmi una vittima" - Intervista di Jonathan Cott a Susan Sontag

"La sola metafora che resta, la sola che sia possibile concepire per la vita della mente" ha scritto Hannah Arendt "è la sensazione della vitalità. Privo del soffio vitale, il corpo umano è un cadavere; priva del pensiero, la mente dell'uomo è morta."

Il libro che sto per raccontare è un'esplosione di vitalità. Un inno alla vita, soprattutto a quella del pensiero. Susan Sontag si sentiva viva solo quando usava la sua mente, e questo ha fatto per tutta la sua vita di romanziera, saggista, drammaturga, regista, attivista politica. Lo ha fatto quando ha scritto della natura della malattia, trovando così il senso della possibilità della morte (Illness as Metaphor, 1978), quando ha raccontato la fotografia come uno dei fenomeni più in grado di esprimere la tensione alla (com)partecipazione del nostro tempo (On Photography, 1977), quando per scrivere di guerra con la massima onestà intellettuale è partita per Hanoi e ha vissuto sotto le bombe (Trip to Hanoi, 1969).

Il Salotto - Le sensazioni dei miei protagonisti? Dicono più delle loro parole. Intervista a Clara Sánchez

Clara a Milano, 14 settembre 2016

Uscito in libreria il 12 settembre, Lo stupore di una notte di luce (Garzanti) vede il ritorno di Clara Sánchez ad alcuni dei suoi protagonisti più amati, quelli che hanno animato le pagine di Il profumo delle foglie di limone. Dal 2010 (data della prima edizione in lingua originale), ecco che la scrittrice pluripremiata torna a raccontare le vicende di Sandra, ora giovane madre, e di Julián, ultra-ottantenne che continua a indagare su un gruppo neonazista, ancora animato dal Macellaio, acerrimo nemico, ora quasi ridotto allo stremo. Ma oltre a Santi, innamorato di Sandra ma non corrisposto, c'è il loro bambino, che viene drammaticamente rapito. Allora, l'unica via è tornare al passato (mai veramente sepolto), chiedere l'aiuto di Julián e intrecciare nuovamente le loro vite.
Ho avuto modo di intervistare la scrittrice, approfittando della sua venuta a Milano per il tour del nuovo romanzo. Ringrazio, come sempre, Francesca Rodella dell’ufficio stampa Garzanti per la disponibilità.

***

Nei suoi romanzi e in particolare nelle traduzioni italiane, i tuoi titoli hanno spesso a che fare con i sensi: se nel primo della serie era l’odorato ad avere la predominanza, con Il profumo delle foglie di limone, nello Stupore di una notte di luce dominano le percezioni visive: è d’accordo? Quanto conta la percezione dei sensi nella sua scrittura? 

È un’osservazione molto acuta e azzeccata, perché effettivamente i titoli hanno molto a che fare con il mio modo di scrivere. Nei romanzi mi esprimo facendo spesso affidamento sulle sensazioni, non riesco a concepire che a un personaggio succedano delle cose senza esprimere la corrispondente sensazione: ad esempio, se un personaggio prende il sole, deve avvertire il caldo sulla pelle, oppure se si trova in un prato, sente il profumo dei fiori… Questi dettagli apparentemente minimali costituiscono la vita stessa! Per me è fondamentale che i miei personaggi, dopo aver provato e sperimentato addirittura, riescano a trasmettere ai lettori cos’hanno provato in prima persona. Le loro percezioni sono anche più importanti di quanto dicono nei dialoghi. 

L'epopea magiara in Italia: "Due eroi in panchina" di Roberto Quartarone


Due eroi in panchina
di Roberto Quartarone
Edizioni InContropiede
Aprile, 2016

pp. 118
€ 13,50



"Libri così andrebbero fatti leggere obbligatoriamente nelle scuole". Qualche volta può capitare  in effetti di pensare o di esclamare frasi del genere, soprattutto quando si è di fronte a volumi che, al di là del loro valore letterario, recano con sé un particolare gradiente emozionale, sociale e storico. Due eroi in panchina di Roberto Quartarone, uscito per i tipi di Edizioni InContropiede, è un libro esattamente così. Al di là della qualità di scrittura (comunque di buon livello), l'opera di Quartarone scoperchia una realtà abbastanza misconosciuta nel nostro Paese: ovvero il fatto che l'Italia (ma si parla anche di Europa in senso lato) dagli anni Venti alla prima metà dei Quaranta fosse molto meno provincialotta di quanto ce la saremmo aspettata, sempre e comunque in biblico tra commedia e tragedia e, inequivocabilmente segnata dalla scuola calcistica, ma non sarebbe errato definirla filosofica, magiara. In Italia, come nel resto del continente, il calcio moderno è stato inventato in Ungheria, spesso da uomini eccentrici, curiosi ed eroici proprio come Géza Kertész e István Tóth-Potya, i protagonisti giustappunto di questa storia. 

"Congo Inc": un germe di mondialismo nel cuore della RDC

Congo Inc. Il testamento di Bismark
di In Koli Jean Bofane

Traduzione Carlo Mazza Galanti

66thand2nd, 2015
pp. 288, € 17,00


Il Congo è un paese multiforme. Gli ottantuno milioni di abitanti si frazionano in più di quattrocento etnie; la ricchezza forestale poggia su risorse minerarie quali i diamanti, il rame e lo zinco e ne entra in contrasto; nella storia recente, governi più o meno legittimi e più o meno dittatoriali si sono succeduti a gran velocità. Tutte queste pluralità trovano però una sintesi e una convivenza, anche se non troppo pacifica, nel personaggio di Isookanga, pigmeo della regione di Tshuapa e protagonista del romanzo “Congo Inc” di In Koli Jean Bofane.

"Anime di seconda mano" di Christopher Moore

Anime di seconda mano
Di Christopher Moore
Elliot, 2016

Traduzione Gianluca Testami

pp. 311
Euro 17,50


Anime di seconda mano è il sequel del romanzo Un lavoro sporco uscito quasi dieci anni fa. E a distanza di un decennio Moore non smette di divertire e di mantenere il suo tono costantemente ironico.
Nella San Francisco dell’ultima volta troviamo ancora i personaggi che conoscevamo, ma anche per loro il tempo è passato: la Sophie che era appena nata ha ora sette anni e parla come un marinaio sboccato, facendo da perno per alcune delle scene più spassose del racconto.
Che Moore fosse uno dei più geniali scrittori americani quando si parla di commedia paranormale non c’erano dubbi, ma questa volta supera se stesso riuscendo a rianimare un mondo che sembrava chiuso ormai da tempo.

La formula della felicità? Entropia, umorismo e umanità: La chimica della bellezza

La chimica della bellezza
di Piersandro Pallavicini
Feltrinelli, settembre 2016

pp. 260 
€ 17 (cartaceo)



Il professore è un mestiere di assoluta importanza, tante volte bellissimo, altre volte gramo. Avere o non avere avuto un professore di una data materia bravo e capace può condizionare, è bene sempre ricordarselo, la vita delle persone. Da questo piccolo ma grande concetto muove La chimica della bellezza, edito da Feltrinelli, il nuovo libro di Piersandro Pallavicini, guarda caso docente all'Università degli Studi di Pavia, dove conduce apprezzate ricerche in Nanochimica Inorganica. 
Pallavicini, con uno stile a metà tra un noir di provincia di quelli fatti bene e curati nei minimi dettagli e il diario intimo di un prof un po' sui generis, ci racconta, sostanzialmente, di quanto la chimica, "la più odiata e la meno capita delle materie della Scuola Superiore", sia fondante e fondamentale nella vita, sia quella scientifica, ovviamente, ma anche in quella di tutti i giorni

#CritiComics - "Uomini in mare": con Riff Reb's tra le onde degli oceani e della letteratura

Uomini in mare
di Riff Reb's
Traduzione di Fabrizio Iacona e Andrea Plazzi
Kleiner Flug, 2016

pp. 120
€ 15.00


Il mare solcato e raccontato dall'uomo non è mai lo stesso mare. Così come l'acqua cambia la sua forma in base al contenitore, mari e oceani variano in base allo scrittore che li racconta. È sempre un mare diverso, che incarna sogni e aspirazioni, tensioni, ideali, che si fa teatro di tragedie o di opere farsesche. Poi ci sono le navi, incarnazione in legno, vele e cordame dei sogni dell'uomo di domare lo spazio infinito, di costruire qualcosa capace di fare quello che la natura non ha voluto farci fare. E tra un mare divino incontrollabile e spietato, e navi ingombranti che combattono contro le onde, l'uomo è quello che è, ovvero un essere piccolino che al mare porta il suo bagaglio di sventure, delusioni, rivalse, ripicche e sogni. Se la nave è la storia, il mare è la narrazione che ne influenza le svolte e i ritmi, l'uomo è l'attore minuscolo che osserva, agisce e plasma i suoi sogni sotto lo sguardo severo e stringente della divinità acquatica e di quella meccanica.

Beate noi

Beate noi
di Amy Bloom
Fazi editore, giugno 2016

Traduzione di Giacomo Cuva

pp. 278
€ 18 (cartaceo)

Veniamo subito al punto: Beate noi, l’ultimo romanzo della scrittrice americana Amy Bloom, in Italia pubblicato da Fazi ad inizio estate, mi ha lasciato non poche perplessità. Accolto con favore da pubblico e critica statunitense, ha dato il via ad una serie di recensioni positive quando non addirittura entusiastiche che ne elogiano l’originalità, la maestria dell’autrice nello sviluppo di una trama ricca di colpi di scena, immagini e personaggi eccentrici, la scrittura attenta e puntuale al servizio di una storia mai banale. Ora, pur riconoscendovi un innegabile grado di originalità e alcuni spunti interessanti, devo ammettere tuttavia che il romanzo in questione non mi ha convinta fino in fondo e le debolezze riscontrate sono a mio avviso troppo profonde per essere semplicemente ignorate di fronte agli entusiasmi della critica americana.
La trama, questo si, è piuttosto ricca e si sviluppa nello spazio relativamente breve di poco meno di trecento pagine, che scorrono velocemente, in un susseguirsi di situazioni, stati d’animo, voci ed ambientazioni, filtrate dalla voce della protagonista e punto di vista principale della storia. è l’America degli anni Quaranta, con tutte le sue complessità e contraddizioni, lo sfondo su cui sviluppare questa storia on the road, seguendo le protagoniste, Iris ed Eve, nel loro viaggio alla ricerca del successo, della stabilità, di una propria dimensione ed equilibrio. E la famiglia – disfunzionale, mancante, instabile – è il cuore del romanzo: due sorellastre, che improvvisamente scoprono l’una l’esistenza dell’altra e, nonostante caratteri ed attitudini diametralmente opposti, riescono in qualche modo tra le difficoltà a rappresentare un punto fermo in una vita traballante, incerta, dove la felicità sembra qualcosa di sempre più sfuggente.
Mi resi conto, lì nel loro ingresso, che quella ragazza aveva un mucchio di cose più di me. Fiori in vasi di cristallo grandi come secchi. Graziosi boccoli castano chiaro. La mano di mio padre sulla spalla. 

Dove dovrei andare io ora, un Trotta?

La Cripta dei Cappuccini
(tit. orig. Die Kapuzinergruft)
di Joseph Roth

I ed. De Gemeenschap, 1938
ed. it. Adelphi, 1974

Traduzione di Laura Terreni

pp. 195
€ 10 (cartaceo)
€ 3,99 (ebook)

"Wir heißen Trotta. Unser Geschlecht stammt aus Sipolje in Slowenien"
"Ci chiamiamo Trotta. La nostra stirpe proviene da Sipolje in Slovenia"
(trad. mia)

Con questa frase comincia il suo racconto in prima persona il tenente Franz Ferdinand Trotta, giovane aristocratico nella Vienna di inizio '900, la città delle oziose discussioni da salotto dell'alta società, percorsa da tensioni e tumulti sotterranei, che quasi mai vengono allo scoperto o dimostrano possedere una certa concretezza, lasciando di fatto scorrere placidamente la vita nella grande capitale imperiale. Pagina dopo pagina Trotta ci presenta il suo mondo, le sue compagnie, la sua famiglia, la sua amata. Tra una riga e l'altra ci confessa anche che suo padre era un ribelle: il suo sogno era di creare un regno sloveno sotto il dominio degli Asburgo, un impero insomma in cui anche gli sloveni, accanto ad austriaci ed ungheresi, fossero chiamati a dire la loro. Un sogno ereditato a propria volta dal figlio, molto romanticamente.

Una giornata alla XX edizione del Festivaletteratura


Per me ogni anno il Festivaletteratura significa la fine dell'estate. Ma non è mai una fine triste, è più quell'eccitazione settembrina, con il sole, i colori, i ricordi di agosto che piano piano cambiano forma, lasciando spazio a una nuova stagione dell'anno, che non vive solo sul calendario. Quest'anno il Festival compie vent'anni e la solita atmosfera di festa è ancora più percepibile, tra le strade, nelle piazze, tra le chiacchiere della gente. 
Come ogni anno il mio sabato al Festlet è anche un po' una corsa contro il tempo, perché se è vero che tutto a Mantova è a portata di mano, il tempo tra un evento e l'altro sistematicamente si dilata un po' prendendo una dimensione tutta sua. Appena il tempo dell'ultimo applauso e ti rendi conto che sei già in ritardo per l'incontro successivo.
Ma a questo ci sono ormai abituata, e forse è anche un po' il bello dell'evento. 

A proposito di vent'anni, ho cominciato la giornata con un evento all'insegna del numero 20, un format di incontri proposto quest'anno proprio per celebrare la ricorrenza. Si chiama "Il libro dei vent'anni" e ha chiamato 20 scrittori ospiti del Festival a raccontare a Federico Taddia, nel tempo di 20 minuti, il libro che li ha cambiati quando avevano vent'anni. Un modo per far parlare i ventenni di oggi con i ventenni di ieri, condividendo pagine e letture che anni fa hanno acceso in loro una "miccia di pensieri e sentimenti". Piero Dorfles, giornalista e critico letterario, popolare anche in tivù come conduttore della trasmissione “Per un pugno di libri”, ha scelto L'uomo senza qualità di Robert Musil, un libro incompiuto come i migliori libri sanno essere, che racconta - pur senza una trama - quanto è difficile trovare un senso all'esistenza. Il protagonista Ulrich è smarrito in una realtà senza coordinate di significato, immerso in un'atmosfera languida di Finis Austriae e, come tutti i possibilisti, vive in "una tessitura più sottile, una tessitura di fumo, immaginazioni, fantasticherie e congiuntivi".

#paginedigrazia - "La vita è fatta di cose da niente, che poi diventano serie". Una saga familiare tra paesaggi primitivi e ataviche atmosfere.





L'incendio nell'oliveto
di Grazia Deledda
a cura di Luisa Mulas

Ilisso, 2005

pp. 207

€ 11 (cartaceo)
€ 4,90 (ebook) 

Dalla scranna antica che il lungo uso aveva sfondato e sbiadito, era ancora lei, la nonna Agostina Marini, quasi ottantenne e impotente a muoversi, che dominava sulla casa e sulla famiglia come una vecchia regina dal trono. Non le mancava neppure lo scettro: una canna pulita che il nipotino più piccolo aveva cura di rinnovare ogni tanto; buona per dare sulle gambe ai ragazzi impertinenti e per scacciare i cani e le galline che penetravano dal cortile; ma sopratutto buona per frugare nel camino, davanti al quale la nonna sedeva in permanenza d’estate e d’inverno, e specialmente per frugarvi quando era sdegnata con qualcuno, cosa che le accadeva spesso. 
L’incendio nell’oliveto di Grazia Deledda fu pubblicato su «La Lettura» - supplemento mensile del «Corriere della sera» - a puntate, tra il giugno 1917 e l’aprile 1918, e uscì in volume poco tempo dopo per i tipi di Treves, editore di tutte le opere di maggiore fortuna della scrittrice.

Il romanzo racconta la storia della famiglia Marini, della nonna matriarca, del figlio celibe, dei due nipoti Agostino e Annarosa, della nuora Nina e di suo figlio, della serva Mikedda, del servo e vicino di casa Taneddu, e della famiglia Mura (padre, madre e figlio Stefano). L’anziana donna Agostina, dopo la morte del marito e del figlio maggiore, aspira a dare in sposa la nipote al giovane e ricco Stefano Mura, ma Annarosa è innamorata del povero Gioele. Il fidanzamento, tanto sospirato dalla matriarca, sembra sempre più compromettersi quando la matura donna Nina, per ribellarsi alla sua condizione di vedova, imbastisce un rapporto di complicità proprio con il futuro genero Stefano. A peggiorare la situazione interviene una disgrazia: l’incendio dell’oliveto, ultima proprietà di famiglia dei Marini.