Pillole d'Autore - Shakespeare, i Sonetti tra mistero e sentimento

Foto di Debora Lambruschini
Amore. Passione. Caducità dell’uomo. Arte e vita. E misteri, congetture e problematiche che a distanza di secoli la critica letteraria non ha potuto del tutto svelare. Shakespeare – l’uomo, in primis, e per certi aspetti l’opera – resterà in parte sempre un mistero, qualcosa di sfuggente e fonte di inesauribili speculazioni così come il suo teatro non smetterà mai di raccontare le passioni dell’uomo ed ispirare nuove letture ed interpretazioni. Inventore dell’uomo, ne ha messo in scena vizi, virtù, passioni e tormenti universali, svelandone l’anima complessa e contraddittoria. Celandosi dietro i personaggi infondendo, forse nell’uno o nell’altro, parte di sé stesso e riflettere sul mondo e le passioni che dominano l’uomo.
Controverso e oggetto di indagine critica è anche il canzoniere shakespeariano, composto di 154 sonetti – ognuno di essi strutturato in tre quartine più distico finale - pubblicati, su iniziativa dell’editore londinese Thomas Thorpe, nel 1609 e che ha sollevato non poche problematiche testuali ed extratestuali. Incertezze che riguardano, come nota il professor Serpieri nell’introduzione alla fondamentale edizione Rizzoli da lui curata, la datazione delle liriche (presumibilmente composte tra il 1593-95 o tra il 1598-1601) che rimane un problema irrisolvibile, la sequenza dei componimenti, la scelta stessa di pubblicare testi che rivelano, in alcuni casi, un certo grado di incompiutezza (o, quantomeno, mancanza di revisione finale) e che, soprattutto, non era nelle intenzioni dell’autore – all’apice del successo come drammaturgo - dare alle stampe, in un momento, inoltre, in cui il genere non era più in voga da quasi un secolo. La stessa dedica voluta dall’editore rimane quanto mai enigmatica ed è tuttora impossibile stabilire in maniera inequivocabile l’identità di Mr W.H., ispiratore o procacciatore dei versi.
Mistero che ha appassionato la critica shakespeariana e che, in parte, si lega all’indagine circa l’identità dello stesso fair youth cui sono rivolti i sonetti 1-126, per alcuni aspetti i più intensi ed immortali e, senza dubbio, i più discussi e controversi. A seguire, dal 127 al 154, i sonetti dedicati all’altrettanto misteriosa dark lady, che chiudono la raccolta. Implicazioni omosessuali, amicizia, amore, matrimonio, discendenza, riflessione sulla caducità della vita umana, sul legame tra arte ed immortalità, su verità e finzione, arte e vita: anche nei sonetti, arricchiti del mistero che li circonda, la rappresentazione shakespeariana dell’uomo.

Di cui qui, in maniera del tutto arbitraria, riportiamo una breve selezione di sette componimenti che
Foto di Debora Lambruschini
in qualche modo sono, per la sottoscritta, i più esemplari e coinvolgenti, tutti, ad eccezione dell’ultimo, dedicati al fair youth: il primo sonetto, che apre, oltre alla raccolta, la cosiddetta “sequenza matrimoniale”, appare come una sorta di dichiarazione poetica circa le tematiche sviluppate nei componimenti a seguire e ruota intorno alla tensione tra norma sociale (il matrimonio e la procreazione) e la riluttanza del giovane a seguire le regole del mondo; il sonetto 18 (il primo fuori dalla sequenza matrimoniale) è uno dei più citati (almeno nel suo incipit) e che, mediante la contrapposizione tra estate naturalistica ed estate metaforica, riflette sulla caducità della vita e sull’immortalità possibile solo mediante la poesia; il sonetto seguente ribadisce il potere della poesia, capace di preservare bellezza e gioventù, immortali contro l’attacco del Tempo; nel sonetto 55, la potenza ostile del Tempo, viene ancora una volta contrastata dalla poesia che rende immortale non colui che firma i versi – come invece era tema comune per gli antichi - ma la persona a cui essi sono dedicati; tempo che, nel sonetto 63, inarrestabile corrompe la bellezza dell’amato, segnandone la fronte, fino al declino, destino ineluttabile dell’uomo; ma né il tempo, né la caducità umana possono mutare l’amore che, nonostante tutto, non si piega ad essere lo «zimbello del Tempo» (sonetto 116, di cui alcuni versi sono citati, per fare un esempio, nel recente film Only lovers left alive); ed infine il sonetto 142, parte del gruppo dedicato alla dark lady, in cui il sentimento assume contorni più sensuali, una passione che si fa seduzione e peccato, forse adultera.
I sonetti qui selezionati sono tratti dalla raccolta William Shakespeare, Sonetti, a cura di Alessandro Serpieri, Bur Rizzoli, 2010.

From fairest creatures we desire increase,
That thereby beauty's rose might never die,
But as the riper should by time decease,
His tender heir might bear his memory:
But thou contracted to thine own bright eyes,
Feed'st thy light's flame with self-substantial fuel,
Making a famine where abundance lies,
Thy self thy foe, to thy sweet self too cruel:
Thou that art now the world's fresh ornament,
And only herald to the gaudy spring,
Within thine own bud buriest thy content,
And, tender churl, mak'st waste in niggarding:
Pity the world, or else this glutton be,
To eat the world's due, by the grave and thee.
(Sonnet I)


Shall I compare thee to a summer's day?
Thou art more lovely and more temperate:
Rough winds do shake the darling buds of May,
And summer's lease hath all too short a date:
Sometime too hot the eye of heaven shines,
And often is his gold complexion dimmed,
And every fair from fair sometime declines,
By chance, or nature's changing course untrimmed:
But thy eternal summer shall not fade,
Nor lose possession of that fair thou ow'st,
Nor shall death brag thou wander'st in his shade,
When in eternal lines to time thou grow'st,
So long as men can breathe, or eyes can see,
So long lives this, and this gives life to thee.
(Sonnet XVIII)




Devouring Time, blunt thou the lion's paws,
And make the earth devour her own sweet brood;
Pluck the keen teeth from the fierce tiger's jaws,
And burn the long-lived phoenix in her blood;
Make glad and sorry seasons as thou fleet'st,
And do whate'er thou wilt, swift-footed Time,
To the wide world and all her fading sweets;
But I forbid thee one most heinous crime:
O! carve not with thy hours my love's fair brow,
Nor draw no lines there with thine antique pen;
Him in thy course untainted do allow
For beauty's pattern to succeeding men.
Yet, do thy worst old Time: despite thy wrong,
My love shall in my verse ever live young.
(Sonnet XIX)


Not marble, nor the gilded monuments
Of princes, shall outlive this powerful rhyme;
But you shall shine more bright in these contents
Than unswept stone, besmear'd with sluttish time.
When wasteful war shall statues overturn,
And broils root out the work of masonry,
Nor Mars his sword, nor war's quick fire shall burn
The living record of your memory.
'Gainst death, and all oblivious enmity
Shall you pace forth; your praise shall still find room
Even in the eyes of all posterity
That wear this world out to the ending doom.
So, till the judgment that yourself arise,
You live in this, and dwell in lovers' eyes.
(Sonnet LV)


Against my love shall be as I am now,
With Time's injurious hand crushed and o'erworn;
When hours have drained his blood and filled his brow
With lines and wrinkles; when his youthful morn
Hath travelled on to age's steepy night;
And all those beauties whereof now he's king
Are vanishing, or vanished out of sight,
Stealing away the treasure of his spring;
For such a time do I now fortify
Against confounding age's cruel knife,
That he shall never cut from memory
My sweet love's beauty, though my lover's life:
His beauty shall in these black lines be seen,
And they shall live, and he in them still green.
(Sonnet LXIII)


Let me not to the marriage of true minds
Admit impediments. Love is not love
Which alters when it alteration finds,
Or bends with the remover to remove:
O, no! it is an ever-fixed mark,
That looks on tempests and is never shaken;
It is the star to every wandering bark,
Whose worth's unknown, although his height be taken.
Love's not Time's fool, though rosy lips and cheeks
Within his bending sickle's compass come;
Love alters not with his brief hours and weeks,
But bears it out even to the edge of doom.
If this be error and upon me proved,
I never writ, nor no man ever loved.
(Sonnet CXVI)


Love is my sin, and thy dear virtue hate,
Hate of my sin, grounded on sinful loving:
O! but with mine compare thou thine own state,
And thou shalt find it merits not reproving;
Or, if it do, not from those lips of thine,
That have profaned their scarlet ornaments
And sealed false bonds of love as oft as mine,
Robbed others' beds' revenues of their rents.
Be it lawful I love thee, as thou lov'st those
Whom thine eyes woo as mine importune thee:
Root pity in thy heart, that, when it grows,
Thy pity may deserve to pitied be.
If thou dost seek to have what thou dost hide,
By self-example mayst thou be denied!
(Sonnet CXLII)