Le prime quindici vite di Harry August e la condanna alla rinascita



Le prime quindici vite di Harry August
di Claire North
NN Editore
Traduttore : Valentina Daniele
Numero Pagine : 384

Prezzo : 18€



Harry August sperimenta la vita, e non nel senso che si accinge a vivere al meglio la sua, facendone esperienza giorno dopo giorno, ma nel senso che sperimenta ogni volta la rinascita e le modifiche che possano fargliela rivedere, diversa e uguale, per sempre. E sperimenta anche l’appartenenza ad una specie in evoluzione, quella dei kalachakra, che fonda il suo patrimonio sulla memoria e sull’assenza del limite: può morire, sapendo che rinascerà, può uccidere, può trasformarsi in quello che vuole, approfondire la scienza, le religioni, la storia. È infatti condannato alla rinascita e al ricordo, mentre attorno alla sua parabola si spengono e si accendono conflitti, progressi dell’umanità, sconfitte e drammi.

#RileggiamoConVoi - Settembre 2015

La Liguria - Foto di © Debora Lambruschini


Cari lettori,
come alla fine di ogni mese, ci diamo appuntamento con i consigli di lettura: settembre, si sa, è sempre un mese di passaggio, pieno di progetti e di lavoro, ma anche di pomeriggi e serate in casa per festeggiare il primo freschino autunnale con un bel libro. Per questo, vi suggeriamo titoli adatti a chi ha poco tempo, altri a chi vuole e può prendersi tempo per concentrarsi.

Buona lettura, 
La redazione

"Florence Gordon" di Brian Morton

Florence Gordon
di Brian Morton
Sonzogno, settembre 2015

pp. 320
€ 17,50

Dio benedica Florence Gordon.
L’eccentrica, scorbutica, caustica, protagonista del romanzo omonimo di Morton recentemente pubblicato in italiano da Sonzogno, è l’ennesima conferma di quanto ci sia bisogno di personaggi femminili “scomodi”, pungenti e il più possibile lontani dallo stereotipo dell’eroe integerrimo che ancora – purtroppo – molta letteratura non è riuscita a superare. Ed è soprattutto di eroine imperfette che abbiamo bisogno, antipatiche e scontrose, dotate di una dose di sano egoismo, indipendenti e fiere: di personaggi femminili dalla morale discutibile, che spiazzano il lettore e lo destabilizzano perché rendono difficile un’immedesimazione immediata, empatica, ma che proprio per questo risultano brillanti. E che, alla fine, conquistano. Come conquista infatti Florence, anima di questa commedia brillante, dolceamara, vagamente in stile Woody Allen, fin dalla prima pagina:
Florence Gordon stava cercando di scrivere un memoir ma due fattori giocavano contro di lei era vecchia ed era un’intellettuale. E chi mai al mondo, si domandava a volte, avrebbe voluto leggere un libro che parlava di una vecchia intellettuale? Forse c’era perfino un terzo fattore, perché non era solo un’intellettuale, era anche femminista. E questo significava che, se mai fosse riuscita a finire quel libro, i critici lo avrebbero inevitabilmente bollato come polemico e petulante.

Il Salotto - Con Adam Thirlwell a Milano

Adam Thirlwell e Gloria Ghioni a Milano - foto di ©CriticaLetteraria
21 settembre 2015
Hotel Manin, h. 17

Sono le 17 in punto quando Adam Thirlwell scende nella hall dell'hotel Manin: completo elegante, cravatta e un sorriso al tempo stesso timido, divertito e curioso. D'altra parte, lo accolgo con una stretta di mano e un sorriso molto simile: qualche impaccio nell'inglese, ma la stretta di mano salda rinfranca qualsiasi dubbio. E partiamo in un viaggio letterario e soggettivo in Lurid & Cute (in Italia pubblicato da Guanda col titolo di Tenero & violento, recensito pochi giorni fa). E per un'ora non esiste altro.

Vorrei partire dall'ambivalenza del titolo: ti sei accorto che la traduzione italiana ribalta i due aggettivi? Pensi che questo abbia una ricaduta sul gusto del lettore oppure i due aggettivi sono tanto ambivalenti da prestarsi docilmente a un ribaltamento?
Scelgo sempre titoli molto letterali: Lurid & Cute mi è piaciuto molto perché le parole rappresentano i temi chiave che tratto nel romanzo: sono due termini che non dovrebbero andare insieme, anche se in realtà sono correlati perché fanno riferimento a difetti e a un'assenza di sensazioni, a un'immaturità che si riflette perfettamente nel mio narratore. La traduzione italiana con i due aggettivi invertiti risponde forse a questioni di ritmo; so che la stessa cosa è successa anche in Francia, dove Lurid & Cute è stato traslato nel corrispettivo di "dolce e abietto". Non so se ci sia una differenza nella reazione del lettore: forse il titolo che termina con "violento" dà una percezione più sinistra al tutto, ma lascio che siano i lettori a stabilirlo. 

Il romanzo di Augusto imperatore

Augustus
di John Edward Williams
Castelvecchi, 2013 (1972)

traduzione di Bruno Oddera rivista da Antonella Lattanzi

pp. 384
17,50





Dopo avere letto di un autore un libro giudicato un capolavoro, viene naturale avvicinarsi con grandi attese al resto della sua produzione. Così, dopo “Stoner”, ogni cosa firmata John Williams suscita la dovuta aspettativa. Per non correre il rischio di girare troppo intorno al discorso, dico subito che questo romanzo sulla vita dell’imperatore Augusto non tradisce. E invita a fare alcune riflessioni sul significato e l’essenza stessi del narrare.

“Augustus” è un libro bellissimo che parte con una raccomandazione: guardate – dice Williams nella breve nota introduttiva – che mi sono preso delle licenze. Licenze da scrittore. Per cui quello che leggerete non sono proprio gli eventi accaduti oppure ciò che scoprirete dei personaggi non è fedele a quanto la tradizione riporta. Eppure quando arriviamo alla fine, di tutto questo non ci rendiamo conto. La costruzione di Williams, da romanziere e non da storico come ha tenuto a puntualizzare, sfuma ogni possibile dubbio sulla veridicità degli fatti. Qui sta un grande scrittore.

#ScrittoriInAscolto: Hyeonseo Lee a Milano

Foto di Claudia Consoli
Mi chiamo Hyeonseo Lee. Non è il nome che mi hanno dato quando sono nata, né uno di quelli che le circostanze, in momenti diversi, mi hanno costretta ad assumere. È il nome che mi sono data io stessa una volta raggiunta la libertà. 

Questo è l'inizio di una storia vera che parla di una fuga dalla Corea del Nord e di tutto quello che significa cercare la libertà, costruire e ricostruire la propria identità.
L'ha scritta Hyeonseo Lee, che ho incontrato a Milano in un assolato pomeriggio di settembre, al Mondadori Store di Piazza Duomo. Autrice di La ragazza dai sette nomi (Mondadori, 2015, con David John, traduzione italiana di Stefania Cherchi), è fuggita dalla Corea del Nord nel 1997 e oggi è attivista e portavoce per i diritti umani e i rifugiati nordcoreani. 
Una sera di dicembre, a diciassette anni, ai piedi un paio di scarpe nuove, ha salutato la sua famiglia e attraversato il fiume Yalu. Al di là dell'acqua ghiacciata c'era la Cina, con la sua notte illuminata a giorno; alle sue spalle la sua casa, una vita che quel gesto ha cambiato per sempre. 
Nel suo libro che sembra un romanzo Hyeonseo non racconta solo che ci vuole coraggio per fuggire da una dittatura e diventare disertori, non ci porta soltanto dentro la macchina di uno Stato che si regge sul terrore: si interroga e ci interroga sul significato della parola 'libertà' per offrirci un punto di vista che non potremo mai davvero comprendere con nessun reportage o documentario.

I segreti (non) svelati di Alice Munro

Segreti svelati
di Alice Munro
Einaudi, 2014

pp. 282 
€ 12,00



Traduzione di Marina Premoli            
1^ edizione originale: 1994 (Open Secrets)





Louisa, in tempo di guerra, s’innamora ricambiata di un giovane con cui scambia lettere appassionate ma che non vedrà mai, rimanendo prigioniera del proprio sentimento celato e irrisolto. Una ragazza scompare in occasione di una gita scolastica per non essere mai più ritrovata, ma la timida e insicura Maureen pare per un attimo intuire la verità che si cela dietro a tale mistero. L’amicizia tra Eunie e Rhea deve passare attraverso le complicazioni della crescita, ma non riesce a sopravvivere al cambiamento. Gail si trasferisce in Australia sotto mentite spoglie sulle tracce di una relazione fallita, per ritrovare l’uomo che ama o forse se stessa. Questi sono solo alcuni degli scorci esistenziali che Alice Munro ci permette di intravedere nella sua raccolta.

I racconti che compongono Segreti svelati sono acquerelli, e come tali non possono che disturbare sottilmente chi ama gli olii dai colori intensi e le pennellate pastose. Non è la forte emozione o il colpo di scena che deve cercare chi intraprende la lettura di questa silloge. I testi dispiegano infatti trame dalle sfumature delicate, istantanee che catturano momenti transitori di singole esistenze umane, con cui il lettore può identificarsi, ma senza essere costretto a farlo. La scrittura piana e scorrevole tratteggia scene e caratteri con acume, cogliendo il dettaglio dissonante, il punctum barthesiano che si imprime nella mente di chi osserva e non l'abbandona.

Pillole d'autore: Argo il Cieco di Gesualdo Bufalino

Gesualdo Bufalino, nato a Comiso, in provincia di Ragusa nel 1920, è stato uno dei più grandi scrittori del Novecento ed è considerato uno dei massimi rappresentanti della narrativa siciliana. Si può definire uno scrittore "anziano", intriso di ricordi. Quando esordisce corre, infatti, l'anno 1981: Bufalino ha più di sessant’ anni e sbalordisce tutti con il suo capolavoro, Diceria dell'Untore. Tra le sue opere, oltre ad Argo il Cieco, si ricordano i racconti de L'uomo invaso(1986), Le menzogne della notte (1988), il giallo parodistico Qui pro quo (1991), Calende greche (1992), la favola  Il Guerrin Meschino (1993) e il suo ultimo romanzo, Tommaso e il fotografo cieco.


Argo il cieco è la sua seconda opera, pubblicata nel 1984. Si tratta di una sorta di diario-romanzo che narra i sogni della memoria di un anziano sessantenne, alter-ego dello stesso scrittore. Il protagonista ripercorre, in un'atmosfera incantata e quasi fiabesca, le sue avventure giovanili. L'anziano si trova nella stanza d'albergo di una Roma invernale e piovosa, intento a rievocare se stesso trentenne nel 1951, in una città siciliana, Modica, estiva e luminosa. Scorre un juke-box di  ricordi programmato a disubbidire, scorrono soprattutto gli amori della sua gioventù per le brune e avvenenti ragazze siciliane, che si sporgono ridenti dai davanzali e dai balconi delle loro case. C'è quindi uno sdoppiarsi dell'io in due città e due età diverse che provoca nel lettore un felice effetto disorientante, ipnotico e allucinatorio.





(Edizione di riferimento: Argo il cieco ovvero i sogni della memoria di Gesualdo Bufalino, Sellerio Editore, Palermo 1984)

CriticaLibera - Ritratto di Gagliano

Ritratto di Gagliano.
Inchiostro su carta. Carlo Levi.


Un pomeriggio di Maggio, mi capitò di ascoltare sull’autobus una maturanda che commentava l’opera di Charles Dickens. Si trattava di una tesina sulla fotografia, se non vado errata, che ben si sposava con lo stile “fotografico e dettagliato” dell’autore vittoriano. Tra le mani stringevo Cristo si è fermato a Eboli di Levi e i pensieri cominciarono a viaggiare alla velocità della luce.

Si vanta tanto la letteratura straniera sottovalutando sempre quella nazionale. Inizialmente, scelsi di leggere questo romanzo “nostrano” per colmare le mie lacune riguardanti la cosiddetta letteratura “contemporanea” tanto trascurata sui banchi di scuola. In seguito, questo romanzo si dimostrò una vera e propria rivelazione narrativa. In più, l’accostamento Dickens-Levi non è così impensabile. Entrambi gli autori, sebbene di epoche diverse e con intenti diversi, riescono a tratteggiare e ad abbozzare brillantemente la società e la realtà alla quale appartengono. La medaglia al merito va però al nostro Levi, in quanto riesce a rappresentare perfettamente una realtà che gli è estranea dalla nascita.  

Il Salotto - Chiara Cecilia Santamaria: di impegno. musica e parole

Foto di Chiara Cecilia Santamaria
Preparo quest'intervista con il sottofondo della stessa playlist che mi ha accompagnata pagina dopo pagina nella lettura del romanzo e che mi ha aiutata ad entrare ancora più nel profondo di questa storia intensa, che affascina e destabilizza allo stesso tempo, che costringe a mettere in dubbio ogni certezza. Come tutte le storie dovrebbero fare. La playlist è quella scelta dall'autrice stessa, di cui troverete il link nelle pagine finali del romanzo Da qualche parte nel mondo da poco più di una settimana in libreria per Rizzoli. 
Raggiungo Chiara a Londra, per porle alcune domande sul romanzo, sul processo di scrittura e sui suoi progetti futuri.

Sei una professionista delle parole, una blogger affermata, alla tua prima prova nella narrativa: da quanto coltivavi il sogno di questo romanzo e come ha visto la luce? Vuoi raccontarci anche qualcosa del processo creativo, di cosa ti ha ispirata, della fatica e dell’impegno che c’è dietro la nascita di questo progetto?
Scrivere un romanzo è sempre stato il mio sogno, ho iniziato tante volte e finito per davvero solo una: questa. Credo che i tempi siano stati giusti per scrivere il tipo di libro che volevo, prima forse non ne sarei stata capace. Il processo creativo è stato lungo, spesso difficile, sempre appassionante, ed è durato quattro anni. Ho buttato giù le prime righe circa un anno dopo aver pubblicato il primo libro (Quello che le mamme non dicono, Rizzoli) e ho finito solo la scorsa estate. Scrivere un romanzo è diverso da qualsiasi altra cosa. Costruire una storia e degli intrecci sensati, dare vita a dei personaggi credibili, scrivere con misura senza strafare sono tutte sfide che mi sono trovata ad affrontare. Ho scritto, ma soprattutto ho riscritto. E ho cancellato molto. La versione originale del libro è lunga circa il doppio di quello che è arrivato in libreria.

#taoyouth2015: Marco Missiroli, "Atti osceni in luogo privato"

Atti osceni in luogo privato
di Marco Missiroli

Feltrinelli, 2015



Se è vero che il sesso è «l’ultimo mito dell’Occidente», Atti osceni in luogo privato sembrerebbe indubitabilmente al passo coi tempi. Peccato che il nuovo libro di Marco Missiroli non parli di sesso. Nonostante l’accattivante copertina (una fotografia di Erwin Blumenfeld, garbatamente erotica) e l’ancor più ammiccante calembour del titolo, il romanzo deluderà i catalogatori seriali di casi letterari, già pronti ad inventariarlo nel contenitore dell’autofiction italiana di indirizzo tardo-pasoliniano (la pornografia engagé di Siti o Nove). A Missiroli non interessa l’atto sessuale come metafora della standardizzazione capitalistica del corpo (la “magnifica merce” sitiana), ma l’idea un po’ naif dell’eros come spazio astorico di esercizio della propria sovranità (per parafrasare il titolo, gli atti osceni sono il luogo privato, il rifugio in cui l’uomo ricorda di essere libero). Il suo naturismo, però, è tutt’altro che ingenuo: il Bildungsroman del protagonista è un viaggio iper-letteraturizzato nella biografia (ma soprattutto nella bibliografia) del lettore medio cresciuto a pane, Sessantotto ed esistenzialismo francese. 

Scrittori in Ascolto - Con David Leavitt a Milano

Gloria Ghioni con David Leavitt (foto di ©Cletteraria)
16 settembre 2015, h. 18
Hotel Manin, Milano

Come festeggiare il proprio compleanno? Ci sono moltissimi modi, ma di certo non capita spesso di incontrare e intervistare uno dei propri scrittori preferiti. Ho avuto questa fortuna e per questo mi concedo questa introduzione insolitamente soggettiva. 
Bene, partiamo. Il romanzo di David Leavitt, I due Hotel Francfort, è uscito per Mondadori da una settimana, quando ci sediamo attorno a un tavolo a parlarne. Avevo già recensito il romanzo (leggi qui) e le curiosità erano tante. Premetto che Leavitt le ha soddisfatte tutte, senza il minimo tentennamento. 

SULLA STORIA

Anzitutto, perché scegliere Lisbona come ambientazione? Come ci ricorda Leavitt, durante la seconda Guerra Mondiale il Portogallo era neutrale e tutti andavano lì, perché era l'unica via per partire. All'inizio aveva avuto il desiderio di raccontare la storia di Jean Michel Frank, un designer d'interni francese; poi la vicenda si è complicata, e ha richiesto di staccarsi dalla biografia pura per raccontare la storia di rifugiati senza una casa. Tutti i personaggi hanno infatti il punto in comune di essere in luoghi estranei, mai volutamente. In fondo, una sensazione che anche noi lettori abbiamo provato almeno una volta nella vita! 
Quanto al periodo storico, Leavit confessa che da giovane non avrebbe mai pensato di raccontare del 1940. Forse i fatti erano ancora troppo freschi per essere "sporcati" di narrativa: i genitori stessi avrebbero potuto contraddire ogni singolo fatto. Ora, a parte i tanti collegamenti tra la crisi di allora e quella di oggi, è forse intercorso abbastanza tempo per raccontare della seconda Guerra Mondiale.

#taoyouth2015: Pariolini domestici (e non). Letizia Muratori, "Animali domestici"

Animali domestici
di Letizia Muratori

Adelphi, 2015


Prendete un ambiente, per così dire, “protetto”: il quartiere romano Parioli, la severa patina medioborghese dei suoi palazzi “dritti” e “analoghi”. Osservate i suoi coloni, distrattamente sospesi fra l’appagamento e l’aspirazione – volutamente frustrata – a emanciparsi da un sostrato culturale, in fondo, indelebile. Un’umanità “normale” proiettata su un fondale incolore, neutro, sul quale Letizia Muratori, in Animali domestici, dipinge l’affascinante, misteriosa complessità delle relazioni umane.

Quale istinto spinge a prendersi cura di un animale? Chiara, “pariolina” dissidente e “canara” per passione, sottrae i cani a chi, incostante, non li ha amati abbastanza. Di essi conosce ogni dettaglio, ogni abitudine; è qualcosa di più dell’affetto: è devozione. Vitale e pura, “piena di slanci e priva di curiosità” è forse il personaggio più commovente, più sincero del romanzo, memorabile nella sua “pazzia” che è in fondo, semplicemente, immensa capacità di amare.

#CritiComics: Don Rosa “Zio Paperone era punk prima di te” – Mostra al WOW – Museo del Fumetto di Milano

Sabato 19 settembre presso il WOW – Museo del Fumetto di Milano in occasione della mostra “Zio Paperone e i segreti del deposito” è avvenuto l’incontro, in collegamento via Skype, con Keno Don Hugo Rosa, uno dei maggiori autori di storie sul papero milionario e vincitore nel 1995 del prestigioso Will Eisner Award (massima onorificenza in fatto di “comic strip”), In particolare Don Rosa ha disegnato la celeberrima “The Life and Times of $crooge McDuck” vera e propria pietra miliare, dopo le avventure firmate da Carl Barks, di Zio Paperone. La videoconferenza, alla quale ha partecipato anche Dan Shane, autore degli accurati progetti del deposito di Paperone da cui Don Rosa ha tratto lo spunto per una recente storia, è stata un utile appuntamento sia, ovviamente, per approfondire il tema legato ai “paperi dei fumetti” sia per capire le logiche (e contro-logiche) editoriali.

Il bordo vertiginoso delle cose di Gianrico Carofiglio: oltre il senso di fallimento, c'è ancora la vertigine della felicità



Il bordo vertiginoso delle cose
di Gianrico Carofiglio
BUR, maggio 2015

pp. 315
€ 5,90

‘Our interest’s on the dangerous edge of thing
The honest thief, the tender murderer,
The superstitious atheist’

Robert Browning

Enrico Vallesi è un uomo in bilico, sospeso sul bordo vertiginoso della sua esistenza, da quando dieci anni fa ha pubblicato il suo primo ed ultimo romanzo.
Schiacciato dal successo inaspettato di quel bestseller e dal peso di aspettative a cui non riesce a far fronte, guarda la vita attraverso un vetro appannato, nell’attesa perenne di una scossa, di una scarica d’elettricità.
E la scossa arriva da un articolo di cronaca su di un quotidiano, letto distrattamente al tavolino di un bar sotto casa. Enrico fa le valigie e parte, da Firenze torna a Bari, la sua città d’origine dove non mette piede da anni.
Con un ritmo serrato ma ben cadenzato, le vicende del presente, narrate sotto forma di un lungo, a tratti ironico, dialogo interiore, si alternano ai ricordi del passato: quelli dell’anno più importante della sua vita, segnato dall'innamoramento (emotivo ed intellettuale) per la giovane supplente di filosofia e dall’incontro con Salvatore Scarrone, il compagno di classe più grande  e pericoloso.

Io & Tolkien (parte 2)

I Tolkien di Giulia, ed. Bompiani
MATTIA & TOLKIEN


Ho sempre odiato Tolkien e i fantasy in generale. Orecchie a punta, piedi sporchi e barbe lunghe non hanno mai fatto troppo per me. Mi sono sempre piaciute le creature mediterranee, le ninfe che si trasformano in piante come quelle dei Miti Greci o i terribili dei mesopotamici, che se non fai il bravo si mangiano il mondo intero. La saga de “Il Signore degli Anelli” l’ho vista e conosciuta  al cinema come tanti, come tutti. Vidi la trilogia senza non aver mai letto neppure un rigo del romanzone di Tolkien e, francamente, ci capii poco o niente. Ma d’altro canto la forza delle immagini di Peter Jackson e la favolosa commistione tra attori reali ed effetti speciali di computer grafica stava già facendo il suo effetto. Quando vidi le tombe “a tholos” dei valorosi cavalieri di Rohan ebbi la netta sensazione che qualcosa stava cambiando, confermata dalla mia assoluta emozione nel vedere, proprio come aveva detto Gandalf il fu grigio ora il bianco, arrivare da est dopo tre giorni i Rohirrim per spazzare via le orde di Mordor dal Fosso di Helm. Niente fantasy, erano gli epiteti esornativi che mi riempivano il cuore, l’aria epica e classica che si poteva respirare per la Terra di Mezzo che guidava i miei passi. Passi che mi condussero dritto dritto in libreria dove, qualche anno prima quasi con un riflesso condizionato degno di un cane pavloviano, prendeva polvere il tomone Bompiani. Era Natale e cadeva una neve lieve che sembrava forfora. Furono le canzoni di Tom Bombadill a farmi entrare appieno nel narrato tolkeniano e fu il, almeno per me, favoloso epilogo in cui si vede la Contea in balia degli ultimi uomini superstiti di Saruman a conquistarmi dalla punta dei capelli a quella dei piedi. Anche se non sono solito camminare scalzo, i chilometri di carta che ho macinato sulle pagine di Tolkien non mi hanno mai fatto dolere le gambe ma soltanto spinto a fare “un altro passo e un altro e un altro ancora”.  

Io &Tolkien (prima parte)

Not all those who wonder are lost.
Cari lettori, per festeggiare il Tolkien Day abbiamo deciso di raccontarvi di quando ci siamo immersi per la prima volta nel mondo della Contea, tra hobbit e sfide mortali... In due contributi, oggi leggerete qualcosa di nostro, del nostro passato di piccoli lettori, e di come un fantasy possa trasformarsi in qualcosa di più, in un ricordo che intenerisce sempre un po', quando ci si ripensa. Buona lettura! E che il vostro "tessssoro" sia con voi! 

*** 

LAURA & TOLKIEN

Il mio amore per Tolkien, lo dico subito, è atipico. Non ho capito che mi aveva cambiata per sempre all’ultima pagina del Ritorno del re, anche se per un adolescente chiudere la sua prima trilogia, girarsi indietro e vedere mille pagine dietro di sé, è sempre un grande momento di passaggio, come arrivare in cima a una montagna. Non ho capito che Tolkien mi aveva cambiata all’ultima pagina dello Hobbit. Se la trilogia del Signore degli Anelli era stata l’altissima montagna, le avventure di Bilbo Baggins erano state una gioiosa discesa giù per il pendio di una collina.

Il “mio” Tolkien l’ho scoperto su altre pagine, quelle del Silmarillion. Ricordo un’estate in giardino, nella quiete delle vacanze scolastiche (quella quiete che non ritorna più), ore trascorse sulle mappe della Terra di mezzo in pigri pomeriggi d’agosto. Ricordo un senso di sottilissimo piacere nello scorrere le infinite tavole di genealogie elfiche, nello snocciolare quei nomi bellissimi e liquidi e i loro appellativi – Glorfindel, Manwë, Elrohir, Lúthien Tinúviel – come se ripeterli avesse potuto materializzare un po’ di quella meraviglia dal sapore antico.

#LectorInfabula - "The Hobbit"



The Hobbit  
di J. R. R. Tolkien 
Harper Collins, 2013

pp. 320
€ 25,00


“perché soltanto le parole sono un bene sicuro
canta, dunque che anche questo è vero”
 (W. B. Yeats)




Gioia reverenziale, quale altro stato d’animo è possibile nel raccontare una delle gemme letterarie più belle di sempre? Dei tanti libri che le sue pagine avvolgono, vedremo insieme. A caccia dunque…


Andata...


Da quale edizione partire? In lingua originale naturalmente! In Italia ancora non possediamo una versione adeguata... non tradotte le mappe e le trasposizioni avvicendate nel tempo, tranne quella ben invecchiata per Adelphi, non restituiscono appieno l’atmosfera di un libro dall’esuberante ricchezza stilistica e lessicale. L’edizione scelta in questo caso, in Italia edita da Bompiani, è quella splendidamente illustrata da Jemima Catlin. Una ventata di aria classica per sintonizzare l’immaginario de Lo Hobbit, dopo i lunghi anni di “prigionia” nelle pur splendide mani di Alan Lee, alla sua primigenia natura di incantevole libro per fanciulli, da leggere ai piccoli e anche alla gente alta…

Quando nel 1937 l’hobbit Bilbo Baggins sbucò per la prima volta dalle pagine di un libro buongiornando i lettori, nato come storia a puntate da leggere ai figli nei pomeriggi invernali all’ora del tè, il suo universo d’origine, quello che ora possiamo leggere nel “Silmarillion”, esisteva solo in parte.

#ScrittoriInAscolto - A merenda con Melanie Raabe

A merenda con Melanie Raabe: 
ho dimenticato di mangiare i dolcetti per parlare con lei di trappole, scrittura, e paranoia.

Qui si parla di scrittori ricchi. Evitino di leggere i sostenitori della soffitta bohémien, gli oppositori del best-seller, gli emergenti che soffrono di acidità di stomaco. Qui si parla di una donna che da undici anni campa di scrittura. Mi piacerebbe fare un paragone nella realtà citando Stephen King, ma mi devo arrendere alla tristezza dei nostri tempi, così vi dirò che Linda Conrads, la protagonista del thriller “La Trappola” è ricca come E.L. James. Ma per fortuna ha problemi ben più seri che decidere in quale cassetto nascondere l’ennesimo sex toy.

Linda non esce di casa da undici anni. È un mistero per la stampa e per i suoi fan. È Elena Ferrante ma meno romantica e più paranoica. Quando domando a Melanie Raabe, autrice del libro, se secondo lei è possibile scrivere senza stare tra le persone, nel mondo, lei mi risponde di no, mi dice che Linda riesce a lavorare ai suoi libri solo perché fino a una certa età è stata una come tante, che usciva e parlava con la gente. Lo ammetto, mi viene da contraddirla. Vorrei dirle che a me Linda sembra una che rifiuta il mondo e tutto ciò che è altro da lei, una donna priva di meraviglia e stupore, e che quindi mi appare molto strano che riesca con successo a descriverlo nei suoi libri. Ma non lo faccio. Un po’ perché Melanie Raabe è una persona di rara cortesia e gentilezza (sono arrivata in ritardo all’incontro con lei e gli altri blogger ma mi ha accolto come se nulla fosse accaduto) e soprattutto non incalzo con i miei dubbi, perché noto che Melanie conosce bene la sua protagonista. Mi accorgo che dietro la costruzione di questo personaggio c’è un lungo lavoro di riflessione, quindi mi fido di lei.

«Preferisco più felicità a più verità»: Adam Thirlwell e l'antieroe post-postmoderno

Tenero & violento
di Adam Thirlwell
Guanda, 2015

[titolo originale: Lurid and Cute, traduzione di Riccardo Cravero]
pp. 262
€ 18,50 (cartaceo)



La nostalgia è la malattia del nostro tempo. Perché mentre altre generazioni hanno la capacità di lasciare che il loro passato e tutti i suoi manufatti si dissolvano in polvere, noi abbiamo questa disponibilità, su qualunque computer o telefono che ci capita di possedere, di tornare indietro a tutto il nostro passato. (p. 235)
Cosa lascerà la generazione dei trentenni? Un quesito che in pieno postmoderno Ellis e McInerney hanno risolto rompendo ogni idea di costruzione e deviando verso la totale perdita di finalità, con l'unico imperativo di sballare per non sentire. Qual è la ricetta di antieroe scelta da Thirlwell, quasi trent'anni dopo? Prendiamo un io-narrante logorroico, che sa distinguersi dagli altri proprio per il turbinio di speculazioni («L'unica cosa che mi ha sempre reso diverso dagli altri è che io, a me viene da pensare di più», p. 38), che si è licenziato perché è alla ricerca di una sua forma d'arte di cui non ha però la minima idea e d'altra parte neanche lo preoccupa l'aspetto economico, perché è viziato dai genitori benestanti. Aggiungiamo che non lo turba nemmeno dormire nella camera affianco ai genitori con la bellissima moglie Candy, di nome ma non di fatto, o meglio, solo inizialmente, visto che anche l'accondiscenza ha un limite («L'aggressività nei litigi è una cosa che viene molto bene alle persone in precedenza gentili»). 

Scrittori in Ascolto - Con Ann-Marie MacDonald a Milano

Ann-Marie e Gloria all'Hotel Manin (foto di ©Cletteraria)

17 settembre 2015, h. 18.30

Hotel Manin, Milano

È un tardo pomeriggio che stenta a diventare sera, quello in cui incontro con altri blogger e amici Ann-Marie MacDonald, in occasione dell'uscita di L'età adulta (leggi la recensione). Ci sono alberi e cinguettii che hanno poco a che fare con l'autunno alle porte e molto con l'idea di rinascita che è racchiusa nel romanzo. Romanzo duro, a tratti claustrofobico, per l'atmosfera angosciante in cui vive una madre-scrittrice che non riesce a smarcarsi dalla sua figura di madre ma soprattutto dal suo passato. 
Ann-Marie lo confessa: c'è molto di autobiografico, a cominciare dal fatto che anche lei, come la protagonista Mary Rose, è nata in Germania, in una base Nato. E come il suo personaggio è una donna "multitasking", abituata a dividersi tra scrittura, recitazione, lavori per lo schermo e per il teatro. Non sa dire quale se recitare e scrivere siano lavori ugualmente faticosi, ma certamente rintraccia molti punti di contatto e quasi di sovrapposizione nel suo percorso: è stato dopo aver scritto Buonanotte, Desdemona, la prima commedia in cui non ha recitato, che ha iniziato una rapida virata verso la scrittura pura, che avrebbe generato Chiedi perdono (in Italia, 1999), il primo grandissimo successo letterario. La versatilità è fondamentale: «è come in agricoltura: se fai ruotare le colture, hai sempre un terreno fertile. Così io scrivo commedie e romanzi alternando le mie forme creative e tenendole vive».

Pillole d'autore - Calvino 1947, il capitolo nono de "Il sentiero"




Il 19 settembre 1985, all'Ospedale Santa Maria della Scala di Siena, ci lasciava Italo Calvino. 62 anni, decisamente in anticipo sui tempi. Avrebbe avuto ancora molto da scrivere e da dire: quelle Lezioni Americane che mai ha potuto tenere ad Harvard, ma che per fortuna oggi possiamo leggere.

Raccogliere quasi 40 anni di scrittura in un unico articolo è impresa ardua e presuntuosa, così come concentrarsi su un'unica opera sembra certamente riduttivo. Così la soluzione è lasciar parlare lui, tramite le sue opere. Ma quale scegliere? Forse per cimentarmi con qualcosa di non troppo grande ho pensato alla prima: Il sentiero dei nidi di ragno. Uscito nel 1947 per la collana I Coralli di Einaudi, quando Calvino aveva 24 anni, è il primo vero e proprio romanzo dell'autore, che fino ad allora aveva pubblicato solo qualche racconto. Sono gli anni dell'immediato Dopoguerra, anni di “esplosione letteraria, un multicolore universo di storie” come dice l'autore stesso nella prefazione al libro del 1964. Tutti erano reduci dell'esperienza totalizzante che era stata la guerra, tutti avevano una storia da raccontare: lo spirito embrionale del Neorealismo è tutto qui. Il Sentiero, sul crinale tra la forma del romanzo breve e del racconto lungo, a livello di trama è molto semplice e lineare. È la storia di un ragazzino ligure, Pin, che tra una bravata e l'altra si unisce un po' per caso a un gruppo di partigiani, tutti tipi “un po' storti”. Nessun intento celebrativo, solo lo zampettare qua e là di uno scapestrato che rincorre una pistola. Se ci fermassimo qui avremmo un racconto per ragazzi, e invece il libro è considerato tra i capisaldi del Neorealismo. A far la differenza è un capitolo, il capitolo nono. Per tirare le somme: Calvino esordiente non vuole tingere di un'unica tonalità celebrativa l'esperienza partigiana, quindi da una parte sceglie per protagonista un ragazzino (e non, per esempio, un giovane Milton) e, non solo, lo inserisce tra figure non del tutto trasparenti e di certo per nulla eroiche.

#ScrittoriInAscolto: racconto della presentazione milanese di "Quello che hai amato"

Foto di Claudia Consoli
 Scrivere non fiction può essere più rischioso di scrivere di narrativa, ma anche più liberatorio. È partire da se stessi per andare al centro delle cose, essere un po' egoisti nel concentrarsi sulla propria esperienza e allo stesso tempo generosi nel regalarla agli altri. 
Scrivere non fiction di qualità è difficile perché lo scrittore si mette al centro della pagina e, in un gioco di specchi, diventa il personaggio che il lettore si aspetta, appoggia, condanna; è un corpo a corpo con la scrittura, una forma di "racconto" che si distingue da tutte le altre. 
Lo sanno bene le autrici di Quello che hai amato (Utet Libri, 2015), un'antologia curata da Violetta Bellocchio che raccoglie i testi di undici autrici italiane under 40.
Insieme a Violetta hanno partecipato al progetto Nadia Terranova, Mari Accardi, Giusi Marchetta, Carolina Crespi, Raffaella R. Ferré, Claudia Durastanti, Giuliana Altamura, Flavia Gasperetti, Chiara Papaccio e Serena Braida.

«Permettere alle sezioni del Tempo di sanguinare daccapo, poi ritrapiantarle».

L'età adulta
di Ann-Marie MacDonald
Mondadori, 2015

Traduzione di G. Granato

pp. 344
€ 22 (cartaceo)
€ 9,99 (ebook)


I segni sul corpo di una persona sono segni su una mappa, strade tracciate sulla carne, ti raccontano da dove sei venuto e come tornarci. Le sue cicatrici possono riportarla a casa. (p. 294)
Mary Rose pare una casalinga frustrata e depressa come tante: due figli piccoli da crescere, una casa da pulire, pochissimo tempo per sé e un altissimo grado di responsabilità («L'educazione dei figli somiglia alla guerra: lunghe fasi di noia costellate dallo scatenarsi dell'inferno», p. 130). Qualcosa in realtà la differenzia da molte: è una scrittrice di successo, che ha scritto romanzi young adult molto promettenti e tutti le chiedono quando arriverà la terza parte della saga. Poi c'è Hilary, la donna che ha sposato, dopo aver combattuto perché l'omosessualità venisse sdoganata dalle malattie secondo OMS e soprattutto perché anche i suoi genitori accettassero la situazione. Certo, adesso Dolly e Duncan adorano Hilary, ma quando la giovane Mary Rose aveva fatto coming out, erano stati crudeli:

"Da qualche parte nel mondo"

Foto di Debora Lambruschini
Da qualche parte nel mondo
di Chiara Cecilia Santamaria
Rizzoli, settembre 2015

pp. 432
€ 18,00


Qualcuno ha detto che scrivere un libro è un atto di fede. Non potrei essere più d’accordo. È un atto di fede prima di tutto verso sè stessi e le proprie capacità di mettere in ordine le parole e le storie che affollano la mente, poi verso i lettori che speriamo di raggiungere, coinvolgere in quella storia cui ognuno di loro darà un senso e una percezione personale. Ed è anche, secondo me, una bella prova di coraggio esporsi al giudizio – degli editori, degli addetti ai lavori, del pubblico - , lasciare che le nostre fantasie messe ordinatamente su carta se ne vadano in giro ed ogni lettore che incontrano le faccia un po’ sue in qualche modo. Chiara Cecilia Santamaria delle parole è una professionista: giornalista, autrice del blog molto seguito machedavvero.it da cui poco dopo era anche nato un libro, viaggiatrice, presenza molto attiva sui social. Ma nella narrativa è un’esordiente e se, come me, la seguite – e in qualche modo conoscete – online potete immaginare la fatica e l’ansia dietro questo libro, uscito proprio oggi per Rizzoli.
Penna divertente e malinconica insieme, mamma e moglie espatriata a Londra, sorprende con un romanzo che è lei in ogni parola e allo stesso tempo non lo è per niente: un esordio notevole, maturo, che merita di essere letto mettendo da parte il personaggio della Chiara blogger che in questi anni abbiamo seguito per scoprirla nell’inedita veste di romanziera. E nel giro di poche frasi la trama e i personaggi catturano, riuscendo piuttosto facilmente a lasciare l’autrice sullo sfondo e parlare da sè, liberi da vincoli, confronti ed influenze che pensiamo di poter riconoscere. Il romanzo verso cui ci ha attirato il nome in copertina, deve essere lasciato libero infatti di svelare da sè ogni pregio, ogni limite, maturità ed incertezze per quello che nonostante alcune debolezze – a tratti un eccesso di sentimentalismo, alcuni personaggi vagamente troppo caratterizzati, il tempo sospeso - resta un esordio interessante e promettente.

Eggers, anche se hai scomodato Gustave Le Bon e mia nonna, non per questo cercherò di bannarti. Anzi.


Il Cerchio
di Dave Eggers
Mondadori, 2014

pp.391
€ 20,00


Ce l’avete presente Miss Italia, o Miss qualsiasi cosa, quando le chiedono quale sia il suo più grande desiderio e lei risponde “La pace nel mondo”? Ecco, in quel momento mi verrebbe voglia di andare lì, scuoterla dalla fascia e chiederle: scusa ciccia, sai almeno da cosa si dovrebbe iniziare?
Che lei sia in grado o meno di rispondere a questa domanda poco importa. Poco importa al pubblico che la vota, la guarda, la ama. Perché come si fa a non adorare una dolce ventenne il cui unico desiderio è vedere gli esseri umani mangiare zucchero filato e cavalcare unicorni rosa?
Il Cerchio, multinazionale che ricorda molto Google incorporato a Twitter e Facebook, più o meno si basa su questo principio: vuole la felicità dei suoi utenti. 

Vi racconto di un mondo in cui due fidanzati si lasciano e lei sa esattamente come lui passa le giornate, così una sera si reca nel ristorante in cui sta cenando, lo fa ingelosire e i due tornano insieme: succede oggi con Facebook, e sì, forse è un’imboscata, ma che c’è di male? Infondo era  per amore.
Poi vi racconto di un mondo in cui ogni giorno vengono rapiti sette bambini, e in cui una società progetta un microchip per poterli controllare e riesce a eliminare il problema: questo è il Cerchio. E anche se quei bambini saranno per sempre monitorati in ogni loro singola mossa, si pensa che sia un giusto prezzo da pagare per garantire loro un’infanzia serena.

Quel che vorresti, ma non sei, sotto le luci spietate del giorno


Le mille luci di New York
di Jay McInerney
Bompiani, 2015

1^ edizione originale 1984 [Bright Lights, Big City]
Traduzione di Marisa Caramella

pp. 155
€ 10,00 (cartaceo)


È peggio di quanto ti aspettassi, uscir fuori nella luce del giorno. Il bagliore è come il rimprovero di una madre. Il marciapiede manda un crudele scintillio. La visibilità è illimitata. I depositi del centro hanno un'aria serena e riposante nella luce obliqua. (p. 13)
Inizi a leggere Le mille luci di New York, lo strabiliante esordio di McInerney, e ti ritrovi accecato da una pagina luminosa come una mattina d'inverno, quando la città si sveglia e porti negli occhi l'intorpidimento di una notte brava. Come il protagonista, che ha appena trascorso una notte brava con gli amici di sempre (amici?), in compagnia di superalcolici e coca. Fin da subito vivrai la sua stessa vita con questa narrazione in 2^ persona che al tempo stesso ti tira dentro e ti tiene a distanza. Senza possibilità di rimandare oltre, lo seguirai sul posto di lavoro, dove arriverete in ritardo, e avrai anche tu paura delle reazioni inconsulte della superiore, Claire, che dimostra da sempre una fredda e spietata avversione per te. Lì, siederai alla stessa scrivania del protagonista, ti scontrerai con i quotidiani problemi di un redattore al Reparto Verifica dei Fatti in un giornale di successo («Gli scrittori sono tutti così: più dipendono da te, più ti odiano», p. 30), tra fantomatici equivoci e ironici piccoli grandi drammi. Sentirai scorrere nelle tue vene anche la frustrazione di chi si trova lì e sperava di arrivare alla sezione narrativa, per cui si sente veramente portato.

#Festlet 2015: cronache da Mantova

Piazza Sordello. Foto di Claudia Consoli
Sveglia presto e il naso in su fuori dalla finestra a guardare qualche nuvola nel cielo. "Speriamo oggi non piova", ho pensato, pregustando la familiare sensazione di girare tra le vie assolate del centro di Mantova, in mano la cartina e il programma del Festivaletteratura e nell'altra due libri che so diventeranno tre, e magari quattro. "No, non c'è decisamente spazio per tenere anche l'ombrello". 

Alla fine Mantova mi ha accolta anche stavolta con il sole e da Piazza Sordello, come da tradizione, è iniziata la mia giornata al Festivaletteratura. 

Prima tappa: la Tenda dei libri, proprio al centro della piazza. Da amante della letteratura russa, quando ho letto sul programma "San Pietroburgo in libri" non ho resistito.
Una bibliografia in libera consultazione curata da Gian Piero Piretto e Luca Scarlini apriva uno sguardo sul mondo affascinante della capitale culturale russa, sullo sconfinato repertorio di romanzi, racconti, poesie, saggi e diari che nei secoli l'hanno raccontata.

Un amore senza fine di Scott Spencer: sei pronto ad avere il cuore spezzato?

Un amore senza fine
Scott Spencer
Traduzione di Francesco Franconeri
Sellerio, 2015

pp.581
15  


Are you ready to be heartbroken?
Are you ready to be heartbroken?
Are you ready to bleed?
What would it take
What would it take to wipe that smile off of your face?

Questo il ritornello di una delle canzoni più importanti degli anni’80, soprattutto per il movimento New Romantic che proprio nel 1984, anno dell’uscita di Rattlesnakes, l’album di esordio (nel quale è contenuta per l’appunto Are you ready to be heartbroken?) dei Lloyd Cole and the Commotions, viveva la sua "età d'oro". E non ci sono parole e musica più adatte per iniziare a parlare di un romanzo che ha letteralmente segnato, in profondità, generazioni di persone, vecchi o giovani non importa, che hanno patito per amore. Persone insomma che hanno subito “gli strali dell’infausta sorte di Eros” come al tempo dei Greci Antichi, come quando Partenio di Nicea componeva i suoi Erotikà Pathémata, Le pene d’amore: il libro in questione è Un amore senza fine di Scott Spencer, edito da Sellerio nella brillante traduzione di Francesco Franconeri. Amore, follia e sangue: nulla di più e niente di meno, questi gli ingredienti di un endless love.

#ScrittoriInAscolto - Microstorie che sfamano gli innamorati dell'amore: Freitas a Milano

Pedro alla Libreria Lirus (Milano) Foto di ©GMGhioni
Cos'è l'amore? Da secoli e secoli fa scrivere storie, regala emozioni e casi editoriali. Ecco uno dei più recenti: Pedro Chagas Freitas, trentacinquenne portoghese, 200.000 copie vendute con Prometto di sbagliare, uscito da poco in Italia per Garzanti, con una pagina fan vivace e in continua crescita. Sono da sempre attirata dai fenomeni editoriali, perché credo che non si limitino a esprimere una strategia di marketing vincente, ma in primis un bisogno dei lettori che semmai il marketing è riuscito a intercettare e qualche volta a precorrere. Dunque, apro Prometto di sbagliare con questo spirito: quello di chi cerca di capire perché è considerato "il libro più sottolineato di tutti i tempi". 
La prima storia narra un ricongiungimento dopo dieci anni di separazione. C'è l'attesa, il timore di trovare riflesso nell'altro il tempo passato, ma anche tutta l'aspettativa per quel che potrebbe sempre accadere. Da subito, uno dei tratti fondamentali del libro: mettere in crisi le certezze e i paradossi. Amare comprende ogni sbaglio, e anzi vive di umani sovvertimenti della ragione

È la vita, Joy: l'East End di Londra, gli anni Sessanta e i sogni di una ragazza

Foto di Debora Lambruschini
È la vita, Joy
di Nell Dunn
Sonzogno, settembre 2015

Traduzione di Marinella Magrì

pp. 128
€ 15,00


Tanto vale fare progetti, anche se non si realizzano mai… i sogni sono tutto quello che hai, la vita si riduce a questo, in realtà, una lunga sfilza di desideri che non si avverano mai, vero Jonny?
A ventidue anni, un bambino, un delinquente per marito, Joy di sogni ne ha tantissimi nonostante i guai della vita, troppo giovane e ottimista per abbandonarsi allo sconforto. Dopotutto sono gli anni Sessanta, Londra è in fermento ed è facile, per un momento, fingere che quella vita nell’East End sia solo qualcosa di transitorio, una parentesi che presto sicuramente si lascerà alle spalle per trovare la felicità e il successo altrove, in un posto più elegante, sano. Ha fiducia in fondo che la vera vita sia altrove e che la felicità sia possibile anche per lei, ragazza sveglia e intraprendente che finge di non vedere la miseria del quotidiano per non cedere allo sconforto di un’esistenza già scritta.
Per un po’ la felicità è stata con Tom e la famiglia sgangherata che insieme avevano costruito: il primo amore, la scoperta del sesso, un bambino in arrivo e il matrimonio, una casa di cui prendersi cura e i soldi che un giorno ci sono e quello dopo forse no. Ma l’instabilità è parte del fascino dell’essersi innamorata di un rapinatore, Joy ne è consapevole, in un’alternanza di spese frenetiche e giorni in bolletta, gelosia e scatti di rabbia. Quando Tom viene arrestato, la ragazza resta sola con il figlio piccolo perdendo anche quel poco di stabilità che sperava di aver conquistato; eppure – almeno all’apparenza - non si abbandona allo sconforto, nemmeno quando è costretta a tornare a vivere dalla strampalata zia Emm e i soldi troppo velocemente stanno per finire. Tocca a Dave, un socio di Tom, aiutare la dolce Joy e il suo adorabile bambino; basta un attimo per innamorarsi follemente e mettere insieme una vita all’apparenza normale. Una piccola famigliola felice, un bel bambino da coccolare, una giovane coppia che scopre la passione, i soldi necessari per piccoli lussi e gite fuori porta.

#CritiCINEMA - La bella gente di Ivano De Matteo. Un crudele gioco dell'oca

Susanna (Monica Guerritore) e Alfredo (Antonio Catania) sono una classica coppia borghese. Di mezza età, benestanti e colti, attivisti di sinistra durante l'università e ora radical chic quanto basta, un figlio che studia in Inghilterra.
Si preparano a trascorrere l'estate nella residenza privata in campagna, insieme a una coppia di amici, i tipici cafoni arricchiti intrisi di superficialità, lei che snobba la servitù ed è in perenne gara con la bilancia (Iaia Forte), lui che pensa solo ai soldi e alle belle ragazze (Giorgio Gobbi).
Questo cavalcare a briglia sciolta i più beceri cliché salvo ribaltarli con un unhappy end rende La bella gente di Ivano De Matteo (film del 2009 che ha trovato solo ora una -dovuta!- distribuzione in Italia, nelle sale dal 27 agosto) un vero gioiellino d'atmosfera à la Carnage (Roman Polanski, 2011).