CriticaLibera - Francoforte, gli editori e i (non)lettori italiani


Le sconfortanti cifre del contesto librario italiano - come sempre puntualizzate in occasione della importante fiera del libro tedesca - iniziano lentamente a giungere ai padiglioni auricolari di quegli italiani ancora capaci di seguire (capendolo) dall'inizio alla fine almeno un articolo di giornale. Ed ha parlato di quel deprimente bilancio editoriale, fra gli altri, Il Fatto Quotidiano online. Dicendoci che ormai si legge di piú in Portogallo, ovvero siamo i penultimi dell'Unione Europea, prima della Grecia (dove immagino però che si legga di meno solo perché i greci non hanno materialmente i soldi per comprare i libri, non per libera scelta come da noi).
Insomma quel giornale ci ha riportato il solito coro in cui all'unisono – cosa rarissima – i nostri grandi editori si lamentano dell'ignoranza italiana. E l'articolista si dava un'occhiata intorno notando che, mentre nella metropolitana francofortese la gente legge libri, in Italia i passeggeri di Milano stanno tutti come ebeti a rincoglionirsi sugli smartphone. A fine articolo, i lettori del Fatto ne approfittavano per commentare, dicendo che la scuola, lottizzata dagli editoroni, non fa altro che imporre agli studenti nuove edizioni dei ''Promessi sposi'' (un crimine imporne ancora lo studio sui banchi!) e antologie absolete, pesanti e polverose.
Questo il succo dei commenti all'articolo apparso i primi di ottobre 2014 sul Fatto online. Dunque, esaminare le proposte editoriali di lancio degli editoroni visitando le pagine principali dei loro siti in rete, sarà il fine principale di questo mio pezzo.
Prima, però, urge una breve riflessione preliminare: se veramente gli studenti italiani capissero a fondo il Manzoni - ergo veramente i professori sapessero farlo amare e leggere spiegandolo come si deve a scuola, - almeno i ragazzi in età 14-25 saprebbero mettere la punteggiatura ai posti giusti e le iniziali maiuscole, quando scrivono qualcosa sul web o altrove. E almeno i milioni di apiranti scrittori italiani sarebbero in grado di capire se loro stessi hanno qualcosa di profondo da esprimere, nonché sarebbero capaci di dominare le piú elementari tecniche narrative e regole grammaticali, prima di mettersi a scrivere e, poi, di proporre agli editori i propri romanzi manoscritti.
Da parte editoriale, però, qual è la richiesta? Cosa sembrano cercare i grandi editori italiani?
Vedendo le pagine principali dei siti di quattro grandi case editrici, non dubito che lo capiremo a sufficienza. La ricerca è stata effettuata nei giorni 8 e 9 ottobre 2014. Fra parentesi, la tipologia del libro e la nazionalità dell'Autore.

La Einaudi, fra gli otto libri posti in maggior evidenza, presenta un’opera ciascuno di: Corrado Augias (ITA - narrativa), Thomas Pynchon (USA - narrativa), Luciano Gallino (ITA - saggio), Gianrico Carofiglio (ITA - narrativa gialla), Francesco Piccolo (ITA - attualità), Massimo Recalcati (ITA - attualità, pedagogia, didattica), Maurizio de Giovanni (ITA - narrativa gialla), Nicola Lagioia (ITA - narrativa noir).
Dunque dedurne quanto segue resta facile: su questi otto libri, tre opere narrative sono storie gialle o simili, tre sono saggi sull’attualità e soltanto due sono romanzi non di genere, quelli dello statunitense Pynchon e dell’italiano Augias. Se Pynchon è autore strettamente letterario e letterato (oltre che morto da decenni), Augias, invece, proviene dal mondo della televisione, anche se di alto profilo culturale. In sintesi: su otto titoli-lancio, Einaudi presenta solo un titolo di letteratura fuori dalle mode del momento e dalla facilitazione promozionale rappresentata dalla notorietà in televisione. Un titolo su otto, e neanche italiano, ma statunitense, mica mozambicano o coreano. Il colosso torinese, dunque, rischia poco, anzi niente e punta sul sicuro a tutto tondo, poiché anche Pynchon è nome arcinoto, ovvero consolidato nelle vendite, in Italia. Un lato positivo: sette firme italiane ed una traduzione dall’inglese americano. Questo va riconosciuto.

E veniamo a Mondadori. Sei i libri. Di: Sophie Kinsella (GB – narrativa femminile), Paola Turci (ITA – autobiografia), Pearl S. Buck (USA – premio Nobel - narrativa), Nicholas Kulish e Souad Mekhennet (USA e GER - storia contemporanea), Adriano Panatta e Paolo Villaggio (ITA – attualità sportiva e dello spettacolo/autobiografia), Francesca Caferri (ITA – saggio giornalistico).
Sarà qui interessante notare la provenienza degli Autori: la inglese Kinsella scrive ‘’chicklit’’, ossia, traducendo, letteratura da pollastrelle vendutissima ovunque, Turci è una affermata cantautrice, la Buck è un Premio Nobel morta quarant’anni fa ma ha gli americani alle spalle (garanzia non da poco), Kulish e Mekhennet sono famosi giornalisti internazionali che nel loro libro scrivono della ricerca di un medico nazista scampato agli arresti del Dopoguerra – argomento sempre attuale e di sicuro successo, – l’asso del tennismo Panatta e Fantozzi sono quel che sono, o meglio quel che erano prima del pensionamento, infine la giornalista di Repubblica Caferri (solita sboba: mix di politica e società). Trovate forse un solo letterato di professione, eccetto la lungideceduta Buck? Per carità: niente cultura, siamo italiani, mica la capiamo. Abbiamo gli smartphone, noi, sempre in mano.

Rizzoli. Il massimo dello spasso. Tre ‘’novità da non perdere’’: Dazieri/Bonini/de Cataldo/Fois/Morchio/Pandiani (ITA – sei racconti noir), James Lecesne (USA – narrativa per ragazzi), Benedetta Parodi (ITA – ricettario).
Allora: il primo libro è una serie di racconti neri all’italiana intitolata ‘’I semi del male’’ con sottotitolo ‘’I cattivi lo fanno, i buoni lo sognano’’, insomma la consueta deleteria apologia del male, noiosa e malata reiterazione dell’antibuonismo ed anticonformismo d’accatto purtroppo affermatosi nel Sessantotto nostrano e ancora imperversante fra i maledetti con la pancia piena (che se andassero a lavorare in fabbrica il male se lo sentirebbero nelle ossa ogni mattina, altro che sogni); il libro per ragazzi (perché parla di cose universalmente destinate ai ragazzi: gay, bullismo, società preadolescenziale americana, identica si sa all’italiana) di Lecesne è la traduzione dall’inglese americano di un libro basato sulla sceneggiatura (di un cortometraggio) realizzata negli USA ispirandosi ad un one-man-show televisivo di successo dello stesso Lecesne (notato i passaggi?); il ricettario della ex bonazza serve a fare le frittate: pancia mia fatti capanna. Be’ questo è il regno di galateo e alimentazione: direi binomio da corso universitario o quanto meno Pubblicità Progresso. Di vitale importanza per l’Italia, altro che da non perdere.

A casa Garzanti trovo quattro titoli. Uno: riecco il solito Bruno Morchio (ITA) col suo gialletto genovese, poi, soddisfatta la sete di globuli e bandiere invariabilmente rossi, c’è una biografia di Truman Capote firmata da tale George Plimpton (statunitense scomparso nel 2003, Wikipedia lo definisce cosí: ‘’was an American journalist, writer, literary editor, actor, and occasional amateur sportsman’’), Meg Wolitzer (ancora USA – narrativa. Stranamente questa sembrerebbe qualcosa di simile ad una letterata, almeno a giudicare dalla biografia che insiste sui – mefitici penso – corsi di letteratura creativa da lei tenuti e seguiti) e infine Cosimo Calamini (ITA – narrativa).
Il Calamini è uno sceneggiatore cinematografico e documentarista toscano che qui pubblica il suo terzo romanzo. Che dire? Uno sportsman, un giallista, una creativa in odor di letteratura e uno sceneggiatore.

Concludiamo questo selezionato panorama italiano e l’articolo con Bompiani. Tre i libri sui quali punta: Andrea De Carlo (ITA – narrativa), David Cronenberg (canadese – narrativa), Katherine Pancol (FRA – narrativa). Esamíno su tutto ciò: De Carlo scrive cose mediocri ab origine, prima ancora del big bang ed inoltre, aggravante non di poco conto, partecipa allegramente a cose orride tipo programmi per aspiranti scrittori di Rai Tre; Cronenberg è il regista… ovviamente sarà un genio anche nella letteratura, presumiamo, vedendo che questo è il suo esordio di narratore e sapendo che si laureò a Toronto in letteratura inglese nel 1967, come qualche altra buona migliaia di suoi connazionali forse. E la Pancol? Eccola, presa da ‘’Muchachas 1’’ (sempre Bompiani):
“Stella sente la sveglia, apre un occhio. Le sette e dieci, come indica il braccio di Topolino. Allunga una gamba fuori dal piumino. Appoggia un piede per terra. Freddo, molto freddo. Il piede ancora tiepido lascia una traccia che si cancella velocemente. Scorge le sue calze sul termosifone. La sua maglietta bianca. I suoi mutandoni da agricoltore americano. La salopette arancione XXL, il maglione pesante blu marine. Preparati il giorno prima. Pronti per essere indossati. È il momento che più teme in tutta la giornata”. 

Bello temere insieme a lei: io che la Pancol venda troppo anche in Italia e lei, l'autrice non la muchacha, non so, qualcosa temerà di sicuro, forse di leggere Omero. Roba difficile. Complicata. Scolastica. Ah che fastidio sarebbe, con tutti 'sti insinuanti Ulissi ad occhieggiare nei mutandoni da zappaterra statunitense dei suoi originalissimi personaggi.

Ecco. Avete capito cosa valorizzano, lanciano, promuovono, ossia anche cercano i grandi editori italiani? Che i letterati, fra gli autori visti finora, siano rari come monache di clausura mi sembra cosa condivisibile. Che i ''Promessi sposi'' sfigurino davanti a simile accozzaglia di varia umanità anche. Spero.





Sergio Sozi