Alla
ricerca della Piombino perduta
Gordiano Lupi
Edizioni Il Foglio 2012
pp 190
15,00
Solo un lettore nato negli anni
sessanta può accogliere questo libro di Gordiano Lupi, “Alla ricerca della Piombino perduta”, con una commozione che ti prende
allo stomaco e ti annoda la gola.
L’autore dedica la prima parte
al ricordo, alla recherche, al
ritorno sui propri passi. Siamo catapultati all’indietro, nei primi anni
sessanta, in una Piombino appena uscita dalle miserie della guerra e appena sfiorata da un boom di cui gli abitanti nemmeno si
accorgono. Una Piombino che sembra balzar fuori da un film di Virzì, divisa a
metà fra figli di papà e figli di metalmeccanici e ferrovieri, fra gelaterie e
bagni dove si va solo la domenica e piccoli bar di tutti i giorni su spiagge olezzanti
di frittura stantia.
L’amore per queste memorie è assoluto,
viscerale, incondizionato. Lupi accetta tutto del passato, il bello e il mostruoso,
il mare lucente ma anche le spiagge inquinate, le sterpaglie dei campi di
calcio improvvisati, i muri fatiscenti, gli odori penetranti, l’acciaieria, oggi
gigantesco relitto d’archeologia industriale, sempre incombente, sempre
presente nei pensieri e nelle parole degli abitanti.
“Erano tempi romantici”, ci ripete. Ed è in questo romanticismo che
si stempera il neorealismo, trasformandosi da ideologia in sentimento. Tutto era
bello, tutto aveva più grandezza, più spessore, più sapore, tutto è imbellito, enfatizzato
dal ricordo. Persino la decadenza, il degrado, la fatiscenza erano languidi e
malinconici.