La leggerezza del passero e della piuma: "L'uso della vita. 1968" di Romano Luperini


L'uso della vita. 1968
di Romano Luperini
Transeuropa, 2013

Alessandro Manzoni definiva il romanzo storico come «un componimento, nel quale deve entrare e la storia e la favola, senza che si possa né stabilire, né indicare in qual proporzione, in quali relazioni ci devono entrare».
Stando a questa definizione L'uso della vita. 1968 è un romanzo storico. La storia è quella dell'Italia del 1968 vista dal punto di vista di un giovane supplente di Lettere, Marcello, che si è da poco laureato all'Università di Pisa. L'azione si svolge in gran parte proprio nella città toscana, centro nevralgico -nella finzione narrativa- di un movimento di lotta e rivendicazione che dalla Francia investì l'Europa intera. La favola, per contro, è l'iniziazione alla vita del protagonista, vero e proprio eroe medio luckacsiano, che nel 1968 vive una serie di avvenimenti che segnano il suo passaggio dalla giovinezza all'età adulta. Un passaggio che è doloroso e passa attraverso la prima esperienza sessuale, il carcere (con le sue regole interne come se fosse una società nella società), l'entusiasmo per la lotta collettiva e l'amara consapevolezza che le proprie azioni individuali, o di gruppo, non possono alterare gli equilibri del mondo.

Marcello è un individuo come noi, un eroe prosaico, che si muove in un contesto storico sul quale ha un potere limitato. Al suo fianco due donne, Sandra e Ilaria, di cui è ugualmente innamorato e che avranno un ruolo determinante nella sua formazione alla vita. La prima gli farà conoscere l'amarezza del rifiuto, l'impossibilità di un amore dettata anche da un'ideologia che confonde vita pubblica e privata, dando un significato politico ai sentimenti. La seconda donna, Ilaria, inizierà Marcello al sesso in un turbinio di sensi e passione che, però, deve essere controllato altrimenti la sofferenza sarà ben più forte della leggerezza che l'atto sessuale implica.
Gli scontri con il padre, partigiano e iscritto al PCI, e la sua prematura dipartita metteranno l'eroe di fronte all'inevitabilità della morte, al lutto che toglie e lascia un vuoto. Per colmarlo Marcello terminerà l'ultima relazione che il padre stava scrivendo per l'ANPI trascorrendo nel suo studio un'intera notte e riavvicinandosi idealmente a quella figura paterna che, nonostante tutto, è sempre stata punto di riferimento e certezza; ora che non c'è più Marcello deve camminare da solo. Lo farà lottando tra le illusioni e le speranze dei suoi vent'anni e una nuova coscienza che sta emergendo. Questa consapevolezza lo fa dubitare dell'uso della violenza, della necessità della lotta armata. Inizia a prendere le distanze da alcuni suoi compagni e, complice la gravidanza di Ilaria, non sarà presente la notte di Capodanno alla Bussola di Viareggio quando una manifestazione anti-capitalista degenera in guerriglia urbana. La narrazione termina il primo gennaio 1969 e con essa sembra finire un'epoca. Il 1969 è l'anno della strage di Piazza Fontana a Milano e per il nostro Paese inizia una fase di scontri e tensione le cui conseguenze non sono ancora del tutto risolte.
Quel primo giorno dell'anno Marcello è a casa della madre, consapevole del fatto che dopo quel 1968 non sarà più lo stesso. La leggerezza della sua gioventù si era definitivamente persa con gli scontri della notte precedente e il ferimento di un suo studente del liceo -Soriano- costretto alla sedia a rotelle:
Marcello pensava alla leggerezza di Soriano, non era incerta né svagata, ma a suo modo decisa, orientata a una meta. L'aveva ritrovata in Ilaria, nei gesti e nei movimenti dei compagni, nelle facoltà occupate e davanti alle fabbriche, e persino in sé stesso. Ecco, l'uso formale della vita non era altro che questo. (138)
Il romanzo si chiude su Fortini, maestro e collega di Luperini a Siena, nell'ormai deceduta Facoltà di Lettere. Fortini che con D'Alema, Sofri e Della Mea è tra i personaggi storici che hanno partecipato al "maggio pisano" e sono entrati nel romanzo dialogando e interagendo con la finzione narrativa.
L'uso della vita. 1968 è tra i presentati al prossimo Premio Strega (vedremo se tra i 12 candidati). Non posso fare previsioni perché spesso le logiche dei premi letterari sono completamente diverse dalle mie nel valutare un romanzo. Quello di Luperini ha dalla sua scorrevolezza e capacità d'attrazione. Scritto con sapiente mestiere (quello del critico); strutturato in maniera ineccepibile e con personaggi perfettamente costruiti, risente forse del fatto che l'autore conosce troppo a fondo i meccanismi della finzione letteraria. Dal punto di vista formale L'uso della vita è perfetto e per questo si sente la mancanza dell'elemento creativo che fa fare a un romanzo il salto di qualità. Manca il tocco dell'artista. Eppure si fa leggere tutto d'un fiato perché la storia di Marcello è la nostra Storia, quella di tutti noi, dei nostri padri, zii e fratelli. È la Storia di un Paese che, per molti aspetti, non è ancora stata scritta se non dalla Letteratura che, in questo modo, assolve il suo compito più importante.