#IlSalotto: intervista a Giovanni Capecchi

Dopo la recensione al suo recente studio dedicato a Giovanni Pascoli, abbiamo l'onore di intervistare Giovanni Capecchi, classe 1971, docente di Letteratura italiana presso l'Università per stranieri di Perugia. I suoi studi sull'opera pascoliana hanno portato alla pubblicazione, tra gli altri, di Voci dal “nido” infranto, Gli scritti danteschi di Giovanni Pascoli, Prose disperse. Numerosi sono poi i contributi sul Risorgimento nella letteratura meridionale, la letteratura nella grande guerra e il romanzo del Novecento. 

Cosa è per lei la Letteratura? Quando il giovane Capecchi ha scelto la letteratura? 
La letteratura, per me, rappresenta molte cose, ma soprattutto è uno strumento per provare a capire la realtà, del passato e del presente, e per condividere con altri (gli scrittori, appunto, i poeti) i dubbi, le inquietudini e gli interrogativi che accompagnano anche la nostra esistenza. È quindi, in fondo, un modo per sentirsi meno soli. Ho deciso di studiare Lettere all’Università quando sono arrivato all’ultimo anno di Liceo classico, grazie soprattutto al mio professore di italiano, Vasco Gaiffi: inizialmente pensavo di iscrivermi a Medicina; poi, però, ho cambiato idea.

Pascoli, perché? Da cosa muove l'elezione dell'autore di San Mauro ad autore di un una vita, su cui ha concentrato gran parte dei suoi studi? 
Ho incontrato Pascoli per la prima volta al Liceo e mi ha subito colpito per la sua modernità, per la capacità di chiudere un secolo (l’Ottocento) e di inaugurare la contemporaneità. Poi le tappe del mio cammino di studi sono state in qualche modo segnate dall’autore dei Canti di Castelvecchio: alla maturità uscì un tema su Pascoli, con una citazione da Digitale purpurea; al primo esame di Letteratura italiana, all’Università di Firenze, il mio professore, Marino Biondi, che oggi è un carissimo amico, mi chiese di parlargli di Pascoli. Ho dedicato a Pascoli la tesi di laurea, che poi, rivista e in parte riscritta, è divenuta il libro Gli scritti danteschi di Giovanni Pascoli.

Sappiamo che lei ha prediletto lavorare sul Pascoli critico, il Pascoli prosatore: cosa le ha lasciato la redazione dell'antologia poetica per Le Monnier? E come integrare il percorso poetico e l'attività prosastica pascoliane?
Sì, è vero. Ho iniziato, come ho detto, occupandomi del dantismo pascoliano. Poi, andando più a fondo nello studio di Pascoli, mi sono reso conto che il campo delle prose presentava ancora dei settori poco esplorati, sui quali era possibile dare un contributo: non era stato mai realizzato, per esempio, il volume delle Prose disperse di Pascoli, al quale Augusto Vicinelli aveva lavorato ma che poi non era riuscito a portare a termine prima della morte. Così mi sono messo a lavorare a questo progetto e nel 2004 ho pubblicato questa raccolta di scritti apparsi su giornali, riviste e volumi sparsi. Quando Lucia Rodler, che dirige la collana “Per leggere i classici italiani” edita da Le Monnier, mi ha contattato per propormi di realizzare un’antologia pascoliana, ho subito accettato, perché mi sembrava un modo concreto per rileggermi le raccolte poetiche di Pascoli e per riattraversarlo, tanto più che avevo intenzione di tirare fuori dalla mia libreria i volumi pascoliani per raccogliere, anche in vista del centenario della morte, una serie di scritti da me dedicati al poeta di Myricae nel corso degli anni. Il 2011, così, è stato per me l’anno dell’antologia per Le Monnier e anche quello del volume Voci dal nido infranto. Studi e documenti pascoliani che è stato pubblicato da Le Lettere di Firenze. Occuparmi dell’antologia ha rappresentato un’esperienza molto bella: anche se è difficile scegliere i testi (e quindi escluderne molti), proprio il fatto di dover scegliere diventa interessante e stimolante. Del resto Pascoli è sempre lo stesso autore, sia che scriva versi, sia che scriva prose: perciò non mi è sembrato di entrare in un terreno sconosciuto, antologizzando il poeta dopo aver studiato per tanto tempo il prosatore.

Cosa pensa vi sia all'origine della sottovalutazione di Pascoli? Nel mondo accademico, ma ancor più nell'opinione comune, si può davvero parlare di un'autentica e definitiva riscoperta pascoliana? 
Non è facile dirlo. Senz’altro ha influito, sulla sfortuna di Pascoli, il modo in cui questo poeta è stato insegnato nella scuola italiana per decenni, complice anche il giudizio, fortemente limitativo, di Benedetto Croce, che non riusciva ad apprezzare quelli che definiva gli “idilli rigati di pianto”. Pascoli è uno di quegli autori che divide i lettori e gli studiosi: c’è chi lo ama e chi non lo sopporta. Io appartengo alla schiera di coloro che tutte le volte che leggono un testo di Pascoli provano una emozione nuova. Perché Pascoli è anche questo: non si finisce mai di capirlo, per molti aspetti resta inafferrabile, propone sempre nuove ipotesi di lettura, quando si pensa di averlo afferrato e compreso, ecco che torna a sfuggire.

Se la riedizione del suo volume antologico ospitasse una pagina in più, quale testo pascoliano sceglierebbe di aggiungere tra quelli prima scartati?
Forse aggiungerei un “Conviviale”: anzi, quando siamo arrivati a stampare il libro, ho dovuto togliere Solon, che apre la raccolta del 1904, e che inserirei nuovamente. Ma complessivamente penso che i testi antologizzati rappresentino bene non voglio dire Pascoli, ma il ‘mio’ Pascoli.

C'è una poesia di Pascoli particolarmente rappresentativa, che lei possa in qualche modo eleggere a manifesto del suo percorso di ricerca?
Sono legato ad un testo come Il croco, raccolto nei Canti di Castelvecchio. Ma rileggendo tutto Pascoli, anche se mi dispiace citare una poesia e tralasciarne molte che pure sono importanti, mi verrebbe da sottolineare la rilevanza del Ritorno a San Mauro e la straordinaria modernità di un conviviale come L’ultimo viaggio.

Qual è oggi il futuro degli studi su Pascoli?
Il centenario che si è da poco concluso ha offerto nuove occasioni di studio e di confronto, i cui risultati si vedranno nei prossimi mesi, con l’uscita degli atti dei convegni che si sono svolti a Verona e a Bologna e con l’approdo alla stampa di altre iniziative impostate nel 2012 ma che si concretizzeranno nel 2013. Dopo l’attenzione che è stata riservata, negli ultimi anni (e con risultati di notevole importanza) agli anni del Pascoli studente universitario, credo che ci siano la necessità di studiare più a fondo l’ultimo Pascoli, quello che spesso allontana per la sua retorica, ma che comunque è molto più complesso di quanto si possa pensare, con il volto del professore che celebra le glorie italiane da un lato, e il volto di chi non crede nella storia e considera la vanità di tutte le cose dall’altro. Molto da fare, inoltre, resta sul piano dell’edizione critica dei testi, anche se l’edizione nazionale sta proseguendo e proprio nel 2012 è uscito il volume dei Poemetti

La letteratura, all'interno di una società come la nostra, in cui il filtro comunicativo per antonomasia è rappresentato dal linguaggio economico, ha ancora un ruolo e se sì quale?
È difficile rispondere a questa domanda. Se ci guardiamo intorno, verrebbe da dire che la letteratura non ha più alcun ruolo nella nostra società. Ma non penso che sia così. O forse sarebbe meglio dire che immagino che un miglioramento della nostra società possa passare anche da un maggiore spazio riservato alla letteratura. In fondo, a ben guardare, l’Italia di oggi la raccontano più gli scrittori che i politici o gli economisti. Penso ad autori della generazione più giovane, che hanno fatto riflettere su temi come l’eutanasia (la Murgia di Accabadora), sul lavoro che non c’è (da Andrea Bajani a Simona Baldanzi, comprendendo anche autori più avanti con gli anni, come l’Ermanno Rea di La dismissione), sulla guerra spesso dimenticata ma che ci vede impegnati in Afghanistan (la Mazzucco e Paolo Giordano), sul disorientamento che contraddistingue il nostro procedere (Giorgio Vasta di Spaesamento o Valeria Parrella di Lettera di dimissioni). E non posso dimenticare la grande lezione di Antonio Tabucchi, scomparso poco meno di un anno fa, sul ruolo civile della letteratura e dello scrittore, con il suo impegno sul piano della storia e della cronaca (contro le dittature, per la libertà e la giustizia) e la sua costante indagine sul viaggio – spesso tra le ombre, alla ricerca di un barlume di luce – dell’uomo.

- intervista a cura di Alice Mora