Pillole d'Autore: Huysmans e i suoi racconti

La vita di Joris-Karl Huysmans risulta profondamente intrecciata ai principali eventi del panorama letterario francese di fine Ottocento, a partire dal 1876, anno di svolta che segna per l'autore la rottura con gli studi giuridici, nei quali era precedentemente e senza passione impegnato, e che decreta l'inizio di una produttiva carriera di scrittore.
Gli esordi di Huysmans, noto per essere stato tra i precursori del Decadentismo, sono naturalisti. Dopo l'incontro con Emile Zola entra infatti nel Gruppo dei Cinque insieme a Guy de Maupassant, Gustave Flaubert e Edmond de Goncourt e pubblica il racconto Sac au dos che sarà incluso nella raccolta Les soirées de Médan (1880), poi divenuta manifesto del Naturalismo. Il distacco da questo movimento avviene gradualmente attraverso la stesura di romanzi e racconti, tra cui Alla deriva (1882), fino ad arrivare al celebre Controcorrente (1889), fonte di ispirazione artistica per generazioni di intellettuali.
Meno nota è forse la sua grande passione per la storia dell'arte. Huysmans compose alcune biografie di artisti a lui contemporanei, come Monet e Degas, poi raccolte in un volume dal titolo Certains e un importante saggio, Dall'impressionismo al Simbolismo, ritenuto dalla critica successiva tra i più autorevoli in materia.
Gli habituées del caffé è una piccola antologia composta da tre racconti che, con occhio acuto e pungente, ci dà una chiara rappresentazione della società parigina del periodo, ritraendo in particolare la variegata galleria di personaggi o, per meglio dire, dei tipi che affollano luoghi di passaggio e incontro come le stazioni o i caffé.

Edizione di riferimento: Joris-Karl Huysmans, Gli habituées del caffé, Ibis 1994, 60pp


Da Gli habituées del caffé:

Certi beveraggi presentano questa particolarità, che perdono il loro sapore, il loro gusto, la loro ragione d'essere, quando vengono bevuti in un posto diverso da un caffé. Da un amico, a casa propria, diventano falsi, come grossolani, quasi sconvenienti. Così gli aperitivi. Chiunque - a meno che non si tratti di un alcolizzato - si rende conto che un assenzio, preparato in sala da pranzo, non soddisfa il palato, è fuori luogo e insinificante.

Ma sono ossessionato dalla mania del luogo pubblico: è là che che comincia il mistero del caffè. Nell'immensa popolazione di Parigi, asservita, dannata da questa abitudine, esistono parecchie categorie.

Chi non li conosce, questi habituées? Con sembianze da caffé diverse, sono più o meno ricchi, ma con una simile povertà di cervello, gli stessi magazzinieri scappati per un'ora o due dai loro negozi, gli stessi negozianti che hanno giurato fedeltà alle osterie vicine dei Boulevards, gli stessi mediatori che si procurano affari simili dietro la Borsa, gli stessi giornalisti alla ricerca di articoli, gli stessi artisti poveri che spiano l'occasione di un credito, gli stessi impiegati gonfi di lamenti; tutti si cercano nel fumo strizzando gli occhi ed il cameriere che chiamano per nome scappa.

Il più curioso, il più tipico di questi, si trova in Rue des Saint-Péres, all'angolo della rue de l'Université, non lontano dal lungo-senna; edificio secolare che ospita a prezzi salati un ristorante con cucina raffinata in una sala a pannelli bianchi e oro, tapezzata di stoffa di damasco verde, stile Impero, il caffé Caron si allunga in una sala un po' scura, propizia agli occhi stanchi e, come la piccola stanza in cui si mangia, bordata da filetti dorati su fondo bianco.

In una delle sue battute riportate da Bergerat, Théophile Gautier afferma che il facino del caffé è triplo. - Innanzi tutto, diceva, soddisfa un bisogno di vita pubblica e si sostituisce alla vita familiare di cui si è stanchi. - Poi il caffé è il tempio del dio Tabacco, ed è là, non in un altro posto, che si fuma bene. - Infine, aggiungeva, la sua seduzione non è altro che il gusto dell'abbrutimento attraverso il bere.

Da Il buffet delle stazioni:

La felicità degli uni è generalmente fatta della vista dell'infelicità degli altri; quello che esprimo non è evidentemente un sentimento di cui vantarsi, ma, ahimè, è anche troppo vero ed è a questo sentimento poco lodevole che io credevo quando, senza avere un treno da prendere, andavo a pranzare in un buffet della stazione.

Ed io godevo deliziosamente della mia tranquillità; non dovevo intraprendere alcun viaggio; i bagagli si accumulavano a terra, attorno a me, valige a soffietto, bauli di pelle rossiccia ornati da serrature e piastre d'acciaio; altri, più modesti, in legno nero con delle strisce di pelle di cinghiale e delle linguette di cuoio rosa; rotoli di coperte da viaggio, mucchi di ombrelli e bastoni da passeggio; la vista di questi bagagli ingombranti aumentava la mia pace interiore, sudavo per lo sforzo dei miei vicini e questo mi sembrava un bene, tutt'intorno a me vedevo solo uomini preoccupati e donne agitate che li assillavano di osservazioni e che brontolavano con dei bambini che erano i soli a divertirsi di quel viavai e di quel rumore.

Da Il vagone letto:

Otto di sera. Sulla triste banchina della Gare du Nord, la folla dei passegeri si affretta. A metà del treno già invaso da famiglie che lottano, a braccia tese, contro le reticelle delle carrozze e delle valige, il vagone letto si impone con la sua interminabile cassa di lamiera nera.

I campanelli continuano a squillare nella corsa furibonda del treno. Il guardiano corre, fa la spola, apre le stalle che lasciano fuoriuscire il bestiame ricco. Per qualche Francese dall'aspetto insignificante, per qualche Tedesco mite e peloso, quante fisionomie malfamate e ostili! Abbonda la gentaglia dell'America del Sud, il canagliume dell'Italia e della Grecia, gli avventurieri dalle guance brune, cosparse di macchie scure, gli imbroglioni dagli occhi neri e brillanti, dai baffi arricciati, dalle capigliature a trucioli impomatati color ebano. Il vagone letto è diventata una pensione in cui si agita il personale di una casa da gioco.