RileggiamoConVoi - marzo 2012


Dopo la prima e la seconda puntata della nostra nuova rubrica #RileggiamoConVoi, per questo terzo appuntamento la Redazione torna a frugare tra i suoi scaffali per riproporvi letture speciali, dal mondo dei grandi e da quello degli emergenti. Buona scoperta!



Perché: affinché non si dimentichi l'importanza di guardare la realtà da diverse angolazioni e di scomporre la nostra prospettiva in tante prospettive possibili.
A chi: a tutti quelli che amano viaggiare attraverso un libro e che amerebbero la scrittura visionaria di questo Calvino.
Perché: leggere questo testo di Gadda, come altri, comporta essere "risucchiati in un vortice irrefrenabile, dove tutto assume una sostanza materica" (cit. dalla recensione). Il piacere del giallo è condito dall'unicità della lingua di Gadda, il pastiche che, da solo, fa l'opera intera.
A chi: coloro che vogliono appassionarsi ad una narrativa non comune lasciandosi coinvolgere dal genio di Gadda.
Perché: è un romanzo breve e intenso, un tuffo nell'adolescenza con tutti i suoi problemi. Il distacco dall'infanzia, la scoperta dell'eros, l'impazienza di crescere e la paura di farlo. Moravia condesa il tutto con la sua solita maestria.
A chi: agli amanti di Moravia senza alcun dubbio, ma anche a chi ha voglia di ricordare la propria adolescenza, a chi preso dalla sua attuale età rischia di dimenticarsi le esperienze che l'hanno fatto crescere.
Perché: per immergersi nella psicologia femminile di una donna che abbandona tutto, la famiglia, le ambizioni, la patria per un lavoro così delicato
A chi: a chi desidera un libro scritto molto bene, coinvolgente e anticonformista non in modo programmatico ma proprio nella sua essenza. 
Perché: mai come oggi i ruggenti anni '20 sono stati tanto attuali! e per il secondo consiglio... Becky Sharp, egoista, cinica e arrivista è l'eroina migliore di sempre!
Perché: è un racconto fresco e disincantato sul mondo rumeno e sui regimi comunisti.
A chi: a chi crede che la storia, quella vera e lontana dai cartelloni in maiuscolo, è raccontata più di ogni altra cosa nelle vite comuni, fatte di oggetti, ricordi e parabole di sopravvivenza.

CriticaLibera - L’anima, la luna, la fantasia: canti per la vita silente



1. Parlare di poeti arabi è come narrare una fiaba. Le storie “aggiunte” nel tempo alle loro vite, tramandate inizialmente in forma orale, poi “fissate” su testi appositamente dedicati ad essi, non permettono affatto di produrre ciò che potrebbe definirsi una biografia. Questo è accaduto perché tali poeti sono stati “trattati”, dalla gente, con un rispetto considerevole; ed è ovvio che, quando c’è di mezzo dell’affetto puro, si costruiscano storie gonfiate. Tuttavia, ciò non è da ritenersi un ostacolo, anzi: se di poesia si vuole parlare, è bene che la ragione lasci spazio (almeno per qualche istante) all’astrazione, e che essa, a sua volta, si abbandoni all’inverosimile. Non saprei ritenere se sia sostenuto da altri quanto affermo, ma fruire della poesia utilizzandola come distrazione dalla vita[1], non è affatto un piacere “piccolo”. Dai poeti arabi di cui qui è scritto qualcosa, la mia idea è concretizzata tra i loro versi. 
1.1. Filosofo, matematico, astronomo e astrologo. In queste scienze ’Omar Khayyâm si distinse dagli uomini di cultura del suo tempo. Nacque nella città di Nîshâbûr, nel Khorâsân, una regione nel nord-est dell’Iran. Probabilmente, ereditò dal padre l’appellativo “khayyâm”, parola persiana che significa “fabbricante di tende”. Sulla data di nascita, sugli episodi della sua vita, non ci sono fonti certe. Si pensa che visse nel dodicesimo secolo[2] e che contribuì al ripristino del calendario, fissando con esattezza, insieme ad altri sapienti, la durata dell’anno e del mese concordemente al moto delle stelle.
«Delle caratteristiche della personalità del poeta i suoi biografi riferiscono che[3]»

#TolkienWeek: una fiaba per adulti. 5. Verso la meta fiaba


5. Verso la meta fiaba

Che esista una quest di Tolkien alla ricerca della forma narrativa che meglio si confaccia alle esigenze della sua ispirazione, è comprovato dal fatto che The Lord of the Rings si presenta sempre come metaromanzo, work in progress, fiaba che parla di se stessa. La riflessione metanarrativa si snoda per tutto il libro.
Durante la sosta a Rivendell, Bilbo e Frodo si ritrovano e parlano del libro che Bilbo sta scrivendo e che verrà terminato da Frodo e da Sam. Esso concerne la Guerra dell’Anello e non è altro che “Il libro Rosso dei Confini Occidentali”, quello stesso libro che, “riveduto e corretto da Tolkien”, i lettori si trovano fra le mani sotto forma di “The Lord of the Rings. Il dibattito fra Bilbo e Frodo è una riflessione di Tolkien sulla propria opera. Lo scrittore parla con il suo personaggio:

“What about helping me with my book, and making a start on the next?” suggerisce Bilbo/Tolkien
“have you thought of an ending?”
Yes, several, and all are dark and unpleasant;” said Frodo. “Books ought to have good endings.  How would this do: and they all settled down and lived together happily ever after?”, “it will do well, if it ever comes to that” said Frodo.”

Tolkien sta considerando insieme ai personaggi le possibilità del proprio racconto. Che farne? Una fiaba a lieto fine, di facile lettura come The Hobbit? Uno specchio della vita vera in cui gli happy endings sono pochi?

"Passione di tango", di Alfredo Helman




Passione di Tango
di Alfredo Helman
Edizioni Clandestine, 2012



Non vi è luce tra i corpi. Uniti, rassembrano quelle piante che, intrecciando i loro tronchi, danno origine a un’unica entità. Neppure nei repentini cambi imposti dalla coreografia, essi acconsentono a disgiungersi. La coppia balla in silenzio, i volti pervasi da una gravità che non lascia spazio alcuno al sorriso, né alla parola. È un rito e, come tale, segue regole inviolabili. I due scivolano sul pavimento non con la leggerezza di un valzer o l‘esuberanza di una rumba, ma con la concentrata passione di un atto sessuale.

#TolkienWeek: una fiaba per adulti. 4.Oltre la fiaba

4. Oltre la fiaba



Tolkien recupera il modello fiabesco rendendolo adatto a un pubblico adulto e moderno. Usa la fiaba perché essa è capace di creare “credenza secondaria”, di cattivare l’interesse del lettore, di affascinarlo e di rendere più ricca e fantastica la sua vita. Una volta catturato il lettore dentro la fiaba, fa di essa uno strumento di ricerca etica oltre che di evasione. Con questo non vogliamo sminuire il valore che la fiaba ha di per sé per Tolkien, come fonte di evasione e godimento fantastico, tuttavia egli si accorge anche che la struttura fiabesca può diventare un potente mezzo per rappresentare problemi e valori significativi.
Ciò non vuol dire fare della fiaba un’allegoria. Tolkien ha sempre detestato l’allegoria, che riteneva fredda e sterile.  Le preferiva il concetto di applicabilità (“applicability”) per mezzo del quale alcuni elementi di un’opera narrativa, e non, vengono “applicati” naturalmente dai lettori a situazioni della loro vita - quasi allegorie di essa - senza che questa fosse l’intenzione primaria dell’autore.
“I cordially dislike allegory in all its manifestations.  (…) I much prefer history true or feigned, with its varied applicability to the thought and experience of readers.  I think that many confuse “applicability” with “allegory”; but the one resides in the freedom of the reader, the other in the purposed domination of the author.”
Fra uno scoppiettio di avventure e personaggi fantastici che divertono il lettore e ne monopolizzano l’attenzione, la “fiaba” The Lord of the Rings riesce a svolgere temi profondi e universali che fanno del libro un’opera ricca di significato. In questo modo essa si trasforma, attraverso un’evoluzione interna, in un genere che risulta una sintesi di fiaba e romanzo moderno. 
Tolkien ha parlato per la fiaba di “tre specchi”.
La fiaba ha uno specchio mistico volto al soprannaturale, uno specchio magico rivolto alla natura e uno specchio di “scorno e di pietà” rivolto verso l’uomo.  Questo terzo specchio è la lente che ci permette di scoprire di che pasta siamo veramente fatti. Nella “fiaba” The Lord of the Rings questa componente psicologica è notevolmente sviluppata.
 Sembra essere una caratteristica della letteratura “fantasy” quella di fondere il materiale di natura avventurosa e fantastica con elementi psicologici. La fantasy - pur muovendosi in un mondo di stampo medievaleggiante - è un genere moderno che affonda le sue radici nella cultura novecentesca. Non siamo d’accordo con chi fa risalire la fantasy ad una tradizione di letteratura fantastica comprendente Carrol o Kipling.  La fantasy costituisce un filone a parte della letteratura fantastica.
La fantasy è nata nel mondo anglosassone, soprattutto grazie a Tolkien e agli Inklings, un gruppo di filologi e studiosi di letteratura medievale. Essi hanno cercato di riprodurre quel mondo medievale di natura mitica e fiabesca in cui trovavano diletto.  La loro narrativa è ambientata in eterocosmi soprannaturali, di stampo medievaleggiante.  Essa ha come argomento quests perigliose, intraprese da eroi quotidiani, dal cui successo dipende la salvezza del mondo intero (vedi Le Cronache di Narnia di C.S. Lewis) e il cui fallimento equivarrebbe alla vittoria definitiva del mondo demoniaco.
Grazie al successo di Tolkien, in Inghilterra e negli Stati Uniti la sua opera è stata imitata da numerosi epigoni che hanno dato inizio a una tradizione fantasy.
La fantasy non può che tener conto dell’influenza esercitata in tutti i campi da Jung e da Freud, e degli ultimi sviluppi della narrativa, con l’enorme impulso dato al romanzo psicologico.

La Leggenda di Earthsea

La Leggenda di Earthsea
di Ursula K. Le Guin
Casa Editrice Nord, 2007

pp. 832
€ 19,90



"Solo nel silenzio la parola,
solo nella tenebra la luce,
solo nella morte è vita;
fulgido è il volo del falco
nel cielo deserto."

Ursula K. Le Guin è una rinomata scrittrice di romanzi e racconti di genere fantastico e fantascientifico, nata nel 1929 in California. Figlia di un antropologo e di una scrittrice si appassiona alla scrittura fin da bambina e ben presto raggiunge la notorietà ed il successo venendo pubblicata negli anni ‘60. Vincitrice di cinque premi Hugo e sei premi Nebula, le sue opere esplorano gli argomenti del taoismo, femminismo, pacifismo, anarchia, e tematiche di ordine psicologico e sociale.
Cinque dei suoi romanzi, detti i romanzi di Earthsea, sono stati raccolti in un unico volume, La Leggenda di Earthsea, edito dalla casa editrice Nord. Il volume contiene le seguenti opere:
  • Il Mago di Earthsea (1968)
  • Le Tombe di Atuan (1971)
  • La Spiaggia più Lontana (1972)
  • I Draghi di Earthsea (1990)
  • I Venti di Earthsea (2001)
Nella letteratura di genere fantastico è raro imbattersi in romanzi scritti da donne, ma quando ciò avviene è difficile non rendersi conto quanto essi siano differenti da quelli scritti dagli uomini. Chiunque abbia esperienza con la letteratura fantasy noterà immediatamente nelle opere della Le Guin caratteristiche quasi estranee agli altri romanzi del genere. A parte la scorrevolezza e naturalezza del fluire della sua scrittura, la Le Guin regala ai suoi lettori personaggi così intimamente caratterizzati da convincere a pieno con la loro umanità, soprattutto (ed inevitabilmente) quelli femminili che in altri autori a volte non trovano la profondità a loro dovuta.

#TolkienWeek: Una fiaba per adulti. 3. Elementi non fiabeschi di The Lord of the Rings


Nell'appuntamento precedente di questa #TolkienWeek abbiamo evidenziato i punti di contatto tra The Lord of the Rings e il genere della fiaba tradizionale. Cerchiamo adesso di scoprire se e in che misura The Lord of the Rings si allontani dalla fiaba popolare per giungere a qualcosa di diverso.

La prima differenza è costituita dal concetto fondamentale di subcreazione. Abbiamo confrontato The Lord of the Rings con la fiaba popolare basandoci sulla definizione da noi data di tale genere. Abbiamo riscontrato notevoli somiglianze riguardo la struttura morfologica, l’irrealtà del mondo rappresentato e dei fatti narrati, la presenza indispensabile dell’elemento magico. Abbiamo escluso di proposito la poca definizione di luoghi e personaggi della fiaba, poiché essa sarà oggetto qui di analisi più approfondita.  Essa costituisce la prima e più evidente differenza fra The Lord of the Rings e la fiaba popolare.

La fine di un amabile reazionario e del suo mondo. "L'anno della morte di Ricardo Reis" di José Saramago

L'anno della morte di Ricardo Reis
di José Saramago
traduzione di Rita Desti
Feltrinelli, 2010




L'anno della morte di Ricardo Reis è un libro che non si può leggere in metropolitana, di corsa, camminando per le strade inseguendo il mito della velocità. È un romanzo che si legge in poltrona, con una luce bassa, il modem spento e il cellulare lontano. Solo così noi tutti possiamo essere Ricardo Reis, ritrovare il gusto della lentezza, di un mondo che non corre e di un tempo più umano. 

1936: anno cruciale nella storia del nostro continente. Il 18 luglio iniziava la Guerra Civile Spagnola, conflitto che sarebbe stato la prima nota di una triste melodia che si concluderà solo nella primavera del 1945. Il 1936, però, è anche L'anno della morte di Ricardo Reis come ci racconta José Saramago in uno dei suoi romanzi più interessanti, nel quale intesse un fitto rapporto intertestuale con il più importante poeta portoghese del XX secolo, Fernando Pessoa.
Ricardo Reis è uno degli eteronimi assunti dal poeta:

#TolkienWeek: Una fiaba per adulti. 2. The Lord of the Rings e la fiaba


Vladimir J. Propp, autore di un famoso studio sulla fiaba popolare, Morfologia della fiaba, del 1928, così la definisce:
Da un punto di vista morfologico possiamo definire fiaba qualsiasi sviluppo da un danneggiamento (x) o da una mancanza (x) attraverso funzioni intermedie fino a un matrimonio (n) o ad altre funzioni impiegate a mo’ di scioglimento.  A volte servono da funzioni i finali la ricompensa (z), la rimozione del danno o della mancanza (Rm), il salvataggio dall’inseguimento (s) etc.

Più specificamente, Stith Thompson, in La Fiaba nella tradizione popolare, del 1946, usa il termine maerchen per indicare una fiaba di una certa lunghezza, con una successione di motivi ed episodi, che si muove in un mondo irreale, senza una precisa definizione di luoghi e di personaggi, piena di cose meravigliose.
Bruno Bettelheim, in The Uses of Enchantment, del 1976, rileva che una fiaba è tale solo se contiene elementi magici e soprannaturali.
Partendo dalle teorie di questi tre famosi studiosi di fiaba, proponiamo ora la nostra definizione che le compendia tutte e tre. Una fiaba è tale quando:

  1. a livello morfologico-strutturale, abbiamo uno sviluppo da un danneggiamento o da una mancanza, attraverso funzioni intermedie, fino a uno scioglimento finale che comporta la rimozione del danneggiamento o della mancanza o una ricompensa;
  2. ci si muove in un mondo irreale;
  3. luoghi e personaggi non sono ben definiti;
  4. è presente l’elemento magico/soprannaturale.
In particolare, ai fini di questo studio, considereremo “fiaba tipica” quella avente la struttura monomitica della quest, così com’è stata enucleata da Joseph Campbell in The Hero with a Thousand Faces, del 1949.
In questo tipo di fiaba, il danneggiamento o la mancanza iniziale costringono il protagonista a partire alla ricerca di qualcosa (un oggetto, una persona, un luogo etc).  Le funzioni intermedie sono rappresentate dagli ostacoli e dagli aiutanti che egli incontra durante il viaggio. Al termine della fiaba, il compimento della quest rimuove il danneggiamento o la mancanza ed è causa di una ricompensa. Il ritorno a casa è spesso difficoltoso.
Prima di procedere, precisiamo che trarremo molti dei nostri esempi di fiabe dalla raccolta di maerchen dei fratelli Grimm (anche se non solo da quella) sia perché riteniamo questa raccolta una delle espressioni più tipiche della tradizione fiabesca europea, sia perché essa ha costituito una delle letture preferite proprio dell’autore di The Lord of the Rings.

Proviamo ad analizzare gli elementi strutturali del fiabesco paragonando The Lord of the Rings a una famosa fiaba dei fratelli Grimm, L’uccello d’oro.

L’uccello d’oro

  • Danneggiamento o mancanza: il re ordina ai figli di portargli l’uccello d’oro ed essi partono alla sua ricerca.
  • Funzioni intermedie, ostacoli: la locanda li alletta con i suoi piaceri, dei compiti difficili vengono imposti a Bertrando (triplicazione dell’oggetto della quest: uccello, cavallo e principessa d’oro e imposizione di spianare una montagna in otto giorni).
  • Aiutanti (che fanno superare gli ostacoli o forniscono oggetti magici):  la volpe aiuta Bertrando a spianare la montagna e gli dà consigli indispensabili all’ottenimento dell’uccello, del cavallo e della principessa fatati.
  • Rimozione del danneggiamento o della mancanza: Bertrando s’impossessa degli oggetti della quest.
  • Ritorno a casa (difficoltoso): Bertrando torna a casa in incognito e smaschera i fratelli impostori che avevano usurpato il suo posto. 
The Lord of the Rings


  • Danneggiamento o mancanza: I cavalieri neri frugano la Contea alla ricerca del possessore dell’Anello; Frodo parte per distruggere l’Anello, salvare la Contea e tutta la Middle Earth.
  • Funzioni intermedie, ostacoli: Un albero rinserra gli hobbit nelle sue radici. Gli spettri dei Tumuli tentano di ucciderli, i Cavalieri Neri feriscono Frodo, la neve e i lupi impediscono alla Compagnia dell’Anello di superare le montagne, gli Orchi attaccano ripetutamente la Compagnia uccidendo Boromir, il mostro del lago vuole catturare il Portatore, un Balrog uccide Gandalf, Shelob trafigge Frodo etc.
  • Aiutanti (che fanno superare gli ostacoli o forniscono oggetti magici):  Gandalf aiuta il portatore con la sua esperienza, i suoi poteri magici, e il suo sacrificio nella lotta contro il Balrog, Tom Bombadil disincanta l’albero assassino e disperde gli Spettri dei Tumuli, Bilbo dà a Frodo la spada Pungolo, Elrond fornisce aiuti morali e materiali agli hobbits, Galadriel dona a Frodo una spada magica etc.
  • Rimozione del danneggiamento o della mancanza: l’Anello viene distrutto e Sauron sconfitto.
  • Ritorno a casa (difficoltoso): gli hobbit tornano nella Contea  ma devono abbattere un regime tirannico instauratovi da Saruman in loro assenza.



Sono riscontrabili in The Lord of the Rings anche le funzioni proppiane di “divieto”, “investigazione da parte dell’antagonista”, “richiamo dell’eroe”, “messa alla prova dell’eroe”, “matrimonio e incoronazione dell’eroe”, etc). Emerge dunque una notevole somiglianza morfologica con le fiabe, a livello, cioè, di funzioni nodali. Tolkien stesso, avido lettore di fiabe, non nega di aver usato per The Lord of the Rings il modello fiabesco della quest che aveva già sperimentato in The Hobbit in maniera ancora più evidente.
I now wanted to try my hand at writing a really, stupendously long narrative and see whether I had sufficient art, cunning or material to make a really long narrative that would hold the average reader right through.  One of the best form for a long narrative is the adage found in the Hobbit, though in a much more elaborate form, of a pilgrimage and journey with an object, so that was inevitably the form I accepted.
Probabilmente ancor più che dalle fiabe dei Grimm, il modello fiabesco della quest è filtrato nell’opera di Tolkien attraverso l’epica medievale. Come tutti sanno, Tolkien, prima ancora che scrittore, è stato filologo insigne e uno dei massimi studiosi di letteratura anglosassone.  A lui si devono la rivalutazione del Beowulf, la traduzione di Sir Gawain and the Green Knight e di Pearl, un rifacimento di The Battle of Maldon e così via.  Fra le sue letture preferite, inoltre, si annoverano i romanzi di William Morris e di George McDonald.  Appare chiaro, perciò, che motivi quali la quest del Santo Graal o la ricerca del mostro da uccidere gli erano molto familiari.  Ritrovare i temi della fiaba popolare all’interno dei miti dell’epica medievale non deve stupire dal momento che, come ha dimostrato Joseph Campbell, mito, fiaba, rituale e attività onirica dell’uomo, trovano una comune espressione in motivi che nascondono al loro interno gli archetipi dell’inconscio collettivo junghiano.

The Lord of the Rings è un esempio di fiaba con “due cercatori”, i quali si separano verso la metà della narrazione per condurre a termine ognuno la propria ricerca.  Abbiamo infatti due eroi principali, Frodo e Aragorn. Frodo è il portatore dell’anello e la sua quest coincide con la distruzione del proprio fardello. Aragorn è il re in incognito, la cui quest, tipica, coincide con la riconquista del regno e l’ottenimento della mano della donna amata.  I due cercatori si separano alla fine del primo libro per ritrovarsi soltanto nel finale. 
The Lord of the Rings, come la fiaba, è ambientato in un mondo totalmente immaginario in cui si muovono personaggi che non hanno alcun fondamento storico.

Fra gli elementi comuni alle fiabe, riscontrabili anche in The Lord of the Rings, possiamo ancora elencare:

  • un qualche tipo di lotta con avversari soprannaturali che si presentano spesso sotto forme mostruose: Sauron, Shelob, il Balrog, i Nazgul, possono essere messi in relazione con gli innumerevoli draghi, orchi e streghe malefiche delle fiabe;
  • la presenza di fantasmi: gli spettri dell’Anello, i guerrieri dei Sentieri dei Morti, i fantasmi della palude, sono l’equivalente dei morti riconoscenti o minacciosi di alcune fiabe popolari europee;
  • i cavalli intelligenti: Ombromanto, Nevecrino,  etc, si comportano come Falada, il famoso cavallo de La piccola guardiana d’oche;
  • i poteri magici: i poteri di Gandalf, Sauron, Saruman, Galadriel somigliano a quelli dei maghi e delle fate delle fiabe;
  • gli oggetti magici: la porta di Moria si apre su comando come la famosa porta di Alì Babà e i quaranta ladroni; la fiala di Galadriel brilla di luce inestinguibile; l’Anello rende invisibili; i Palantiri permettono di vedere lontano; lo specchio di Galadriel predice il futuro; la spada Pungolo brilla in presenza di Orchi;
  • la piccolezza straordinaria: i nani e i piccoli hobbit somigliano ai minuscoli folletti delle fiabe;
  • i successi del figlio minore: Faramir, il “cenerentolo”, riesce là dove il fratello prediletto dal padre ha fallito;
  • le profezie: numerose sono le profezie disseminate nel corso della narrazione, ad esempio quella che concerne “il flagello d’Isildur” (cfr. la profezia ne I tre capelli dell’orco).
Sono presenti inoltre in The Lord of the Rings personaggi tipici della fiaba popolare: elfi, nani, maghi, trolls, orchi, etc. I protagonisti delle fiabe popolari di solito sono personaggi comuni i quali, messi alla prova dalle vicissitudini che devono affrontare nel corso della fiaba, maturano e ottengono successi personali: Fiumetto, il figlio del taglialegna, diventa re ed eredita una fortuna; i caprettini, ingoiati dal lupo cattivo, vengono salvati ed imparano a badare a se stessi; Biancarosa e Rosella sposano due principi. Bruno Bettelheim mostra che, persino quando nelle fiabe si parla di appartenenti a famiglie reali, in realtà il vero protagonista è sempre l’uomo comune: Biancaneve è solo una ragazzina pubere e la regina cattiva solo una madre che non accetta di essere superata in bellezza e gioventù dalla propria figlia. Il re, la regina cattiva e Biancaneve sono in realtà un padre, una madre e una figlia in una tipica costellazione edipica in cui ogni bambino (e ogni genitore) può identificarsi. 
Una delle caratteristiche principali delle fiabe è perciò presentare personaggi quotidiani in cui il lettore può identificarsi facilmente. Il lettore di fiabe avverte che potrebbe accadere anche a lui di essere oggetto d’invidia da parte di un fratello o doversi districare in una situazione difficile. Anche in The Lord of the Rings alcuni (non tutti) dei personaggi hanno appunto questa caratteristica di essere eroi quotidiani.
I piccoli hobbit sono goffi e maldestri, non sono abituati come gli eroi del mito ai grandi avvenimenti. Merry e Pippin all’inizio del racconto non sono che giovani hobbit spensierati, di buon cuore e generosi, ma che devono ancora mettere alla prova il loro coraggio e la loro resistenza. Alla fine essi saranno cresciuti di statura sia in senso fisico (grazie all’acqua degli Ents) sia in senso morale. Le sofferenze li avranno maturati nel giro di un anno, facendo di loro hobbit adatti ad assumere il comando della Contea. Essi più degli altri otterranno successi personali e ricompense nel finale della storia. Anche Aragorn alla fine sale al trono e ottiene la mano della fanciulla elfica che gli era stata promessa solo a patto che riconquistasse il regno che gli spettava di diritto.

Per quanto riguarda lo stile, Tolkien usa alcune tecniche comuni alla fiaba popolare. Come afferma Marion Perret
Tolkien prefers to suggest rather than spell out: he invites his reader to participate in the imaginative act of subcreation by his use of representative actions as well as by his use of generalized language.
Così come nelle fiabe si preferisce dire “si mise a sedere e pianse”, piuttosto che dare una dettagliata descrizione dello stato d’animo disperato di colui che soffre, qualche volta Tolkien opta per il suggerimento e il simbolo piuttosto che la descrizione esplicita.  In certi momenti salienti esegue un primo piano di un gesto o di un elemento.
The close up technique permits him to substitute a significant detail for an elaboration of an emotional state; repetition of that significant detail abbreviates even more. 
Così tutte le volte che Frodo porta la mano all’anello, il lettore capisce che egli è in preda ad una violenta tentazione; oppure ogni volta che Sam sorregge il padrone, il suo gesto simboleggia affetto, dedizione, fedeltà, senza perdere di concretezza e plasticità narrativa. Il lettore deve partecipare con la consapevolezza di ciò che il gesto ha significato in precedenza.

Spesso nelle fiabe molto di quanto viene narrato è dato per scontato.  Quando si afferma che il protagonista incontrò  “la vecchina dell’aceto” e non “una vecchina”, usando l’articolo determinativo, ciò presuppone che il lettore/ascoltatore della fiaba sappia a priori dell’esistenza di una vecchina specifica dell’aceto. È una tecnica che serve a dare profondità alla narrazione e l’idea di qualcosa al di là del mero ritaglio di eventi di cui veniamo a conoscenza. Abbiamo l’impressione dell’esistenza di un regno fatato in cui le vecchine dell’aceto sono naturali e comunissime.
Tolkien afferma di apprezzare le fiabe dei Grimm proprio per “quel senso di antichità e profondità” che  vi riscontra. Egli usa la stessa tecnica.  Il senso di profondità gli interessa molto di più che al novellatore, dal momento che si è posto come scopo principale proprio la creazione di un “mondo secondario”. Nonostante le appendici spieghino tutto ciò che c’è da sapere sulla Terra di Mezzo, sono state inserite nell’opera soltanto nel 1966. Ed inoltre si tratta appunto di appendici, che un lettore normale di solito legge al termine del libro. Perciò, quando i primi elfi sono introdotti mentre cantano “Ghiltoniel! Oh Elbereth!”, senza una previa lettura del Silmarillion e senza una conoscenza delle lingue elfiche, il lettore medio non può sapere che essi stanno intonando un inno religioso in onore di Varda, la suprema fra i Valar, regina delle stelle, e che Elbereth è uno dei nomi che gli Elfi le danno in Sindarin.
Il lettore piomba, fin dal primo capitolo, in un mondo che esisteva già prima che egli aprisse il libro, profondo, variegato e complicatissimo. Gli eventi narrati in The Lord of the Rings hanno una datazione precisa e si svolgono in un mondo coerente che è rappresentato con minuzia fin nei più piccoli particolari. Essi si riferiscono - ce lo conferma Tolkien stesso - ad un’epoca passata della nostra terra. Tuttavia non ci viene detto quanto tempo sia trascorso da allora né dove si trovasse esattamente la Terra di Mezzo.
Those days, the third age of Middle Earth, are now long past, and the shape of all lands has been changed but the regions in which hobbits then lived  were doubtless the same as those in which they still linger; the north west of the old world, east of the sea.
Questa descrizione lascia la storia in un limbo che ha il sapore vago del “c’era una volta di là dai monti e dal mare”.

Attraverso l’esame della struttura, delle componenti e di alcune tecniche stilistiche di The Lord of the Rings, siamo giunti ad una prima conclusione secondo la quale esistono innegabili somiglianze di carattere strutturale fra The Lord of the Rings e la fiaba.  Un primo valore da attribuire al libro perciò è quello che gli deriva dall’apporto della fiaba popolare, ed un primo messaggio sarà quello stesso di tante fiabe: che una lotta contro le gravi difficoltà della vita è inevitabile ma che anche i più umili possono riuscire solo se non si ritraggono intimoriti. Come i piccoli fruitori delle fiabe, soffrendo e gioendo con i loro eroi, riescono a maturare e a diventare uomini, così Tolkien, eterno bambino che si è divertito con lo scherzo dell’Hobbit, attraverso la fiaba The Lord of the Rings cresce come uomo e come scrittore. Insieme a Bilbo, impara ad accettare la vecchiaia e la vicinanza della morte. Sopportando poi, con Frodo, giorno per giorno il peso crescente del terribile Anello, sfocia in una scrittura amara che della fiaba si serve per convogliare messaggi profondi.

Patrizia Poli

COLLETTIVO CHIAMATA ALLE ARTI – Intervista a Davide Bramante



www.chiamatalleartisr.it


Chiamata alle arti è una fucina stabile di creazioni, di fermenti. Un collettivo nato a Siracusa che sta lavorando per risollevare il destino culturale della Città.
Il progetto verrà presentato la prima volta al pubblico domenica 31 marzo con L'edizione Zero d'un grande festival che prende il titolo dal nome del collettivo.
Apre il festival l'inaugurazione di una mostra (a cura di Davide Bramante ed Enzo Bauso), presso la Galleria Civica d’Arte Contemporanea Montevergini di Siracusa. Seguiranno – fino al 25 aprile – performance, istallazioni urbane, e iniziative orientate a risollevare le sorti dei Beni Culturali della città. Segnalo qui l'abstract dell'evento.
«L’idea è nata come esigenza, ma anche come ultima possibilità per tanti giovani artisti che per scelta hanno deciso di fermarsi a vivere in una città splendida che però non ha mai voluto guardare al contemporaneo e ai propri artisti» – così Davide Bramante risponde a Valentina Stefani di dailyart.it, in un'intervista del 19/03/2012 (qui).
Intervistiamo qui Davide Bramante, noto artista siracusano di fama internazionale (possiamo dirlo!), che è stato ideatore del progetto insieme a Enzo Bauso.



Davide Bramante
www.davidebramante.com


Dove, come, quando nasce il progetto?

DB: Questo progetto nasce circa 6 mesi fa, dalla spinta emozionale di Enzo Bauso e del sottoscritto, ma solo a 2 condizioni ci siamo messi all’opera. La prima che tra noi non ci fossero politici e tanto meno legami con alcuno di questi, la seconda che si poteva lavorare solo se si potevano coinvolgere artisti di generazioni diverse proprio perché amiamo e difendiamo le differenze.


Quali sono i vostri propositi?

DB: Con la nascita di questo gruppo, abbiamo già, come dire, fatto centro. Siamo un centinaio di artisti sia delle arti figurative e dello spettacolo, uniti da un sentire comune e da un unico desiderio. Ci stiamo mettendo all’opera perché crediamo in noi e soprattutto nelle infinite potenzialità che possiamo offrire a una città patrimonio dell’Unesco spesso dimenticata e amministrata male proprio da chi dovrebbe vantarla in giro per il mondo. Praticamente gli artisti si sostituiscono alla politica, spesso e troppe volte impegnata in altre cose che per noi sono futili!


La città di Siracusa potrebbe diventare un luogo di grandi risorse culturali, un avamposto di dialoghi e incontri per il Mediterraneo. La sua posizione geografica, e il sincretismo di tradizioni diversissime che l'hanno attraversata, ci urlano in faccia con grande forza le potenzialità di questa terra. Secondo te, perché i referenti politici e istituzionali non hanno risposto – se non fragilmente – a questo grido?

DB: Spesso non possono rispondere. Molto più spesso non vogliono rispondere. I rappresentanti delle istituzioni culturali di Siracusa sono persone che non hanno niente a che fare con la cultura! Sono persone che non hanno avuto la curiosità di viaggiare, di studiare; che non hanno avuto la forza e la voglia di impegnarsi per la riuscita del proprio futuro e... hanno ripiegato nella politica! Spesso sono persone che non hanno cercato per la propria vita un modello migliore di quello offerto dal clientelismo provinciale. E, quando si cresce in questa prospettiva, cosa si può desiderare di meglio se non una bella poltrona da politico…?


Leggo dall'abstract di Chiamata alle arti: «Quando i beni culturali vengono amministrati male divengono mali culturali». Non posso, allora, che pensare al festival più importante che si tiene nella nostra città.
Luci a Siracusa – pregevole iniziativa voluta fortemente da Fabio Granata – troppo spesso, ahimé, ci ha dato l'impressione di sclerotizzarsi in una cattiva gestione delle risorse economiche, e di inaridirsi con una direzione artistica che – più che alla qualità – ha spesso puntato a soddisfare rapporti amical-politico-parentali. Come si potrebbe migliorare, secondo te, questo noto festival siracusano?

DB: A questa domanda preferisco non rispondere. Domani ho l’ultima udienza/sentenza in tribunale proprio perché ho più volte affermato ciò che tu mi hai appena chiesto. In poche parole potrei dire: anche i politici “tengono famiglia”, e i parenti sono tanti.
Posso aggiungere che nella nostra città i beni sono amministrati volutamente male e fin tanto che la magistratura non mette gli occhi su certe situazioni, e non vorrà vederci chiaro, nulla cambierà!!!



Grazie dell'attenzione, un caro saluto dalla redazione di Critica Letteraria.

DB: Grazie a te!!! 







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Davide Bramante. Nato a Siracusa nel novembre 1970, finite le scuole superiori si reca a Torino, attratto dal fervore della sua vita artistica e culturale. Qui consegue il diploma di laurea all’Accademia Albertina di Belle Arti. Dopo un’intensa attività espositiva nei principali circuiti dell’arte contemporanea italiana ed estera, conducendo un discorso di primo piano nel campo della produzione video e delle nuove tecnologie dell’immagine, nel 1998 è il primo borsista italiano della prestigiosissima Franklin Furnace Foundation di New York, per la quale realizza il progetto The Future of The Present. Nel 1999 riceve dal Ministero degli Affari Esteri italiano una borsa di studio, che gli consente di protrarre per un anno ancora la sua permanenza nell’importante centro culturale americano, per il quale realizza inoltre il progetto Movin’up. Nel 1999 torna a vivere a Siracusa e nel 2006 consegue anche la laurea in scenografia all’Accademia Fidia di Belle Arti di Cosenza.
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Il Salotto: intervista a Luca Ariano

Contratto a termine
di Luca Ariano

Edizioni Farepoesia, 2010




In molti testi di Contratto a termine ci sono allusioni a soggetti storici, dal Basso Evo (Eserciti s'affrontano ai limes sguarniti) alla Grande Guerra (Dell'Emilio - professore precario), dalle guerra puniche (I cavalieri di Annibale) alle campagne napoleoniche (Eureka; Il Grigio, vinta la sua battaglia a scacchi), dalla Resistenza (Sulla via Emilia) al maresciallo Tito (In quella casa Teresa ha trascorso). Nella sua prefazione Francesco Marotta parla dello "scontro" tra "memoria" e "presente". Quali sono per te i ricordi, personali e collettivi, che hanno valore e cosa invece del presente opera, tornando alle parole di Marotta, come un "rullo omologante"?
Premetto che a me la storia è sempre piaciuta molto e nutro sempre un grande interesse per le vicende storiche del passato. Quando scrivo una poesia mi viene spontaneo, naturale fare dei balzi temporali tra il presente e il passato. I miei personaggi sono legati al presente, alla contemporaneità, ma soffrono l’oblio del passato, della memoria. Io credo, parafrasando Primo Levi, che senza memoria storica siamo condannati a rivivere le stesse tragedie del passato. Quello che sta succedendo oggi, con la crisi, credo sia esempio lampante. Una società che dimentica il passato, le proprie tradizioni, da dove viene, è inevitabilmente condannata a perdersi, ad estinguersi. La mia non è una posizione da conservatore, anzi, penso che preservare il proprio territorio, la propria comunità, la terra, i luoghi storici ed artistici, in questa epoca “rullo”, sia una visione progressista.

#TolkienWeek: Una fiaba per adulti. 1. Tolkien e la critica


Tutte le immagini sono tratte
da questa edizione: J.R.R. Tolkien,
Il signore degli Anelli illustrato
da Alan Lee
, a cura di Q. Principe,
Bompiani 2003. 
1.  Tolkien e la critica

Dalla sua pubblicazione (1954) fino a oggi, The Lord of The Rings di Tolkien ha suscitato opinioni controverse riguardo al genere letterario cui l’opera appartiene.

Fra coloro che lo ritenevano attribuibile a un genere specifico e soltanto a quello, il critico di maggior rilievo è senz’altro il  canadese Northrop Frye che in The Secular Scripture del 1976, all’interno di una rivalutazione e delimitazione della tradizione del romance inglese, affermava: “Nel ventesimo secolo, il romance ritornò di moda dopo la metà degli anni 50, con il successo di Tolkien e l’ascesa di ciò che comunemente viene denominata fantascienza”. Frye quindi considera sia le opere tolkieniane sia quelle di scrittori di fantascienza alla stregua di sottogeneri del romance, per la presenza in essi di meccanismi tipici del romance stesso quali la polarizzazione (netta divisione fra personaggi positivi e personaggi negativi), la quest, il lieto fine.
Edmund Wilson, nel famoso articolo apparso su Nation nell'aprile 1956, OO those Awful Orcs, che ne ha fatto il caposcuola di una serie di detrattori, considerava The Lord of The Rings un libro per bambini, attribuendo a tale definizione tutte le valenze negative possibili. Per Wilson, The Lord of the Rings non era che una “fiaba” leggera e fatua. Sulla scia di Wilson, un recensore del Times Literary Supplement prediceva nel 1955, per altro con scarse capacità divinatorie,
this is not a work that many adults will read right through more than once
relegando anch’egli l’opera nella stanza dei bambini.
Altri commentatori, pur inserendo The Lord of the Rings nel solo genere della fiaba, non davano a questo inserimento valore spregiativo. Fra questi, Michael Tolkien, secondogenito dello scrittore, che così si esprimeva sul Daily Telegraph:
I feel certain that it was, in the first place, on account of our enthusiasm for story told and invented by my father, that the inspiration came to him to put in permanent shape what he so rightly regarded as the type of fairy story real children really want.
Un’opera diretta ai bambini dunque, ma quelli che ragionano e sentono come adulti. Un contributo italiano è l’opinione di Oriana Palusci, secondo la quale Tolkien ha compiuto una “ricerca attraverso i materiali della fiaba” per giungere a qualcosa di differente.
Un altro gruppo di critici evita di inserire The Lord of the Rings in un genere preciso, considerandolo un’opera sincretica che riunisce caratteristiche di generi disparati. Leggenda e fiaba, tragedia e poema cavalleresco, il romanzo di Tolkien è in realtà un’allegoria della condizione umana che ripropone in chiave moderna i miti antichi. Ecco cosa si legge sulla copertina dell’edizione Rusconi di The Lord of the Rings curata da Elemire Zolla, il critico italiano che maggiormente ha preso in considerazione Tolkien. Qui, arbitrariamente e confusamente, si parla di un “romanzo” che avrebbe come argomento una “leggenda” ma che può essere anche considerato una “fiaba”, o una “tragedia” (senza considerare che, a causa del lieto fine la fiaba esclude la tragedia) o, infine, una “allegoria” basata su di una “mitologia” riproposta in chiave moderna. Che esista un sincretismo nell’opera di Tolkien è evidente, ma la definizione di Zolla, pur contenendo un innegabile nucleo di verità, così come si presenta, ingenera più confusione che chiarezza.  Più cauta e precisa Verlyn Flieger che, fra i critici che si sono interessati all’opera di Tolkien ha dato, secondo noi, le interpretazioni più sottili, raffinate ed esaurienti. Questa la sua opinione:
I do not propose to assigne The Lord of the Rings to a particular genre such as fairy tale, epic, or romance. The book quite clearly derives from all three, and to see it as belonging only to one category is to miss the essential elements it shares with the others.
Simile a quella della Flieger l’opinione di J. Mc Kellan
The Lord of the Rings is a special kind of fiction, midway between medieval romance and modern novel.
“A special kind of fiction”: ecco la chiave per l’interpretazione dell’opera di Tolkien. The Lord of the Rings appartiene a un genere nuovo che nasce dall’unione di caratteristiche di più generi, quali la fiaba popolare, l’epica medievale, il romanzo (inteso nei suoi due sottogenri di romanzo d’avventure e romanzo psicologico moderno) il tutto tenuto insieme e amalgamato da uno spirito moderno che dà importanza ai problemi e ai valori dell’uomo.
Una categoria di critici individua questo genere nuovo nel fantasy e costruisce una tradizione di opere fantasy in cui inserire quella di Tolkien. Così Irwin accomuna Tolkien ai suoi amici “Inklings”, C. Williams e C.S. Lewis, sostenendo che
all have (…) a way of absorbing variant straints of myth into a general Christian oriented pattern, which reveals a clear artistic, and perhaps also doctrinal syncretism.
Manlove, dopo aver dato una definizione del fantasy molto accurata, e aver individuato altri scrittori afferenti allo stesso genere, analizza purtroppo l’opera tolkieniana in modo piuttosto superficiale, e sembra non raggiungere un’effettiva comprensione della sua portata fondamentale proprio all’interno del genere che egli va individuando.
A sua volta, Patrick Grant costruisce una tradizione inglese in cui inserire Tolkien, che spazia dalle Nursery Rhymes di Mother Goose ad Alice in Wonderland di Carrol, ai Jungle Books di Kipling e afferma che:
Fantasy in The Lord of the Rings has been pushed to its logical limits, beyond Kipling, and beyond Carrol too, finally presenting itself to itself as a peculiar combination of literary conventions.
Ma qual è l’opinione di Tolkien? Nel 1950 così egli presentava il suo libro agli editori:
il mio lavoro è sfuggito al mio controllo e ho prodotto un mostro: un romance estremamente lungo, complesso, piuttosto amaro e piuttosto terrificante, inadatto a ragazzi (ammesso che sia adatto a qualcuno).
E ancora, in una lettera a Manlove del 1967, affermava
The Lord of the Rings fu un tentativo intenzionale di scrivere una fiaba per adulti.
Queste due definizioni indicano l’incertezza di Tolkien stesso riguardo all’attribuzione della sua opera a un genere preciso. Ciò conferma il carattere sincretico di tale opera che usufruisce di stili, motivi e tecniche propri di generi diversi. La seconda affermazione poi, contiene un elemento fondamentale per la nostra ricerca. “Una fiaba per adulti” dice Tolkien. Da questa definizione partiremo per vedere in cosa quest’opera magmatica possa essere considerata una fiaba e come Tolkien abbia sfruttato il materiale fiabesco indirizzandolo ad un pubblico adulto. The Lord of the Rings è complesso, sfaccettato, concerne valori esistenziali di notevole profondità, tali da avvicinare l’opera al romanzo moderno.


Patrizia Poli

L'ultimo Fabio Geda: tra romanzo di formazione e romanzo familiare

L'estate alla fine del secolo
di Fabio Geda
Dalai Editore, 2011


€ 17,50
pp. 285

 

Più romanzi in un romanzo. Più vite, anche, e più flashback per i due io-narranti. Opera di formazione ed epopea familiare al tempo stesso, L’estate alla fine del secolo è un doppio tuffo nel passato. Innanzitutto, per Zeno Montelusa, che ripercorre quell’estate di fine Novecento in cui ha abbandonato il nido siciliano di Capo Galilea, dove viveva con i nonni paterni e con i genitori amatissimi, alla volta di una Genova sconosciuta ma unica speranza per salvare il padre gravemente leucemico. E sconosciuta non è solo la città, ma anche il nonno materno, Simone Coifmann, di cui Zeno non ha mai sentito parlare:
«Scoprire di avere un nonno di cui nessuno ti ha parlato, la cui esistenza ti è sempre stata nascosta, un nonno che non si è mai fatto vivo con te (o perlomeno è quello che sai), un nonno che credevi morto e invece abita una casa, si nutre, parla con la gente, ascolta la radio, è come affacciarsi alla porta del balcone e scoprire che il balcone è crollato, che sotto non c’è più il rassicurante cortile con le magnolie, l’altalena, la piscina di plastica, ma una voragine; il familiare diventa estraneo, il quotidiano illeggibile. C’è solo questo o c’è altro? Quante cose non so? È un terreno scivoloso, il dubbio. E noi stavamo pericolosamente slittando lungo le sue pendici».
Mentre la madre assiste il padre in ospedale, a Zeno non resta che una convivenza obbligata col nonno, in una casa a pochi chilometri dalla città, ma che sembra fuori dal mondo, dato che i cellulari non trovano rete, né ci sono mezzi di trasporto per arrivare in ospedale. Un’estate da trascorrere senza gli amici di sempre, con la compagnia degli inseparabili fumetti e della riflessione, particolarmente spiccata nel piccolo Zeno. Dividere i pranzi e le cene non porta immediatamente alla comunicazione col nonno, che spesso si ritira in un silenzio impenetrabile:
«La voce era diventata ruvida, aveva scartavetrato tutto il bene, il possibile che era germinato in quel dialogo. […] mi sentivo sottovuoto».
A Zeno non resta che rifugiarsi prima nella rilettura e nel disegno dei fumetti –brillante occupazione da adulto – e poi nei giochi con gli altri bambini del posto. Poco sembra capire di nonno Simone, che è schivo e ombroso, per quanto non faccia mancare niente al nipote. Ma come rompere la cortina di diffidenza reciproca? E per quali ragioni Zeno non ha mai saputo di avere un nonno a Genova?

Pillole d'autore: Il padre di Franz Kafka


Franz Kafka


Da Elogio funebre di F. K., di Milena Jesenská, da: Franz Kafka, Lettere a Milena, traduzione di Ervino Pocar e Enrico Ganni, Mondadori, Milano 1988:
Nel sanatorio di Kierling presso Klosterneuburg nei dintorni di Vienna è morto l’altro giorno il dott. Franz Kafka, scrittore di lingua tedesca vissuto a Praga. Qui lo conoscevano in pochi perché era un individuo solitario, un uomo sapiente, spaventato dal mondo. Da anni era affetto da una malattia polmonare e sebbene la curasse, tuttavia consapevolmente la nutriva e incoraggiava col pensiero. Quando l’animo e il cervello non riescono più a tollerare il peso, scrisse una volta in una lettera, i polmoni se ne addossano la metà, affinché esso perlomeno sia meglio distribuito. Cosí fu anche per la sua malattia. Essa gli conferiva una delicatezza quasi stupefacente, un raffinamento d’ingegno del tutto alieno da compromessi; ma lui, l’uomo, aveva scaricato sulla malattia tutta la propria angoscia intellettuale. Era timido, timoroso, delicato e buono, ma i suoi libri sono crudeli e dolorosi. Nel mondo scorgeva invisibili demoni, che straziano e distruggono l’essere umano indifeso. Era troppo perspicace, troppo saggio per poter vivere, troppo debole per lottare, debole come lo sono le creature nobili, belle, che non sono capaci di accettare la lotta contro la loro paura dell’incomprensione, della mancanza di bontà, della menzogna intellettuale, poiché sin dal principio sono coscienti della loro fragilità e nella sconfitta umiliano l’avversario. Conosceva gli uomini, come solo un essere di grande sensibilità nervosa è in grado di riconoscerli, un essere solitario, che da un unico sguardo, quasi profeticamente comprende l’altro. […] La sua coscienza di uomo e artista era a tal punto affinata da consentirgli di penetrare anche laddove gli altri, sordi, ritenevano di essere al sicuro.
Per capire la personalità di Kafka (Praga, 1883 – Vienna, 1924)

Lux in arcana. L'Archivio Segreto Vaticano in mostra ai Musei Capitolini

Solitamente l’uomo è affascinato da ciò che è segreto e nascosto. Le nostre conoscenze moderne provengono proprio da quegli uomini che hanno saputo spingere il loro desiderio oltre i limiti che ci separano dal secretum, dal non rivelato o sconosciuto.
Luogo privilegiato di scoperte sono da sempre gli archivi. Il nostro Paese ne possiede tanti ed ora quello più famoso e per anni inaccessibile, se non agli studiosi, si mostra.
L’archivio privato dei papi, l’Archivio Segreto Vaticano, è il luogo in cui a partire dal XVI secolo i documenti che hanno come autore o destinatario il Vescovo di Roma e la sua Curia, sono nuovamente raccolti, ordinati e custoditi.
Alcuni di questi documenti sono stati organizzati ed esposti nelle sale del Palazzo dei Conservatori sede dei Musei Capitolini come rappresentanza dell’enorme patrimonio documentario che viene custodito dalla Chiesa. La cornice delle splendide sale del Campidoglio offre ai visitatori la possibilità di avvicinarsi a delle vere e proprie rarità: documenti originali, carte autentiche, pergamene, bolle pontificie, manoscritti, sigilli ecc... La prima sensazione che si prova

CriticaLibera: Oscar Wilde, ossia l'importanza di essere un esteta

Oscar Wilde fece confusione fra vita e opera, tentando di gestire artisticamente la propria esistenza. Fu un personaggio molto in vista, l’esponente principale del Decadentismo inglese, come Baudelaire lo fu per la Francia e d’Annunzio per l’Italia; anzi, possiamo dire che Wilde fu l’estetismo inglese.

Con Decadentismo intendiamo un genere letterario e un atteggiamento che impregna di sé tutta la fine del secolo. Il termine fu usato per la prima volta da Verlaine, riferito alla pittura impressionista. In Inghilterra il romanticismo è messo in crisi dal compromesso vittoriano che si basa sulla grandezza inglese, sul filantropismo, sulla fiducia nella scienza. Gli ideali di uguaglianza e libertà sono accantonati, impera il romanzo di Dickens e Thackeray, incentrato sullo step up e sempre a lieto fine. La spina dorsale dell’Inghilterra economica è la classe mercantile che fa suo il moralismo calvinista e puritano. Il giudizio della società diventa più importante di quello divino, il sesso è un tabù. È promulgata una legge contro gli omosessuali maschi (non contro le femmine perché nessuno ha il coraggio di spiegare alla regina che esistono anche donne omosessuali) Wilde finirà in galera, a Reading Gaol proprio perché ammetterà di essere omosessuale. Wilde non si cura di nascondere le proprie tendenze, convinto della necessità di abbattere le convenzioni moralistiche in favore delle esperienze. Ostenta l’amicizia con il suo Basil, cioè Lord Alfred Douglas, la grande passione della sua vita. Il processo che deriverà da quest’amicizia, significherà la sua fine come scrittore e come uomo. È una tragedia della cui portata Wilde sarà consapevole fin dall’inizio e che sembra da lui quasi cercata. Al processo non si discolperà in nome della legittimità del suo essere gay. Pagherà di persona le proprie idee e darà l’ultima, definitiva, pennellata ad una vita artistica, non scevra, però, dal senso di colpa, che si ritrova in tutti i poeti decadenti, compreso d’Annunzio.

Marco Bini: Conoscenza del vento

Conoscenza del vento
di Marco Bini

Giuliano Ladolfi Editore, 2011




«Nell’inverno lo stile è tutto». Si apre con la citazione di un celebre verso di Roberto Roversi, la raccolta poetica di un giovane esordiente, Marco Bini, classe 1984, laureato in letteratura presso l’università di Bologna e già molto attivo nell’ambiente emiliano e lombardo, con varie pubblicazioni in antologie e riviste culturali specializzate.
La prima sensazione che si riceve, leggendo i suoi versi, è senza alcun dubbio la sorpresa.
Sorpresa di trovarsi davanti al lavorio, serio e intelligente, di una scrittura che potremmo definire già quasi ‘classica’. Con questo, non intendo una particolarmente smaccata tendenza al lirismo formale, o una ridondanza obsoleta di contenuti già noti e lungamente metabolizzati dalla società culturale passata e presente. Al contrario, infatti, il linguaggio utilizzato da Bini risulta anche sperimentalmente piano, vivacemente concettuale e non certo privo di ironia; gli stilemi dei suoi componimenti sono soliti variare metricamente, con una piacevole alternanza semantica che a tratti osa slabbrare le immagini proposte, diluendone così l’attesa prospettica,  altre volte, invece, le ricomprime strettamente, conferendo spessore e solidità alla riflessione etica ed estetica che sta alla base del suo stesso fare poesia.
In cosa risulta classica, dunque, la scrittura fervida di Marco Bini?

L'esatta sequenza della narrativa di Fabio Geda



L’esatta sequenza dei gesti
di Fabio Geda
Instar Libri, Torino 2008

Quando aveva scelto quel lavoro sapeva che si sarebbe dovuto trasformare in un tritatutto per i residui emotivi dei ragazzi, nella tazza del cesso in cui avrebbero vomitato il loro passato. Quello che non sapeva è che l’odore del rigurgito se lo sarebbe portato dietro per sempre.
Avrebbe voluto sistemare il mondo così come incastrava i tetramini.
Poi le vite dei ragazzi hanno preso a cadergli addosso sempre più frequenti.

Torino. In via Paolo Sarpi 43, la comunità per minori disagiati ha tutte le finestre accese: ci sono luci narrativamente più fievoli (Razjieda, Marianna, Ahmed,…) e quelle dannatamente vivide (Marta e Corrado, ma anche i responsabili Ascanio ed Elisa). Fuori, il mondo che assalta senza pietà: sotto un occhio di bue Antonella Semaschini, la madre di Marta e dei suoi fratelli, ubriaca e incapace di gestire la propria vita familiare e matrimoniale; Roberto Semaschini, padre di Marta, immaturo per quanto attaccato ai figli; e le assistenti sociali, l’appena accennata Angela e Lea, che impara a riapprezzare il suo equilibrio familiare così in contrasto con la quotidianità lavorativa.
Se dovessimo per forza isolare un’ipotesi di protagonisti,

L'odore delle cose umane: Marco Venturino, "Cosa sognano i pesci rossi"

Cosa sognano i pesci rossi
di Marco Venturino
Mondadori, 2005

pp. 245


Pierluigi Tunesi, quarantacinquenne amministratore delegato di un’importante multinazionale, uomo di successo dalla vita densa di riunioni aziendali, cene eleganti, concerti e sciate a Crans Montana, si trova all’improvviso prigioniero in un reparto di Terapia Intensiva, confinato in un letto e incapace di qualsiasi movimento in seguito a un difficile quanto azzardato intervento chirurgico andato male.
Luca Gaboardi, quarantacinquenne medico anestesista rianimatore, è a capo dell’équipe sanitaria che opera nel reparto di Terapia Intensiva in cui Tunesi è ricoverato. Gaboardi è un uomo reso cinico e disilluso dalle insoddisfazioni provate sia in ambito professionale sia nella vita privata; è lui stesso a dirci che, terminato il servizio e tornato a casa, è solito finire la giornata stordendosi con l’alcol, evitando in questo modo di addentrarsi in pericolose riflessioni sul senso della propria esistenza.

La storia segue le vicissitudini di questi due personaggi,