CriticaLibera: Fantasmi dell'editoria. 3. Contini e Pasolini

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3.   Contini e Pasolini

Gianfranco Contini

L’esperienza personale che grazie a criticaletteraria.org ho potuto fare mi spinge a dire che 8 casi su 10 la pubblicazione a pagamento non è altro che un sibilo per dire “io ci sono”. La qualità dei testi è decisamente scarsa, a volte insulsa. Un caso diverso è invece quello dell’autopubblicazione (per altro ecologicamente più onesto): non si stampano copie che non verranno mai vendute e la spesa per l’autore è relativamente modesta. E paradossalmente venendo a mancare l’esborso economico consistente, i testi nel complesso sono migliori, più necessari, se non al lettore, almeno all’autore. Insomma: io pago perciò pubblico ciò che voglio; viceversa, non pago o pago poco, perciò pubblico ciò che sento necessario, per me, se non per la comunità. 

Pier Paolo Pasolini
Il popolo degli scrittori della domenica esiste, ha le sue ragioni d’essere, le sue necessità e, quasi invertendo quella che potrebbe essere una sua funzione, la pubblicazione a pagamento e (in misura minore) l’autopubblicazione lo allontanano sempre di più dall’editoria nazionale o riconosciuta, perché da un lato lo contentano subito (basta pagare), gli fanno interrompere una ricerca tematica o stilistica che magari potrebbe portare a risultati migliori, dall’altro l’editoria ufficiale, non sentendo bussare alla sua porta con quell’insistenza che sarebbe necessaria in caso di bisogno reale e impellente smette di fiutare, di cercare quel testo o quell’autore o autrice per cui valga la pena di assumere un rischio d’impresa. In più pubblicare a pagamento o autopubblicarsi ha mantenuto dell’antico stato di cose la stimmate dello scrittore o della scrittrice “bruciata”, non più riciclabile dall’editoria nazionale o riconosciuta. In questa situazione distorta, non fisiologica, in cui chi raggira fa un favore a chi è raggirato, le piccole, spesso microscopiche, case editrici, numerosissime (delle quali questo sito sta fornendo con la rubrica “Editori in ascolto” una specie di mappatura geografica e tematica) hanno scarsa possibilità di far valere le loro scelte, di imporre livelli minimi di qualità, di promuovere i loro testi o i loro autori.
Eppure tra autopubblicazione e piccola editoria qualcosa di buono, a volte di ottimo, è possibile incontrarlo, solo che rarissimamente riesce a bucare la nube d’insulsaggine che lo circonda.
Questa situazione potrebbe essere almeno in parte corretta dall’informazione culturale proposta dalle grandi testate giornalistiche o dalle riviste specializzate, le quali, invece, non fanno altro che adagiarvisi, informando e commentando solo quei libri che provengono dalla grande editoria, contentandosi, così, della loro selezione. Mi chiedo, infatti, quale utilità possano avere per la qualità della comunicazione o dell’informazione culturale le 15 0 20 recensioni dedicate all’ultimo Mazzantini o Tabucchi o Baricco o Ammaniti (anche qui, cito alla rinfusa senza nulla concedere alle predilezioni o alle idiosincrasie personali), fermo restando che una recensione è cosa ben diversa da un saggio critico su un’opera, un autore o un movimento letterario?

Mi arrischio a due modeste proposte, che certo non produrrebbero una rivoluzione, semmai solo un leggero spostamento dell’asse, e forse si metterebbero di traverso rispetto al circolo vizioso testé descritto.

1. Un po’ come si fa per le controverse “quote rosa”, perché i nostri più esperti e competenti informatori culturali, quelli che hanno accesso alle testate giornalistiche e alle riviste più influenti non impongono a se stessi, come scelta etica e morale, di dedicare, chessò, 1 articolo su 10 a un testo non sostenuto da una grande casa editrice? Certo dovrebbero rovistare tra tante cose che non meritano nemmeno di essere guardate prima di trovare quella che merita qualche loro osservazione, ma per la selezione preliminare potrebbero affidarsi alle redazioni, agli spifferi, a qualche sito internet di cui si fidano. Veramente, i Giulio Ferroni, i Massimo Onofri, i Roberto Cotroneo, e quant’altri, potrebbero in questo modo promuovere un reale allargamento della base su cui poggia tutto l’universo culturale e contribuire a spiazzare e decentrare i mercanti di sogni a 3000 euro per 150 copie da mandare quasi tutte al macero. Forse la piccola editoria lavorerebbe con più lena e gli autori raffinerebbero di più e meglio i loro testi se potessero perseguire non un sogno di cartapesta ma un reale confronto con chi è più esperto e competente di loro. E chissà che non si possa ripetere il miracolo di un Contini che scopre la poesia dialettale di un giovanissimo Pasolini. 

2. Perché non distrarre una piccola parte dei (già risicatissimi, lo so) contributi pubblici all’editoria per istituire delle commissioni su base regionale incaricate di valutare e proporre per la pubblicazione opere inedite? Probabilmente almeno all’inizio sarebbero sommerse da una quantità opprimente di manoscritti e occorrerebbe stabilire un numero massimo d’invii raggiunto il quale sospendere le ricezioni e riaprirle solo dopo aver smaltito gli arretrati e proposto all’editoria quelli che a giudizio dei commissari meritano la pubblicazione. A lungo andare il numero d’invii tenderebbe a scendere, specie se il prestigio e il rigore delle commissioni mantenessero alto il livello minimo di qualità, e addirittura, almeno in parte, le commissioni potrebbero autofinanziarsi stabilendo che una parte dei ricavi prodotti dalle opere promosse tornassero alle commissioni stesse. E tanto per rimanere fedeli all’auspicato (spesso a parole, ma raramente nei fatti) allargamento della base chiamata a partecipare alla vita culturale della comunità, affidare, magari, le commissioni non a docenti universitari o nomi affermati, bensì ai precari delle università umanistiche, ai professori delle scuole secondarie o agli assidui e anonimi frequentatori delle biblioteche civiche (sempreché costoro fossero interessati o avessero il tempo per assumere compiti istituzionali). 

Per parte mia, se queste parole potessero raggiungere orecchie ben disposte e influenti, avrei da consigliare Patrizia Poli, Signora dei filtri, autopubblicato su Ilmiolibro.it (rivisitazione in chiave del tutto umana del mito degli argonauti e dell’amore tragico tra Medea e Giasone), e Daniele Trovato, Ali e corazza, Autodafè edizioni (ovvero come la cronaca più vicina ai nostri giorni possa essere messa in prospettiva grazie alla pulizia non comune dello stile e alla scelta di un punto di vista e una situazione enunciativa sorprendenti).

Paolo Mantioni