Uomini e galli - Nessuno scrive al Colonnello







Nessuno scrive al Colonnello

(El coronel no tiene quien le escriba, 1958)
di Gabriel García Márquez

Traduzione italiana di Enrico Cicogna
Oscar Mondadori, 2001 (prima edizione italiana 1969)


pp. 76


Piove. Piove di continuo su Macondo, tanto che sembrano fradicie addirittura le pagine del libro in cui si svolge questo bellissimo racconto. “Stiamo marcendo vivi”, dice la moglie del Colonnello, afflitta da tutte le patologie della vecchiaia oltre che da una povertà sempre più incalzante e spietata. La pensione di guerra che l’uomo aspetta da quindici anni non arriverà mai, eppure lui, ogni venerdì, si presenta inutilmente presso l’ufficio postale il cui impiegato con maligna precisione sottolinea che “nessuno scrive al Colonnello”.



In questo racconto incontriamo personaggi e situazioni che ritroveremo nei racconti e romanzi successivi, sino alla sintesi del ciclo di Macondo, luogo mitico e archetipo dell’America Latina con tutto ciò che ne è miseria e splendore, che avverrà in Cent’anni di solitudine. Nel Coronel vi sono fugaci ma precisi riferimenti alla storia di questo “universo piccolo”, quali la guerra civile, le elezioni farsa, la dittatura, il coprifuoco. Tutto viene svelato poco alla volta, con il lettore preso per mano da García Márquez e dalla sua prosa minuziosa e dettagliata, che descrive i singoli gesti dei personaggi con rigore ritrattistico. La figura dell’anziano Colonnello è singolare per la serenità e la pacatezza con cui accetta una situazione che vede lui, che ha compiuto il proprio dovere, negletto e abbandonato mentre prospera chi ha saputo vendersi al dittatore di turno.

A Macondo non vi sono strade né automobili, il paese si raggiunge solo via fiume, unico cordone ombelicale con il mondo è la lancia che attracca il venerdì con la posta, i pochi viaggiatori e qualche ambulante. L’arrivo del circo permette di sovrapporre a questo racconto (1961) il successivo La mala hora, scritto l’anno successivo: stesso momento, stessi personaggi manovrati però secondo una diversa organizzazione, come in un gioco di luci e ombre. Ne è un esempio la figura dell’Alcalde che nel Colonnello compare un solo istante sullo sfondo, mentre nella Mala hora assume un ruolo di primo piano. Inoltre, il particolare apparentemente insignificante e superfluo del mal di denti dell'Alcalde crea una sincronia perfetta fra i due racconti.

Come nel mondo reale, neanche a Macondo vi è spazio per la solidarietà: le sorti del Colonnello e di sua moglie, entrambi anziani e ridotti alla fame, dipendono da un gallo da combattimento che era appartenuto al figlio, ucciso mesi prima, e con cui il Colonnello spera di avere un guadagno da una risolutiva ma ipotetica vittoria di lì a poche settimane. Attorno a questo animale gravita una serie di personaggi secondari per niente interessati alle condizioni del vecchio ma decisamente attenti a far sì che il gallo permanga in buona salute nell’attesa di essere gettato nell’arena di combattimento affinché uccida o sia a sua volta massacrato. Non è difficile scorgere il fil rouge che lega uomini e animali, ingranaggi di un meccanismo le cui leve di controllo sono sempre manovrate da altri.

Il finale è inevitabile e tuttavia inatteso, assolutamente aperto. In quell’istante, in quella scena e in quelle parole si riassume e ha compimento l’intero racconto, con l’affiorare di una definitiva rassegnazione ma allo stesso tempo di una sconcertante serenità.


Stefano Crivelli