Il fiore dello sguardo di Gianfranco Isetta

Stat rosa
di Gianfranco Isetta
Puntoacapo editrice, 2008

La rosa, protagonista del libro di Gianfranco Isetta, è quella del silenzio mistico di Bernardo di Morlay, con cui si conclude il capolavoro di Umberto Eco. E’ il fiore di uno sguardo che ha saputo spogliarsi di tutti gli orpelli inutili, combusta la dottrina eclettica di un’intera vita. Come alcuni dei migliori poeti e scrittori contemporanei, Isetta – giova ricordarlo - proviene da una formazione non strettamente letteraria, bensì scientifica. Una specie di grido d’omaggio all’intellettuale del Rinascimento: quell’uomo dalla formazione completa e dalla cultura rotonda che specialismo, narcisismo, pigrizia e altri peggiori vizi contemporanei, oltre che le note ragioni storico – sociali, sembrano aver contribuito a far definitivamente tramontare. Il mondo poetico di Isetta, a partire dal primo e già maturo Sono versi sparsi, Joker 2004, è il miracolo di uno sguardo che si avvicina al mondo non per giudicarlo, ma per poterlo osservare da una distanza virtuosa, insieme calda e rarefatta. E’ una poesia che ha mani forti e dita delicate: proprio come accade nella vita ai non comuni adulti capaci di tornare, nelle occasioni più importanti, un po’ bambini. Una poesia di natura viva e di rarità mai virtuosistiche, di profonda semplicità di sentire e di cultura raffinata: come negli apax, inversioni e preziosismi altamente espressivi:

Le scarpe non combaciano
col segno dei tuoi passi.
Forse pensavi ad altro
tesi mentre stringevi
i lacci o forse scalza.
Eri a comporre danze
fintando umori lievi (p. 11).
Muto, come il ciclone del silenzio,
il pesce arcobaleno che si tuffa
tra il poco che rimane dello stile
di nuvole goccianti su un cortile
e sull’umida quiete di quel secchio
dove un sasso s’attende che riaffiori (p. 22).
Ne vagheggio la guazza
che, lenta, disincagli
il rosolaccio
sì che, intatta, la messe
del mattino si ripigli
la funzione (p. 28).

Le stesse considerazioni valgono per le rime, preziose anch’esse, ma come per felice caso; spesso al mezzo, molte volte assonanzate. E’ paradigmatica questa breve lirica:
Là c’è un tranquillo azzurro
e, di passaggio,
qualche nuvola ballerina
il chiaro e il rosso d’uovo, l’aria
che assorbi, freschi ogni mattina, senza storia.
Là c’è un fanciullo (e arguto) incanto
e, per intanto, mi par vero
il libro delle fate (p. 10).
Non vi è mai concessione a sperimentalismi d’alcun tipo; il canale di comunicazione più intenso con il mondo esterno rimane la vista, come dimostra anche l’interesse recente per il “commento poetico” alle opere d’arte, nelle quali Isetta è capace d’entrare con la maestria di uno sguardo potente ed invisibile. Isetta non descrive, né mai si sovrappone; entra nel quadro e ne percepisce l’aura, il segreto lasciato intatto dall’insulto del tempo e dal divenire della storia. La voce più immediatamente riconoscibile in quest’enciclopedia poetica è Montale, ma con una tonalità marcatamente più morbida, vorrei quasi dire più “femminile” rispetto al poeta ligure. In tale direzione (di citazione voluta, non d’ingenuo calco o stereotipata criptomnesia) devono essere letti i montalismi della raccolta: due per tutti, scaglie e beccheggia (p. 13), e alcuni altri, più indiretti e celati. Il risultato è una poesia senza gravità (p. 52), ma non per questo senza storia e, soprattutto, senza calore. Una poesia che sulla vita non può dare risposte definitive, ma solo congetture, come congettura è il tempo che ci unisce e separa dagli astri già morti, da
quel grumo di stelle
che ora si va spegnendo (p. 52).
E che arriva
leggera, senza
alcun bisogno,
come primavera (p. 29).
Alessandra Paganardi