il profeta



Tra le tantissime edizioni vi proponiamo:
Il profeta
di Kalhil Gibran
Piemme, 2004
(prima edizione originale: New York, 1923)

€ 7.90

“Profeta” dal greco “pros femì”, “parlo a, da parte di”… una voce che alcuni dicono appartenga ai mistici, agli illuminati, ma che potrebbe essere quella della coscienza che rivela noi a noi stessi, che mette a fuoco la verità, altro termine che, nell’ etimologia greca, ha il significato di “togliere il velo”: “alètheia”. E proprio con una rivelazione che rimanda figurativamente ad un’ immagine mediorientale, la danza dei sette veli, si apre una storia di separazione: il popolo di Orphalese, (la suggestione mi è indotta dal nome del villaggio immaginario), sta per divenire “orfano” della sua guida spirituale: “muto era il nostro amore e con veli fu velato. Eppure, ora, esso a te grida e a te vorrebbe rivelarsi.” Questa la cornice che fa da intarsio al lavoro del poeta libanese Kahlil Gibran… e verrebbe da chiedersi perché l’autore abbia cominciato la sua storia dalla fine anziché dal principio, dall’ “addio” piuttosto che dal “benvenuto”. Ma la risposta è forse contenuta nel paragrafo dedicato all’amicizia: “quando lasciate l’amico non rattristatevi. Ciò che più amate di lui può sembrarvi più chiaro durante la sua assenza, come la montagna allo scalatore appare più nitida dal piano.”
Un libro di massime, di riflessioni, di meditazioni da guru indiano scritte con la levità e l’ efficacia di una prosa lirica intensa. Le domande che gli abitanti di Orphalese rivolgono al profeta in partenza sono su temi sublimi ed allo stesso tempo quotidiani. D’altra parte la fusione dei “contraries”, (che lascia vagare la mente su sentieri intertestuali riconducendola alla peculiarità della poetica di Blake), viene riproposta da Gibran in espressioni quali: “Quanto più il dolore incide in profondità nel vostro essere tanta più gioia potrete contenere […]. E il liuto che calma il vostro spirito non è lo stesso legno scavato dai coltelli? Quando siete felici guardate nelle profondità del vostro cuore e scoprirete che ciò che ora vi sta dando gioia è soltanto ciò che prima vi ha dato dispiacere. Quando siete addolorati guardate nuovamente nel vostro cuore e vedrete che in verità voi state piangendo per ciò che prima era la vostra delizia” oppure “Voi vorreste conoscere il segreto della morte. Ma come potrete scoprirlo se non lo cercate nel cuore della vita?”.
La ricerca della totalità dell’esperienza è nell’accostamento dei complementari come per un quadro di cui la teoria pittorica esalti la giustapposizione policroma. Complementari ad esempio sono passione e ragione: “il timone e le vele della vostra anima navigatrice. Se le vele, o il timone, si spezzano voi non potrete che essere sballottati e portati alla deriva, oppure restare fermi in mezzo al mare. Poiché la ragione che domina da sola è una forza limitante; e la passione trascurata è una fiamma che pian piano si consuma fino a distruggersi.”
Ogni affermazione è una sentenza ex cathedra: “E non pensate di poter dirigere il corso dell’amore, perché è l’amore, se vi trova degni, a dirigere il vostro corso.”
Una saggezza schietta e semplice, tanto semplice da rischiare l’ingenuità e che tuttavia non ha ancora smesso di commuovere, sostenere, ammaestrare il pascoliano “fanciullo” in ognuno di noi, il quale insaziabilmente pone nuove domande…

Esposto Ultimo Eva Maria

Le vie meno battute dall'amore - o semplicemente le più nascoste -


Lame e affini
di Susanna Trossero
Perugia, 2008, Graphe.it

Pagg. 95
€ 10.00

L’amore e le sue vie meno percorse sono il costante sfondo degli otto racconti contenuti in Lame e affini, ultima opera di Susanna Trossero. Contrariamente a quanto si possa ipotizzare frettolosamente, il titolo non allude a chissà quali pratiche erotiche, ma a un meccanismo più sottile, una serie di lame che riescono a sminuzzare o a levigare gli animi innamorati, ledendo o adattando lo spirito alla situazione. Sempre, l’amore – o un suo spettro – innesca una serie di trasformazioni, più o meno evidenti.
Per darvene un semplice assaggio, vi riassumerò brevemente (e senza svelare troppo della trama) i primi racconti. Si inizia con lo sconvolgente Angeli metropolitani, in cui un narratore maschile racconta in prima persona un incontro fatale con una bibliotecaria: avvenente e affascinante, sembra incarnare il prototipo della donna perfetta, a proprio agio in una bellezza non esibita, ma quiescente sotto vestiti comuni. Mai il lettore s’aspetterebbe la scoperta che turberà e sorprenderà il protagonista, dietro una porta chiusa con evidenti fremiti d’attesa.
Più tradizionale è il secondo racconto, Oliviero, dove una narratrice in prima persona analizza quel drammatico “do ut des” che domina l’amore mercificato. Tuttavia, un incontro inaspettato – con Oliviero, appunto – sembra incrinare l’apatia con cui la donna calcola ogni dettaglio delle sue relazioni ad alto prezzo. Le sicurezze personali vacillano, o almeno sembrano vacillare.
Di grande intensità, Senilità è un testo composito, costituito da una prima pagina di diario che un’anziana dedica al compagno, e da una narrazione finale da parte di una amica dell’ospizio. Senza mai incorrere nel rischio del patetico, si delinea qui con grande delicatezza il percorso di due anime che hanno fatto del sesso l’apoteosi del loro amore, così vero.
Ancora molto si potrebbe dire sui cinque restanti racconti, ma credo che uno su tutti dimostri la scioltezza della penna disinibita e delle emozioni di Susanna Trossero: l’ultimo, intitolato Anime gemelle, riprende uno dei temi della letteratura classica, ovvero l’incesto. Una relazione torbida agli occhi della gente, pura per i protagonisti, unisce due gemelli precocemente separati. Anche qui, l’autrice osserva con imparzialità, lascia che siano i suoi personaggi a prendere voce, senza intromettersi con giudizi da benpensante. Al contrario, sembra accompagnare i suoi stessi personaggi con una curiosità sana, nonostante il tema forte di alcuni racconti; e pazienta, fino alla fine, con lo stesso stile chiaro che già avevamo incontrato nel precedente Nella tana dell’orco e altre storie. Dunque, una prova che dimostra senza dubbio la versatilità senza limiti di Susanna Trossero.

GMG

Vuoi conoscere qualcosa di Susanna? Leggi la nostra intervista.

Maigret e una pazza


George Simenon
La pazza di Itteville
Milano, Adelphi 2008, 66 pg.
5.50 euro


“Che sarebbe molto più facile se si trattasse di un romanzo! Perchè qui, come in tutti i casi polizieschi reali, non c' è il minimo indizio, o se c' è non prova un bel niente...”

“Proprio in quel momento la ragazza stava scendendo le scale con un passo lento, ondeggiante, quasi ieratico.
Indossava un abito di seta nera molto aderente, che le disegnava i fianchi e il seno.
La folta chioma era di un biondo dai riflessi ramati”

In una notte piovosa e di vento, nella campagna francese, un uomo in bicicletta vede una donna gemere al bordo della strada: è piegata sul corpo di un uomo morto. Il fanale della bicicletta illumina il volto della salma: è il dottor Canut! Il celebre medico dirige una clinica per malati di mente nei dintorni del luogo del misfatto. Allora l' uomo con la bicicletta, che poi è il direttore dell' ufficio postale locale, in preda al panico, corre alla polizia, e ritornando sul luogo del delitto incontra ancora la donna curva sulla salma, ma il cadavere non è più quello del dottor Canut, è quello di un' altra persona!!!
Per svelare queste misteriose sostituzioni di cadaveri indaga il commissario G.7, alle prese con un medico redivivo, compassato, altolocato, e irreprensibile, e una giovane donna bellissima e sensuale, ma completamente demente, “il corpo di una donna e la testa di una bambina”.

Chiunque voglia leggere questa sessantina di pagine, una buona scorsa per un viaggio in treno di
media lunghezza e di monotona cantilena, troverà un ottimo Simenon, o meglio, un contraddittorio Simenon, perchè se da un lato la trama è di un' originalità, di una complessità (per l' analisi psicologica), notevoli, e lo stile è un quadro di atmosfere delle campagne francesi, brumose, infangate, belle di campi mossi e freschi, per mezzo di poche, rapide, pastose pennellate, dall' altro, sia lo stile che la trama sono tanto vorticosi, quanto incompiuti, finchè pare solo abbozzato un intento che avrebbe dato più ampi esiti, un romanzo intrecciato di fretta, in cui i lampi di bellezza si intravedono, e paiono ancora più belli perchè mossi da pochi tratti e perchè capaci di mostrare l' impatto delle loro possibilità inespresse.

“Fino all' anno scorso ho fatto uno strano mestiere, nel senso che ho fabbricato romanzi, sfornandone in media uno ogni tre giorni. Ovviamente si trattava di romanzi popolari, romanzi d' amore, d' avventura [...]”, da un' intervista a Simenon del 1931.

Ma chi è G.7? E perchè non c' è Maigret a risolvere il caso, dove è finito? Maigret non è ancora nato, o meglio, è appena nato. Mi spiego meglio. Simenon è uno degli autori più prolifici del novecento, la sua capacità di scrittura, dettata anche dalla necessità del guadagno, e dalla personale inclinazione alla spesa facile, si rese evidente sin dalla giovane età, e prima di “Pietro il Lettone”, il romanzo d' esordio del commissario Maigret (che in realtà però era già apparso in alcuni racconti), l' autore aveva sperimentato la sua vena poliziesca con altri detective, e alcuni sarebbero addirittura riusciti a convivere con il successo dirompente del ben più rinomato collega. G.7 forse fu proprio il preferito di Simenon, così beneducato, dai capelli ramati, e così lapidario nelle intuizioni. “La pazza di Itteville” doveva essere il primo romanzo di una collana di gialli in cui la narrazione veniva affiancata da scatti dei fotografi più in voga del momento. Ma la multimedialità dell' idea fu troppo innovativa, che fu un sonoro fiasco, e la collana si chiuse con il suo primo libro, che nelle intenzioni dell' autore doveva essere un salvataggio dal possibile fiasco del lancio del personaggio Maigret. Ed invece Maigret fu ben più fortunato nelle grazie dei lettori e, poco male, G.7 fu dimenticato. Consiglio la lettura di questo libro agli appassionati del giallo, non solo per la trama, di cui ho già delineato pregi ed interessi, ma per la splendida e puntuale appendice al testo, di Ena Marchi, dalla quale ho tratto tutte le informazioni circa le vicende editoriali.

Tredici idee per ragionare di economia


Tredici idee per ragionare di economia
Campiglio, Luigi
Il Mulino
Pagine 175

Obiettivo: fornire un quadro di insieme delle principali variabili economiche e gli strumenti basilari per cominciare, come si evince dal titolo stesso, a ragionare di economia. È un libricino (come ama chiamarlo il suo autore) che, per chi già gode di buone conoscenze in questo campo, può risultare un piacevole ripasso; un ottimo spunto per chi, invece, desideroso di approcciarsi alla materia, è sovente frenato dalla convinzione che sia un po’ troppo ostica. Ebbene, Luigi Campiglio è stato in grado di raccontare l’economia, reale e finanziaria, in modo semplice e, coadiuvato dall’introduzione di molti esempi presi dalla vita quotidiana, comprensibile a tutti.
Tredici capitoli dedicati ciascuno ad un tema specifico, ma senza mai perdere il senso di unitarietà della materia. Si parla allora del funzionamento dei mercati e del loro ruolo in quanto meccanismi decentrati e delegati, non tralasciando l’analisi della relazione biunivoca che sussiste tra economia e politica. Viene poi posta l’attenzione sui prezzi, distinguendoli in particolare tra privati e sociali; mentre un capitolo a parte viene dedicato all’inflazione (e al tasso di inflazione: la variazione percentuale dell’indice armonizzato dei prezzi al consumo), enucleandone le principali cause e conseguenze, e confrontandole con i problemi connessi con il fenomeno speculare, la deflazione. La discussione circa il livello dei prezzi, dei salari e della produttività è non solo molto interessante, ma soprattutto un utile ausilio per una chiara spiegazione della teoria di Ricardo riguardo ai vantaggi comparati, che sta alla base delle prime riflessioni sul funzionamento del commercio internazionale. Grande attenzione è poi dedicata alla definizione del Prodotto Interno Lordo, nonché delle relazioni principali di contabilità nazionale, che fanno salva l’identità tra domanda aggregata e offerta aggregata; all’interno dello stesso capitolo si parla anche del processo circolare del reddito, concentrandosi dunque sul mercato dei beni e del lavoro, e dei cicli economici, citando le varie teorie circa le cause scatenanti di questi periodici scostamenti dal trend statistico. Importanti poi i capitoli dedicati alla politica fiscale, alla politica monetaria e ai tassi di interesse, in relazione ai quali è stato sottolineato il ruolo cruciale della Banca Centrale, specialmente in periodi di crisi come quello che stiamo vivendo oggi. Chiaramente non potevano mancare delle pagine dedicate ad un tema attualissimo come quello della globalizzazione, che viene analizzato un po’ in tutti i suoi aspetti.
Una lettura che consiglio e che mi è stata molto utile, in quanto mi ha permesso di rispolverare dei concetti basilari e non, inerenti al mio ciclo di studi, legandoli insieme in un quadro generale davvero puntuale.

Il doloroso cammino di crescita dell'adolescente moraviano


Agostino
di Alberto Moravia
Milano, Bompiani Tascabili, 2007
con un’introduzione di G. Dego, bibliografia (minima) di T. Tornitore e cronologia di E. Romano

1^ edizione: 1945
pp. 126
€ 7.80

Nonostante il successo già conclamato di Moravia nella società intellettuale dell’epoca, questo romanzo breve è uscito, nel 1943, in un’edizioncina di sole 500 copie (presso l’editore romano Documento): Moravia non aveva ricevuto l’autorizzazione. E quando viene ristampata per Bompiani nel 1945, ancora l’opera deve aver destato un certo scalpore in un’Italia drammaticamente segnata dalla guerra, radicata sui valori della tradizione. E dunque, non subito si afferma quello che è considerato uno dei romanzi di formazione più importanti del Novecento, ma dopo un primo calvario di difficoltà editoriali. Ciò non toglie che se ne interessino presto importanti intellettuali, come Gadda, che nel suo I viaggi, la morte, così riassume la trama: “E’ l’incontro di un ragazzo tredicenne, di famiglia ‘civile’, Agostino, coi fatti e coi problemi del sesso. Figlio unico di madre vedova (e piacente), Agostino ‘subisce’ la scoperta del sesso”.
Il giovanissimo e sprovveduto Agostino si trova, infatti, a condividere con la bella madre una vacanza segnata da molte dolorose e, al tempo stesso, desiderate trasformazioni. Così, l’iniziale orgoglio per l’ammirazione che tutti in spiaggia dimostravano alla madre, crolla in una fastidiosa curiosità, a tratti morbosa, quando Agostino scopre la relazione che la donna intrattiene con un ragazzo locale. Gli stessi gesti quotidiani della madre, la spontaneità con cui si sveste e si sistema davanti ad Agostino vengono da lui vissuti con un nuovo fastidio: la madre è anche donna, e questa femminilità è difficile da accettare. D’altra parte, la donna non fa nulla per aiutare il figlio: dimostra una (forse ingenua) insensibilità nei confronti del ragazzo, trattato sempre come un bambino, e, pertanto, presente durante alcune gite in barca tra la madre e il nuovo compagno.
Ad aprire maggiormente gli occhi ad Agostino, con la brutalità chi conosce troppo presto le cose del mondo e le travisa di conseguenza, arrivano i ragazzi della banda di Saro: tutti figli di marinai o bagnini, poveri e già troppo grandi per la loro età, si divertono davanti all’innocenza di Agostino. Innocenza che il ragazzo vive come una colpa: “Agostino, al sentirsi chiamare innocente, fremette tutto di ripugnanza; come a vedersi lanciare addosso un cencio sporco e non potere liberarsene” (p. 14). Sembrerebbe impossibile conciliare le maniere educate di Agostino con i pugni dei nuovi amici, ma è proprio l’alterità di questo mondo così immediato e prima conosciuto solo nelle fantasie, ad attrarre un Agostino in cui è viva e forte la componente masochistica: vive con dolore – ma sempre un dolore trattenuto, tutto interiore – i gesti sempre astiosi e violenti degli amici, che lo considerano la mosca bianca del gruppo, in quanto rappresentante della borghesia. Non manca infatti, come ha rilevato F. Flora, una intensa nota sociale in questo romanzo: la disparità sociale, economica e culturale è un forte elemento distanziante. Mai Agostino sarà accettato, ma anzi, la sua gita in barca con il capobanda adulto e omosessuale, Saro, farà sì che tutti accusino l’inconsapevole Agostino di pederastia. Nulla di più lontano dal vero, ma Agostino continuerà a sentire questo peso, fino a un ultimo tentativo di riscatto, purtroppo mancato.

Nello scabro ed essenziale stile moraviano, ritroviamo la psicologia del ragazzo, spettatore curioso e outsider contro il suo volere. La sofferenza così intensa, ma mai compresa dai personaggi, fa sì che l’inadeguatezza regni sovrana. Sovrana crudele di egoismi sadici.

GMG

Anna Karenina, il romanzo della Russia

Anna Karenina
di Lev N. Tolstoj

Prima edizione: 1877

Quando Lèvin Kostantin Dimitric la vede sulla pista, Kitty continua a pattinare con disinvoltura, come in un ballo, quasi che il mondo, e Mosca, e tutti gli uomini, fossero lì per lei, e tracciassero per lei disegni sul ghiaccio. A Levin brillano gli occhi nel vederla danzare nel freddo cristallino di una Mosca che un tempo aveva frequentato, aveva creduto fosse la vita e il centro del mondo, e che ora rigetta, come il covo più putrido e malsano delle corruzioni, e degli ozi aristocratici.. Ma per Kitty ci sono i balli dell' alta società, ci sono tutte quelle luci, quelle danze, quel gusto nel vestirsi e nel mostrarsi bella tipico della sua età, e per Kittie c' è Vronsky, il giovane ufficiale della guardia, bello e furbo, quanto ambizioso di carriera. E per Vronsky ci sono le corse di cavalli, la vanità di essere amato da una donna, e il gusto superficiale della manipolazione dei sentimenti come in un gioco, come in un dominio del signore sul servo. Ma quando Anna Karenina da San Pietroburgo su quel treno sbuffante nella notte polare giunge a Mosca per rincuorare la cognata, tradita dal marito, così inserito nell' ipocrita alta società russa da da volersi trovare amanti sparse qua e là per i caffè e i teatri, qualcosa cambia, tutto cambia, per Levin, per Vronsky, per Anna, per Kitty. Le scelte esistenziali dei personaggi fanno sorgere in loro lentamente, ma inesorabilmente, nuove forme di coscienza, nuove visioni del mondo, l' annichilimento delle precedenti, fino a condurre ad esiti tragici e imprevisti all' inizio del cammino. L' amore tra Anna e Vronsky è infatti un amore che l' incurvata società russa di metà ottocento non può accettare, non è tollerabile che una donna sposata rompa la sua unione con un alto funzionario dello zar e si unisca nuovamente in matrimonio. Questa donna dovrà vivere lontano dalla città, dovrà essere umiliata in ogni modo in città, dalle donne, dai nobili, da tutti, non avrà alcun diritto di ricongiungimento con il figlio, non avrà diritto ad alcuna forma di pietà, se non a quella di un cristianesimo sclerotizzato, per cui pietà è l' allontanamento del figlio dalla madre per il bene del figlio e della madre, l' impossibilità del divorzio, per l' impossibilità di rottura di un' unione santa di fronte a Dio. Chiunque si opponga alle convenzioni dominanti della società paga il fio di questa ribellione con ripercussioni di grado pari all' intensità della rivolta. Anna Karenina è romanzo di dicotomie, di opposizioni: ci sono persone che riflettono sulla propria vita e che scelgono secondo il loro giudizio, non secondo ciò che le convenienze sociali impongono. Questo è il concetto di vita autentica, secondo Tolstoj. Ma queste scelte sono cammini pericolosi, perchè, invece di seguire le regole non scritte della società, invece di conformare la propria vita ad esse, ricercano un andamento loro proprio, un movimento, ed un percorso autonomo. Levin, Vronsky e Anna Karenina dal momento del loro incontro, sono persone che decidono di vivere in questo modo, mutando un destino già tracciato e sicuro, con uno tutto da tracciare, più vero, ma tragico. Non vi è nel romanzo solo questa opposizione, ma anche quella tra la città, luogo fisico e metafisico della corruzione e dell' ozio vacuo, rispetto alla campagna, come simbolo della virtù e della salute, ma anche quella tra un modo protervo, freddo, imposto, di vivere la religione, intesa come necessaria correlazione del potere, e dunque il cristianesimo, ed un modo sincero e aperto verso la religione, che qui diventa sbocco necessario di tutte le esigenze della vita, e sincero slancio vitale di esondante energia. Ma poiché il romanzo fa del realismo il suo stile e la sua sostanza, in esso non vi sono i bianchi e i neri, tagliati di netto, ma gli uni si confondono negli altri, in tonalità di grigi imprevisti, così come nella vita nei caratteri delle persone convivono forze di varia potenza e contraddittorie, e le une combattono nell' energia degli impulsi, con le altre, per il dominio. Il romanzo di Anna Karenina che più di tutti è Cinema, è carrellata di tratti, è inquadratura e primo piano, che più di tutti è pittura, è pennellate mosse, è cielo inquieto, denso e voluttuoso, e più di tutti è romanzo, è trama, e intreccio, e intrecci sottili, ramificazioni minuscole, ma mai disperse e sempre delineate, e più di tutti è teatro, è il romanzo più luminoso, ispirato, perchè imperfetto, titanico, michelangiolesco, nella misura in cui la vita vuole spaccare la pietra con la sua densa inquietudine, opporsi alla non-forma e liberarsi, nella sua verità, di Tolstoj, e di ogni letteratura.

Fabio Volo: tanto sincero da lasciare sgomenti


Il giorno in più
di Fabio Volo
Milano, Mondadori, 2007

pp. 287
€ 15.50

Ci sono libri che non nascono come capolavori indiscussi, né vogliono essere acclamati dalla critica. Eppure diventano bestseller, e non lo dico qui con l’aria polemica di chi studia letteratura ogni giorno e storce il naso davanti al successo delle vendite. Si tratta di una semplice presa di coscienza: Fabio Volo vende zeri e zeri di copie. E non posso che rendergliene il merito. Perché? È molto semplice: il suo libro diverte e addolcisce chiunque, anche i più cinici e i disillusi verso i sentimenti (e, perché no, verso i dj che pubblicano libri).

Si inizia con una di quelle storie che avranno sicuramente contagiato tutti, prima o poi: uno scambio di sguardi con una compagna di viaggio, in tram. Sempre, ogni giorno, per mesi. Le fantasie, più romantiche che erotiche, sembrano concretizzare delle immaginazioni zuccherose di ogni donna: piccoli gesti che rivelano passioni nascoste, disattenzioni scambiate per disinteresse, dubbi e ansie sorrette solo da ipotesi… Fino alla resa dei conti, fino a scoprire davanti al primo caffè insieme che la donna per tanto tempo silenziosamente ammirata, Michela, sta per trasferirsi a New York per lavoro. Dopo una serie di tentennamenti razionali, il protagonista, Giacomo, decide di raggiungerla, anche solo per capire quale tipo di legame li sconvolga. E lì scopre che Michela, oltre a contraccambiare l’attrazione iniziale, su un taccuino-diario annotava ogni giorno sul tram ciò che avveniva, quei piccoli passi avanti che li hanno portati a conoscersi. Non mancano i colpi di scena, né gli episodi decisamente divertenti, costellati qua e là da un po’ di humour vagamente da osteria. Ma poi Giacomo si risolleva in pagine e in gesti da inguaribile romantico, uno di quei romantici tanto originali da conquistare qualunque donna: non scade (quasi mai) nel patetico, coglie impreparati, crea atmosfere e situazioni senza subirle, ma godendosele appieno.

Il rituale del corteggiamento gli è più che mai chiaro, e non mancano flashback sulla sua vita amorosa: è un latin lover sui generis, non l’uomo perfetto che si rivela stucchevole, ma un uomo comune, con i suoi problemi e le preoccupazioni quotidiane, però vivacemente vitale. Un entusiasta, ecco, e non manca di entusiasmare chi gli sta vicino, ma è incapace di pensare a relazioni stabili – non è difficile intravvedere dai suoi racconti come abbia pesato su di lui un’infanzia con una madre castrante e ossessiva e un padre sparito. Proprio per questo, è originale e di grande perspicacia la proposta di Michela, ovvero di vivere i nove giorni rimanenti della permanenza di Giacomo a NY come una vera e propria relazione a termine: con la partenza, anche la storia si sarebbe troncata. Forse qui fioccano pagine un po’ troppo melense, ma è tanto gradevole la lettura così scorrevole e tanta la curiosità, che passano in secondo piano i dialoghi vagamente naif. Inutile dire che alcuni imprevisti movimenteranno la trama, per poi approdare a un finale da commediola americana. Ma in pieno stile italiano.

Confesso che, sentendomi coinvolta dalla trama durante la lettura, ho pensato di affidarmi ai sondaggi: le risposte sono sempre state unanimi, “Fabio non è uno scrittore, ma è così sincero che sembra di farsi una chiacchierata tra amici”, “Giacomo piace perché è un uomo che entra nella testa delle donne”, “una favola dei giorni nostri”, e potrei proseguire… Resta il fatto che davanti a pagine che sembrano trasudare tanta sincerità – pur ammettendo difetti stilistici e salti logici -, nessuno riesce a sparare a zero. Fabio Volo in questo libro è disarmante, e disarma con un sorriso ammiccante che lo rende non campione di scrittura, ma senz'altro campione di comunicazione.

GMG

I nostri auguri di buon anno con Hermann Hesse


H. Hesse
Klein e Wagner
1919
trad. di Francesca Ricci
edizioni Newton
pagg.90 ca

Mi arrogo l'onore di augurarvi a nome di tutto lo staff di Critica Letteraria un felicissimo 2oo9, che possa farci dimenticare i dolori e le meraviglie dell'anno appena trascorso e proporci nuovi momenti, migliori di quelli precedenti ed il tutto in una ritrovata ottica di rinnovamento e progresso personale. Però sarebbero tutte parole sterili e prive di solide radici se non le accompagnassi all'invito alla lettura delle righe di uno dei più grandi narratori del Novecento, che mi permetto di commentare per voi lettori. L'edizione che mi è capitata tra le mani è ormai fuori commercio da parecchio, ed io stesso l'ho reperita in una libreria dell'usato; non credo però che sarà difficile trovare questo splendido pamphlet narrativo antologizzato tra le opere maggiori dello scrittore tedesco. Entriamo però ora nel vivo della questione. Il titolo, per chi mastica il tedesco, espone ad una prima vista un primo dissidio interno alla vicenda: Klein, corrispondente tedesco dell'italiano "Piccino", e Wagner, il grande compositore romantico, coinvolto fino alla collottola in un titanismo eroico e imponente come in un quadro di Turner. Da qui lo scisma interiore del protagonista che dà vita a tutta la trama: conquistarsi una vita grande ed imponente o lasciarsi relegare nel ruolo di semplice spettatore del mondo? Abbandonarsi alla maschera di felicità dell'uomo borghese o gettarsi senza ritegno nei propri desideri e istinti più profondi? L'incipit, a scanso di equivoci riassume brevemente ciò che era stata la vita dell'impiegato Klein fino al momento dell'esplosione di questo dissidio, l'istante del divorzio (e scusatemi se vado a scomodare il signor Catullo!) è impulsivo e liberatorio allo stesso tempo, una reazione troppo a lungo repressa che si fa strada a calci e pugni nella mente frastornata del protagonista. Ma, nel treno che lo porta via e nei luoghi che toccherà a sud della sua Germania, riacquista lo stato di lucida calma, in un viaggio che è un semplice trasferimento di ambientazioni, nel moderato processo di consapevolezza dell'essere (e qui fa capolino, in quell'attimo prima di leggere la parola successiva, il signor Kundera e non senza ragione...) in un limbo. Una situazione di equilibrio instabile, dove basta poco per far pendere l'ago della bilancia del raziocinio umano in un senso o nell'altro. Klein, come sottolinea Hesse in una forma strana di affettuosa paternità, lotta con il suo demone. E chi non si ricorda il demone socratico? Quella coscienza interiore, lo spirito guida di ognuno di noi che in teoria dovrebbe scortarci verso i lidi migliori, gli anfratti più sicuri dei nostri compotamenti? Il demone che in questa sede si combatte è la coscienza borghese ordinaria che porrà le basi del capitalismo moderno. Gli istinti primordiali, l'uomo che baratta la libertà con la sua sicurezza... Sarà anche da questa fonte che avranno attinto le loro ideologie Max Weber ed Herbert Marcuse? Io dico di sì. Le conclusioni che trae Hesse sotto le mentite spoglie di Klein sono sorprendenti. Finalmente qualcuno che oltre a porsi problemi è capace anche di risolverli! Partendo dalla generale condizione di debolezza dell'uomo in contrasto alle teorie correnti del più superomista Nietszche, la lunga e dolorosa e difficoltosa disamina interiore approda a... Non vi rivelo il finale e la soluzione sospesa di una querelle apparentemente senza fine, ma l'occasione a questo punto mi è ghiotta per invitarvi sia a leggere queste stupende pagine dense di riflessioni pregnanti che si dinoccolano tra monti, laghi , casinò e tre donne diverse; sia a non rimanere imprigionati nella gabbia del perbenismo, dell'esasperato rispetto delle regole fin quasi a perdervi in una maschera che non nasconde niente. Ma non nasconde niente perché dietro di essa è scomparso l'individuo a favore del personaggio plasmato dalla società, come l'armatura vuota del "Cavaliere Inesistente" del signor Italo Calvino. E allora che questo 2oo9 possa darvi l'occasione di ritrovare il vostro "sé" impalpabile e trascendente, a scanso di ogni ipocrisia o plagio dettato dall'esterno, nella consapevolezza del bisogno estremo di rinnovamento del mondo nel quale viviamo. Una società più autentica è possibile, questa è la nostra sfida.

Buon 2oo9 da tutta la redazione!