di Ruska Jorjoliani
Italo Svevo, ottobre 2025
€ 15,20 (cartaceo)
Ardesia, ultimo romanzo di Ruska Jorjoliani, autrice di origini georgiane ma da anni di adozione italiana, si presenta come un’opera densa di immagini ed emotività che conferma l’autrice come una delle voci più raffinate del panorama europeo contemporaneo. In questo romanzo, tanto intenso quanto, in realtà, estremamente breve, Jorjoliani si muove lungo il sottile confine che separa il reale dal simbolico: in un’opera dalla trama tanto scarna e quanto mai semplice e dove è la riflessione il cardine della narrazione, l’autrice costruisce un mondo dal sapore autenticamente evocativo.
Il romanzo, che si sviluppa attorno a
una costellazione di personaggi che vivono delle sfumature e dei dettagli dati dalla
forte caratterizzazione emotiva del momento narrato, non ha una narrazione tradizionale, ma si affastella su una costellazione
di prospettive e sentimenti che si richiamano, si scontrano e infine si
completano. La dimensione emotiva, pur non gridata, è sempre in movimento:
sotto la superficie calma dei dialoghi, il lettore percepisce un lavorio
costante, una tensione che raramente si scioglie completamente.
«Ma come?», guardo con insistenza lo zio. «Io sapevo che al bisnonno mancava così tanto la famiglia, dopo anni passati lontano da casa, che aveva corso il rischio ed era tornato».
Il vicino scoppia a ridere
«Non è andata così?»
«Sì, e stava pure portando delle caramelle ai figli», insiste quello. […]
E io che mi ero costruita tutto un altro racconto: lui, innamoratissimo della moglie, non resiste e torna. La milizia sa bene che un uomo come lui non dimentica mai la strada di casa, che prima o poi farà un passo falso, e lo attende al varco. (p. 53)
La protagonista, Jorjoliani
stessa, insieme a una serie di personaggi dipinti né come eroi né come antieroi
– uno zio, un cugino, due amici e un vicino incredibilmente insensibile –, si
trova coinvolta nella riesumazione del bisnonno, ucciso neanche
trentenne in circostante tragiche e, a circa un secolo dalla sua morte, ancora
avvolte dal mistero. Quello che avremo, allora, sarà un viaggio all’interno di
un universo fatto di superfici incise, di memorie sedimentate e di
zone d’ombra squarciate solo da un gesto o da una voce.
Menzione d’onore va alla lingua
dell’autrice: Jorjoliani ha uno stile riconoscibile, fatto di ritmi lenti e pause
significative, di immagini che non ricercano mai l’effetto a tutti i costi ma
lasciano comunque un’eco profonda. Nel romanzo l’uso della parola è misurato
e ogni termine pare scelto per il suo peso specifico e per l'immaginario che ogni parola porta con sé. È una scrittura che
invita alla lentezza, alla lettura attenta, e che premia il lettore con una
ricchezza di sfumature che emergono progressivamente.
Il risultato sarà una storia in
cui il lettore, quasi attore comprimario dell’evento, è invitato a colmare vuoti,
a intuire ciò che non viene detto, a farsi carico delle omissioni tanto quanto
delle rivelazioni. E la scrittura dell’autrice, reso veicolo primario per il
raggiungimento di questo effetto, è estremamente calibrata: ogni frase appare
levigata, come se fosse stata passata davvero sulla pietra – l’ardesia – , e
ogni immagine sembra nascere da un lavoro di sottrazione più che di accumulo, in
una perfetta attività di labor limae.
Ci siamo, mi sa. È grande, leggermente ambrato, fronte convessa, sulla tempia destra quella che sembra una macchia incrostata oppure un buco. Accanto, staccata, spunta anche la mandibola. Le chiostre dei denti sono quasi perfette tranne che per i due incisivi superiori. Attraverso la fessura delle orbite pare fissarci con l’ostinata fierezza che lo aveva contraddistinto da vivo. Lui che aveva avuto un destino così insolito. Eppure quei due denti mancanti, quei vuoti, stanno lì a demistificare ogni cosa, sembrano una battuta di spirito, un invito a tirare un sospiro di sollievo, a non prenderci troppo sul serio. Questa è bella bisnonno mio, questa è proprio bella. (p. 56)
Centrale, senza alcun dubbio, tanto
da dare il titolo all’intero romanzo, è la simbologia legata all’ardesia,
pietra nella quale verrà ritrovato inumato il bisnonno. È il materiale con cui
si costruiscono i tetti e le lavagne, ma è anche ciò che resiste al tempo,
ciò che conserva graffi e incisioni, trasformandoli in memoria. Questo
elemento materico permette a Jorjoliani di parlare della persistenza delle
ferite e del passato, del modo in cui il tempo si deposita sugli individui come polvere
sottile.
In un’intervista rilasciata da
Ruska Jorjoliani nel 2020, alla domanda sul perché scegliesse l’italiano per scrivere
le proprie opere, l’autrice diceva:
La lingua modella le nostre vite. È il carattere che ci condiziona più di ogni altra cosa, che si insinua nei più riposti meandri della nostra personalità, che fa la nostra personalità. La lingua che abitiamo ci appartiene più di ogni altra cosa. O ci dà l’illusione di appartenerci più di ogni altra cosa, perché noi della lingua non possiamo appropriarci: non è qualcosa di materiale, un oggetto; siamo noi la lingua, ne siamo parte, ne facciamo parte. Eppure, è una bellissima illusione credere convintamente che ci appartenga per quel breve lasso di tempo che sono le nostre vite.
In Ardesia, allo stesso
modo, con la forma alla quale l’autrice ci ha abituati, Jorjoliani fa un
processo simile: riappropriarsi delle proprie origini attraverso la
riesumazione del bisnonno, in un viaggio nel tempo metaforico. Ardesia si
afferma, allora, come un romanzo sulla memoria, sulla fragilità e sulla riappropriazione
del proprio passato e delle proprie origini.
E all’improvviso mi viene da piangere. Perché non provo niente. Né ribrezzo, né commozione, niente. Tocco con le mani il cranio che è la ragione fisica anche del mio, una giuntura essenziale tra il vuoto universale e la mia interezza individuale, che non troppi anni prima ha ospitato l’energia il cui effetto diretto è la mia presenza qui e adesso, che ha in qualche modo definito la configurazione del mio cammino, oltre che del suo. (p. 61)
In conclusione, Ardesia è
un’opera intensa ed elegante, che conferma la maturità narrativa di Ruska
Jorjoliani. La sua capacità di lavorare con la materia viva del linguaggio e di
costruire un immaginario coerente, capace di fondere simbolico e
quotidiano, rende questo romanzo un viaggio intenso ed appagante. È un libro che si legge lentamente, che si assapora e che
continua a risuonare, come l’ardesia che, anche dopo essere stata toccata solo
una volta, mantiene il calore della mano che l’ha sfiorata.
