di David Holmes
Salani, novembre 2025
«Al mondo esterno probabilmente lo stuntman sembra un pazzo squilibrato. Una persona che non si preoccupa granché della propria incolumità e che si muove in un mondo di lustrini e glamour» (p. 21). È innegabile che leggendo la quasi totalità di Il ragazzo che è sopravvissuto di David Holmes il pensiero sia esattamente questo. Sfido oggi a trovare una persona che non sappia chi è Harry Potter, perfino la più babbana. Quello che però in molti non sanno è cos'è successo nel gennaio del 2009 a un ragazzo di venticinque anni chiamato David Holmes. L'autore stesso, anticipato da una sentita e affettuosa prefazione a cura di Daniel Radcliffe (interprete del maghetto nato dalla penna di J.K. Rowling), ce lo racconta con estrema precisione: quel fatidico giorno, durante le riprese della saga cinematografica, David Holmes si è rotto il collo, due vertebre e ha perso l'uso delle gambe, rimanendo paralizzato dal petto in giù. Ed è un miracolo, appunto, che come Harry Potter, egli sia sopravvissuto.
Questa storia tristemente e realmente accaduta però, non cerca né la compassione né il conforto da parte del lettore, ma anzi, se non fosse per la nuova condizione paralizzante, Holmes tornerebbe senza dubbio a fare lo stuntman, perché dai diciassette ai venticinque anni la sua identità e la sua intera esistenza ruotavano attorno al fatto di essere la controfigura di Harry Potter, e, anche se il dolore per gli schianti, i lanci e le acrobazie lo consumava, Holmes era un vero professionista e il dolore stesso era anche la sua linfa vitale, quel brivido di irresponsabilità che lo faceva sentire vivo e potente. L'intera narrazione è infatti un elogio all'amore per il proprio lavoro, interrotto così presto per un incidente che poteva essergli fatale.
Le controfigure, che siano uomini o donne, sono una razza a sé stante: la paura e lo stress ci scivolano addosso, perché considerarli seriamente come avversari non farebbe che causare un disastro (anche se io sono la prova vivente che la sfortuna può capitare a chiunque di noi). Per questo non ho mai ceduto al terrore come stuntman professionista e non cederò adesso come persona paralizzata dal petto in giù. Sotto molti aspetti la mia vita è più spaventosa adesso di quanto non fosse quando volavo sulle scope, combattevo Maghi Oscuri e mi aggrappavo al tetto di una macchina in corsa. (p. 29)
Durante le riprese della Camera dei segreti venni scaraventato da grandi altezze, sbattuto contro oggetti inanimati e sballottato per tutto lo studio come una bambola di stracci mentre il reparto speciale trasferiva le parole magiche di J.K. Rowling sul grande schermo. Era doloroso? Certo (correre a tutta velocità contro il muro di mattoni all'ingresso del binario nove e tra quarti insieme allo stuntman Tony Christian mi devastò). Mi importava? Neanche un po' (soprattutto perché adesso si vedono i ragazzini a King's Cross che fanno la stessa cosa). (pp. 138-139)
Mi trasferii nel bungalow, con il bagno speciale perfettamente ristrutturato e lo spazio appena sufficiente per muovermi con la sedia a rotolle. Il primo giorno fu memorabile per la sua stranezza. Superai la soglia di casa con la sedia a rotelle, a fatica, e mi spostai da una stanza all'altra meglio che potei, con l'aiuto di due assistenti personali. Con quella sedia, il bungalow, sembrava rimpicciolito. Riuscivo a malapena a girare su me stesso e la prima notte fu deciso che avrei dormito in un letto di fortuna in soggiorno, finchè il percorso a ostacoli che mi circondava non fosse stato messo in sicurezza per una persona che si muoveva su due ruote. [...] Per festeggiare il mio ritorno qualcuno aveva rollato un enorme spinello che venne passato in giro, la marijuana mi entrò in circolo e la mia mente agitata trovò una calma beatifica. Finalmente c'era tranquillità. I tremori muscolari che mi avevano scosso il corpo per tutto il giorno si fermarono e il dolore ai nervi scivolò via. (p. 236)
Con questo romanzo Holmes ci offre uno sguardo sincero e agghiacciante, per chi non è del settore, su ciò che significhi fare lo stuntman. I suoi stessi mentori, sin da quando era un ragazzino, l'hanno sempre spinto ad andare oltre i suoi limiti e a non fermarsi mai. Solo la morte faceva fermare le riprese, o in questo caso, una paralisi. Le donne poi rischiavano ancor di più nelle scene perché se dovevano girare anche solo una caduta dalle scale, non potevano indossare protezioni corporee, o nel montaggio delle scene del film si sarebbe visto. Il rischio è quello che potremmo definire il fil rouge di tutto il libro.
Sono stata attratta da questo libro non solo da fan di Harry Potter che voleva saperne di più sulla vicenda, ma ho fortemente voluto leggerlo perché a ventitré anni, in un incidente motociclistico, a un mio conoscente è toccato lo stesso destino. Il suo fisico è andato avanti, la sua mente è rimasta agli anni prima dell'incidente. Nel caso di Holmes invece, la sfrontatezza e l'orgoglio di essere stato uno dei migliori al mondo sono un fuoco ancora molto acceso in lui. L'autore afferma di aver iniziato una nuova vita da quel giorno: quella da adulto. Non prova risentimento verso nessuno, ha accettato la nuova condizione e ha anche girato un documentario sulla sua vita, a cui è anche parzialmente ispirato questo libro.
In questo libro non c'è magia, ma solo cruda realtà, raccontata con ironia e schiettezza dall'Holmes ancora ragazzino. Ciò che però è importante, è che questa storia sia stata divulgata, non importa se con l'esca di scoprire qualche retroscena sul mondo di Harry Potter, ma se non ci fosse stato questo richiamo, siamo sinceri, nessuno avrebbe letto il libro. Perciò, per questo, ben venga che si sia volutamente fatto riferimento alla saga, perché la forza d'animo di Holmes è un'ispirazione continua a non mollare mai e a trovare sempre il modo di far funzionare le cose, anche quando ci si è letteralmente rotti.
Carlotta Lini
