La letteratura ha così tanto da offrirci che a volte ci si potrebbe chiedere come si possa trattare una tematica o un genere già ampiamente battuti. Come si può avere successo con una nuova uscita, se i nostri modelli sono, per esempio, Henry James, Edgar Allan Poe o Agatha Christie? Ci si prova ugualmente, facendosi il segno della croce e magari aggiungendo una punta di originalità al tema. È questo il punto di partenza con cui Jeanette Winterson approccia alla sua raccolta di racconti La riva notturna del fiume.
L'autrice stende un'introduzione alla silloge, nella quale fornisce le dovute spiegazioni al lettore: i motivi per cui tratta temi legati al sovrannaturale; la ripresa dei modelli antecedenti, simbolo della tradizione del genere giallo, dell'orrore e del thriller; persino le sue impressioni personali rientrano nella spiegazione. L'intento di Winterson non è quello di allisciare il pelo di chi legge, né giustificarsi in anteprima per possibili omaggi o riprese di temi triti e ritriti. Si tratta di puro e semplice rispetto. Per il lettore e per i generi letterari qui ripresi. Si scopre, quindi, che il fascino esercitato sulla scrittrice da tematiche come la morte, il sovrannaturale, i fantasmi e lo spiritismo è autentico, e l'introduzione ce lo fa comprendere ancora meglio. Tuttavia, non c'è solo la curiosità per un tema dietro la scelta di esso, ma anche una domanda che sembra attanagliare Winterson e che tormenterà anche i protagonisti della raccolta di racconti: dopo la morte, cosa accade? A tale domanda, ognuno troverà la propria risposta.
La struttura di La riva notturna del fiume è divisa in quattro sezioni, al termine delle quali, in ognuna, vi è un capitolo siglato con le iniziali dell'autrice in cui lei stessa racconta alcuni suoi contatti con il mondo dei morti, con gli spiriti ed eventi inspiegabili della sua vita. Tuttavia, si potrebbe considerare anche un'altra partizione non scritta su carta ma comunque presente: quella tra la tradizione e la novità. Vi sono, infatti, dei racconti in cui Winterson è totalmente aderente al filone delle storie di fantasmi o dell'orrore, come in La casa avita, in cui la casa in questione è stregata, oppure nei due racconti collegati tra loro, La pelliccia e Gli stivali, in cui i due oggetti del titolo si impossessano di chi li indossa. Ma vi sono anche tratti di originalità evidente come nella sezione sui dispositivi tecnologici, in cui il metaverso e le realtà parallele assumono contorni inquietanti e perseguitano i poveri protagonisti.
Anche l'aggiunta di aneddoti personali è un tratto originale, anche perché ci aiuta a rispondere alla domanda più spontanea: perché nutrire il bisogno di parlare di fantasmi e spiriti, se la tradizione lo ha già fatto con grande successo? Evidentemente, da quel che emerge dalle sue storie personali, Winterson ha un notevole legame con il mondo dei morti e con il sovrannaturale, ed è profondamente convinta che non tutto sia come lo vediamo. Che non esista una realtà soltanto concreta e tangibile, ma ne esista anche un'altra che non consideriamo: «il nostro unico errore è ostinarci a rinominare la luce visibile – ciò che possiamo vedere – chiamandola "realtà"» (p. 229).
«La domanda è: che cosa si cela al di sotto?» (p. 46), si chiede il protagonista del racconto La casa avita, ma sembra che a interrogarsi sia Winterson stessa. L'impressione che questa raccolta di racconti restituisce al lettore, infatti, è proprio quella di un'indagine. Non è soltanto adatta al periodo autunnale, visti i temi, e per questo una buona scelta editoriale; acquista valore perché l'autrice ricerca spiegazioni complesse a fenomeni complessi, per non arrendersi allo scetticismo. Così, su questo fondamento confuso, si basano delle storie spesso ancora più confuse, in cui i protagonisti non comprendono, non sanno cosa fare, e si ritrovano a vagare con animo tormentato sempre negli stessi ambienti. C'è da dire, infatti, che va bene rispettare la tradizione, ma Winterson non si discosta molto dal solito tipo di storia: l'ambientazione è quasi sempre al chiuso, spesso in case stregate; l'aria è sempre rarefatta, c'è sempre la nebbia e accade tutto di notte.
C'è poco da dover spiegare: tutti questi elementi non sono altro che topoi, luoghi comuni, del genere dell'orrore, ma se fossero introdotti da uno stile teso, cupo, allora si avvertirebbe coerenza. Invece, per quanto evocativo e d'effetto – spesso grazie alla punteggiatura – lo stile non crea quasi mai una vera tensione narrativa, le pagine non vengono divorate come dovrebbe accadere con un genere come questo, e talvolta le narrazioni dell'orrore lasciano il posto a sentimentalismi disorientanti. Tutto sommato, però, l'esperimento di unire tratti tradizionali a tratti originali è ben riuscito e la silloge ci lascia con un ultimo intervento di Winterson che sembra aprire il genere letterario a nuovi scenari.
Camilla Elleboro