di Ennio Flaiano
a cura di Anna Longoni
Adelphi edizioni, agosto 2025
pp. 326
€ 16,00 (cartaceo)
Leggere Chiuso per noia oggi è come ascoltare un amico spiritoso che ci accompagna al cinema e smonta il film senza pietà. Se un film è brutto, Flaiano lo dice, con grazia, facendo ridere a volte, anche se sta parlando del suo regista preferito, ma Flaiano lo dice.
Con stile ironico e disincantato, con il suo tipico colpo di frusta finale, l’autore tira fuori la battuta che costringe a ripensare al film. D’altronde Flaiano non aveva perso il vizio: da recensore, sapeva mordere, ma con classe. Le recensioni infatti non sono commenti ma piccoli saggi, scritti con quella nonchalance che nasconde fatica e riflessione. L’ironia, il paradosso, la precisione lessicale: ogni frase pesa, spesso più del film che sta descrivendo.
Chiuso per noia (a cura di Anna Longoni), ultimo gioiellino Adelphi, raccoglie le recensioni scritte da Ennio Flaiano tra fascismo, boom economico e anni di celluloide patinata; e non è solo un’antologia di critiche cinematografiche, ma una mappa delle illusioni, delle vanità – e delle rare, luminose verità – del Novecento italiano, attuali e più pungenti che mai.
In poche parole, se amate il cinema, leggetelo. Se odiate il cinema, leggetelo lo stesso, per motivi diversi: in primis perché il cinema cambia, ma le illusioni umane, restano identiche.
La raccolta – pubblicata per la prima volta negli anni ’60 – si inserisce pienamente nella produzione di Ennio Flaiano, scrittore, sceneggiatore e intellettuale che ha raccontato l’Italia del dopoguerra con uno sguardo ironico, l’opera rispecchia infatti il clima di trasformazione sociale ed economica di quel periodo.
La “noia” del titolo non è semplice pigrizia, ma una condizione esistenziale: un vuoto interiore che nasce dall’incapacità di dare un senso autentico alla vita in un’epoca dominata da apparenza e superficialità. In tal senso, Flaiano usa l’ironia come strumento critico, per smascherare le ipocrisie del costume italiano: il conformismo borghese, l’opportunismo politico, la vuota retorica del progresso.
Il titolo riflette, in tal senso, un tema centrale: la noia come sintomo di un’epoca in cui i valori tradizionali si sgretolano e le nuove certezze non sono ancora state trovate.
Quello che stupisce è l’attualità sorprendente. Infatti, anche se le recensioni sono del passato, i problemi che Flaiano denuncia sono attuali: la superficialità del pubblico (o di chi lo crede tale), la comodità estetica, la propaganda, l’arte come segno distintivo più che come spinta verso qualcosa. Il cinema “confortevole” di ieri riverbera nel consumo culturale di oggi.
Flaiano, d’altronde, ha un debole nei confronti di Renoir, Ford, Chaplin, nei confronti di quelli che non sono solo film belli, ma sono esempi di “genio”. Motivo per cui, strizza l’occhio al grande spettatore e non lo nasconde, quello che non si lascia illudere facilmente, che veglia (o dovrebbe), che si interroga.
Leggere Chiuso per noia, oggi, è come guardarsi allo specchio e scoprire che, sotto la patina del progresso, siamo sempre gli stessi: confusi, vanitosi, un po’ ridicoli. Flaiano ci accompagna con il suo sorriso obliquo, non per consolarci ma per ricordarci che la vita, anche quando sembra noiosa, resta uno spettacolo degno di nota.
Chiuso per noia è un vero e proprio antidoto alla mediocrità culturale che dimostra che la noia può essere un’arte, ma soprattutto un esempio di critica che può, sì, essere alta come una riflessione filosofica, ma anche divertente come lo è battersi con i popcorn.
Isabella Corrado