Si amavano, quei due, si regalavano libri (p. 71)
Avete presente quei libri che sono in wishlist da tempo, che osservate di tanto in tanto aspettando il momento giusto per iniziarli? Ecco, nel mio caso per I pesci non chiudono gli occhi, di Erri De Luca, è andata esattamente così. Essendo uscito nel 2011, il libro è diventato negli anni un piccolo cult e, tra prestiti e consigli, più volte questo titolo ha incrociato la mia strada. E così, complice una citazione particolarmente significativa, ovvero quella che apre questa recensione, incrociata per l'ennesima volta, ho colto la palla al balzo e finalmente l'ho acquistato. La storia si snoda in un'estate particolare, quella in cui il protagonista compie dieci anni; la definisco particolare perché è lui stesso a dare una certa rilevanza a questo compleanno:
Avevo raggiunto i dieci anni, un groviglio d'infanzia ammutolita. Dieci anni era traguardo solenne, per la prima volta si scriveva l'età con doppia cifra. L'infanzia smette ufficialmente quando si aggiunge il primo zero agli anni. Smette ma non succede niente, si sta dentro lo stesso corpo di marmocchio inceppato dalle altre estati, rimescolato dentro e fermo fuori. Tenevo dieci anni. Per dire l'età, il verbo tenere è più preciso. Stavo in corpo imbozzolato e solo la testa cercava di forzarlo. (pp. 10-11)
Quindi una preadolescenza incipiente, che tra le onde del mare e i sassi appuntiti della spiaggia si fa trovare con i primi batticuori e le prime rivalità sotterranee. La storia infatti racconta di un primo amore, di un sentimento pulito e nuovo, un rimescolamento di ossa, fegato e reni, che scombussola e lascia intontiti. Complice la stessa spiaggia e il libro che la ragazza sta leggendo, i due iniziano a parlare e pian piano i discorsi si fanno sempre più profondi. Ma il cuore, si sa, è tiranno e può diventare ben presto teatro di brucianti rivalità. Così tre ragazzini della stessa età cercano di mettersi in mezzo e di allontanare il protagonista dalla ragazza, con conseguenze che però porteranno i due a legarsi ancora di più.
Al di là della vicenda, tuttavia, quello che definirei il dettaglio caratterizzante del libro sta, in realtà, in un'altra cosa, ovvero nella scrittura: tutt'altro che prosaica, ricrea un'eco poetica, in cui le parole si incatenano l'una all'altra a formare una sequela di significati metaforici e le parole si uniscono a formare quasi dei versi messi in prosa.
Ci sedemmo sulla sabbia vicini, spalla a spalla, non veniva voglia di parlare. Qualche voce usciva dalle stanze dei pescatori, dal mare no che faceva il solletico alla riva. "Ti piace l'amore?" chiese guardando dritto di fronte, dove si alzava la fiancata di una barca colorata di bianco e di una striscia azzurra. "Prima di questa estate lo leggevo nei libri e non capivo perché gli adulti si scaldavano tanto. Adesso lo so, fa succedere cambiamenti e alle persone piace essere cambiate. Non so se piace a me, però ce l'ho e prima non c'era." "Ce l'hai?" "Sì, mi sono accorto di avercelo. È cominciato dalla mano, la prima volta che me l'hai tenuta. Mantenere è il mio verbo preferito." (pp. 110-111)
Questo aspetto dona al racconto un'atmosfera magica, quasi mistica, in cui ogni singola parola viene scelta, evocata e pronunciata in tutta la sua potenza di significato. Anche la sintassi - frammentata, scarna, breve - potenzia questo effetto. La prosa è poetica e quasi onirica, ma alla stesso tempo - con una commistione peculiare - presenta una corporeità quasi dialettale (il libro è ambientato a Ischia) che si esplica nei verbi e nella scelta della costruzione sintattica. La diretta conseguenza è una particolare solennità, soprattutto nel racconto di alcune scene, che fa in modo che ciò che viene raccontato assuma una carica sacrale e immobile nel tempo. In particolare, poi, le scene finali in cui viene raccontato l'amore, i primi baci, il contatto delle mani, sono particolarmente poetiche e sognanti.
"Cose buffe dici. Sei innamorato di me?" "Si dice così? È cominciato dalla mano, che si è innamorata della tua. Poi si sono innamorate le ferite che si sono messe a guarire alla svelta, la sera che sei venuta in visita e mi hai toccato. Quando sei uscita dalla stanza stavo bene, mi sono alzato dal letto e il giorno dopo ero al mare." "Allora ti piace l'amore?" "È pericoloso. Ci scappano ferite e poi per la giustizia altre ferite. Non è una serenata al balcone, somiglia a una mareggiata di libeccio, strapazza il mare sopra, e sotto lo rimescola. Non lo so se mi piace." (pp. 111-112)
La prosa di De Luca in questo libro è molto lontana da quella che negli ultimi anni si trova sempre più spesso in giro, ovvero quella in cui si spiega tutto, per filo e per segno: cosa pensano i personaggi, quanto tempo passa tra un'azione e quella successiva, cosa accade punto per punto e quali sono le vicende precedenti ad una tale circostanza. In questo caso, invece, spesso è il lettore che deve seguire attivamente ciò che viene scritto sulla pagina, sincronizzando il proprio tempo a quello dell'autore: flashback, ricordi, salti temporali, sono facilmente ricostruibili ma non serviti dalla voce dello scrittore e ciò comporta la necessità di una massima attenzione e una capacità attiva di comprensione di ciò che accade.
Quindi, I pesci non chiudono gli occhi è un buon libro, capace di ricostruire con vivace immediatezza la scoperta di un amore, il primo, che incide e vivifica.
Valentina Zinnà