Seduti su un treno, posto finestrino. "Non era un mostro strano" di Gianni Montieri

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Non era un mostro strano
di Gianni Montieri
66thand2nd, giugno 2025

pp. 134
€ 17,00 (cartaceo)
€ 11,99 (e-book)

Leggo questo libro sul treno Regio Express 2158 Bozzolo-Milano che al mattino mi porta al lavoro. E anche sul Regio Express 2179 Milano-Bozzolo che alla sera mi riporta a casa. Che poi dire Regio ti dà l'idea di qualcosa di principesco, di lussuoso, degno di re e regine... ebbene no, tutt'altro, Regio è solo il diminutivo di Regionale... Se vi state chiedendo perché inizio una recensione raccontando del mezzo sul quale leggo il libro la risposta è che Non era un mostro strano (66thand2nd, 2025) è un libro che parla di treni. Treni che conducono al lavoro, in vacanza, in città, che accompagnano a incontrare amori e persone care, a volte anche treni che portano a certi appuntamenti con la Storia. Gianni Montieri, poeta, scrittore e giornalista, è un grande utilizzatore di treni e in questo libro di ricordi, esperienze, vita vissuta mette tutta la sua passione per questo mezzo.

Sono andato con il treno da una casa all'altra, da una vita all'altra. Ne ho presi di tutti i tipi, regionali scassati, interregionali, rapidi, frecce del Sud, passanti, urbani, suburbani, notturni, intercity, eurocity, eurostar, frecce bianche, frecce argento, frecce rosse, trenini di ferrovie sconosciute, littorine, antichi, moderni. (p. 11) 

Che poi il treno non è soltanto un mezzo di trasporto, ma un simbolo, un legame, un oggetto iconico che da sempre suscita ammirazione. Sedersi su un treno, qualunque esso sia, mette nella predisposizione di prepararsi a un viaggio che non è solo uno spostamento da un luogo all'altro, come accade con l'aereo, un mezzo che, per la maggior parte del tempo, non consente di vedere quale parte del mondo si sta percorrendo. Prendere posto nel sedile accanto al finestrino di un treno vuol dire prepararsi a guardare, a osservare, a rubare alla velocità istantanee di luoghi, visi, piccole stazioni. Io stessa adoro viaggiare in treno, anche da pendolare, e ho trovato in questo libro, che non è altro che una raccolta di momenti, una bella consonanza di sentimenti. La gioia che ho provato qualche tempo fa a salire, per un breve viaggio, sul mitico Settebello, il meraviglioso elettrotreno degli anni 60 di cui Montieri parla con ammirazione nel capitolo 11, è ancora intatta, la reputo una fortuna capitatami nella vita. 

Tutta la vita a guardare fuori dal finestrino. Noi che guardiamo la campagna, il mare, la montagna, le greggi al pascolo, i cavalli, i viadotti autostradali, i cavalcavia, auto, camion, tir, fattorie abbandonate, campanili sullo sfondo. Case. Tante case, vecchie e nuove, dismesse, abitate, circondate dal verde, circondate da niente. (p. 45)

Il libro racconta, per lo più, di esperienze vissute dall'autore: conversazioni con compagni di viaggio o con ferrovieri, soste, più o meno prolungate, in piccole stazioni che sembrano dimenticate da tutti ma che serbano incontri con persone incredibili nella loro genuinità, coincidenze prese per il rotto della cuffia, stazioni dismesse che raccontano di un passato importante, altre ancora che, invece, promettono un futuro mirabolante grazie a progetti che ne cambieranno i connotati, piccoli bar che offrono il conforto di un caffè a chi ha troppo tempo da aspettare, binari che si allungano all'infinito, banchine sovraffollate di persone in mezzo alle quali solo tu puoi riconoscere chi ti sta aspettando o chi ti viene incontro.

Ma c'è anche spazio per la Storia perché il treno, suo malgrado, è stato spesso protagonista di eventi che hanno segnato momenti epocali del nostro Paese (e non solo): basti pensare alla strage neofascista alla stazione di Bologna, il 2 agosto del 1980, che uccise 85 persone. Ancora oggi chi parte o cambia a Bologna può lanciare uno sguardo all'orologio ancora fermo alle 10.25 del mattino, ora dell'esplosione, o ai nomi di uomini, donne e bambini che quella vacanza tanto attesa non la cominciarono mai. Oppure si pensi a Balvano, il più grande disastro ferroviario italiano, sconosciuto ai più: oltre 500 persone morirono soffocate in un treno a carbone fermo in galleria, nel Potentino. Montieri si sofferma su questi momenti che videro protagonisti dei treni (altri ce ne sarebbero da raccontare, l'Italicus o il Rapido 904 per esempio). A Bozzolo, in questi giorni, si discute molto del recupero di un treno finito nel fiume Oglio nell'ottobre del 1944 e lì rimasto per tutti questi anni, una storia che, secondo me a Montieri piacerebbe molto approfondire (ma magari già la conosce), la storia della locomotiva fantasma: un treno tedesco, pieno di armi, doveva passare sul ponte che, nel Mantovano, univa Bozzolo a Marcaria,  reso pericolante dai bombardamenti degli Alleati. Due ferrovieri cremonesi furono costretti a condurre quel treno, ma il ponte, come i due manovratori avevano previsto, non resse e il treno finì nell'Oglio, portando con sé quattro carri-vagone, la locomotiva e le vite dei due ferrovieri. Una storia che è tornata alla ribalta grazie ai lavori del raddoppio ferroviario della linea Mantova-Milano, che renderebbero necessario il recupero del treno per la costruzione del nuovo ponte. Un carro è riaffiorato, ma la locomotiva non si trova, più di 80 anni sott'acqua l'hanno resa invisibile. C'è di buono, in tutto ciò, che è nata la proposta di intitolare il nuovo ponte ai due ferrovieri che morirono nell'esercizio del loro lavoro.

Ho rievocato questo episodio perché mi è tornato alla mente leggendo il capitolo 12 del libro di Montieri, che racconta di un sabotaggio, avvenuto sempre in quel tragico 1944, a opera dei partigiani di Ivrea, i quali fecero saltare un ponte per impedire il passaggio di un treno tedesco, pieno di materiale bellico che doveva andare in Germania. Come a dire, tutto si tiene. 

Lo stile di Montieri, che si rincorre in tutte le pagine, sia che raccontino di piccoli eventi privati sia che trattino di vicende storiche ha qualcosa di poetico, un linguaggio che affonda nelle profondità del sentire. E d'altra parte chi ha pubblicato quattro libri di poesia non può non lasciar trasparire un certo modo, lirico, di tradurre le immagini in parole. E se il libro è un'ode al treno e al viaggiar su rotaie, lo stile non può essere che quello evocativo. Uno stupore che passa anche per la letteratura, come il richiamo a certe pagine di Anna Maria Ortese, e per le canzoni: la stazione di sant'Ilario di Bocca di rosa, cantata da Fabrizio De Andrè, o il treno Palermo-Francoforte che il ballerino di Lucio Dalla dovrebbe fermare con le mani.

Insomma, se anche voi quando vi immaginate, vi vedete seduti su un treno, accanto al finestrino, se qualche volta, nella vita, vi siete chiesti dove vanno a finire i binari, se anche per voi "il treno è la parola prima della parola casa" (p. 10), questo libro è per voi.

P.s. - Mentre sto leggendo le ultime righe del libro, entrando nella stazione della mia città, Cremona, il macchinista, incrociando il treno corrispondente, ha azionato il fischio a mo' di saluto sulle sette note di "ammazza la mosca col flit", ta-ta-ra-ta-ta... ta-ta... Mi sono messa a sorridere, da sola, pensando che non potesse essere un caso.

Sabrina Miglio