La scuola è ancora un luogo di crescita o è diventata una macchina che ripete sé stessa, e che non riesce più a parlare agli studenti? Giuseppe Nibali, docente e scrittore in questo volume, ha raccolto diversi dialoghi tra studenti e docenti universitari, col preciso intento di «ridare la parola a chi, in questo Paese, l’ha persa da più di quarant’anni: gli studenti e gli intellettuali». (p. 16) In ognuna di queste conversazioni lo scambio è disarmante, onesto e, aggiungerei, anche intimo: sono due voci che si intrecciano, una giovane, inquieta e l’altra più matura e riflessiva, entrambi provano a interrogarsi su cosa significhi oggi fare scuola e sulla trasmissione del sapere.
I ragazzi che incontro, nelle mie classi e altrove, come la maggior parte degli studenti italiani, non riescono a distinguere un quadro di Caravaggio, la prosa di Calvino, una terzina dantesca. Quando lo sanno fare, quando ne hanno la conoscenza tecnica, non riescono a portarla fuori dall’ambito scolastico. (p. 16)
Uno dei punti cruciali di queste conversazioni è proprio il confinamento del sapere nel compartimento stagno scolastico, poiché quanto appreso rimane un tecnicismo da usare solo quando si è dentro le aule e non una ricchezza che possa entrare nella vita dei giovani: «rimane confinato in un recinto psichico, più che fisico e da lì non esce. Dalla mia impressione, fra la scuola e il mondo c’è scarsa porosità». (pp. 16-17)
Una cosa che non parla è un testo che invita a porci delle domande, a riflettere con onestà sulla direzione che la scuola ha preso, con i suoi tecnicismi, col suo gravame di documentazioni, con l’ansia del docente di terminare il programma da una parte e quella da parte dei discenti del voto e delle verifiche dall’altra.
Come invertire la rotta e far sì che davvero la scuola si riappropri del suo significato originario di scholè, di tempo dedicato all’amore per la ricerca, per la riflessione e la crescita condivisa? Dai testi, che, come i curatore ci fa sapere dalle prime pagine, sono stati sbobinati con grande impegno dagli stessi studenti, non ci vengono fornite soluzioni definitive. Gli intellettuali e gli studenti che dialogano con loro ci fanno capire quanto sia necessario riaccendere il dibattito, ripensare alla scuola come spazio di relazione e non solo di trasmissione, come luogo di parole vive e non di cose che non parlano. In un momento storico in cui l’educazione rischia di ridursi a performance, efficienza e burocrazia, questo libro ricorda che la scuola può ancora essere un laboratorio umano e culturale. Purché si torni ad ascoltarsi.
Un aspetto interessante del volume è l’uso del grassetto, che non è mai casuale: ogni parola, ogni frase evidenziata assume il ruolo di un faro nel testo, un segnale per il lettore che indica i concetti nodali da tenere a mente. Questo stratagemma grafico riflette la necessità di mettere in luce ciò che spesso nella scuola viene sottaciuto o sottovalutato. Tra i vari temi trattati, emerge in più di un dialogo, la questione del voto, che si trasforma in una ossessione sia per gli studenti che per gli stessi docenti.
La valutazione, anziché essere un strumento per la crescita e l’autenticità del sapere, diventa una gabbia, un sistema di misurazione che rischia di soffocare la curiosità e l’amore per imparare e conoscere. Come sottolineato dai dialoganti, questa tensione verso il risultato numerico e la verifica sposta l’attenzione dalla relazione educativa a una sterile competizione, dove ciò che conta è conquistare un voto, non comprendere o dialogare. Allo stesso modo, gli studenti non sono contenitori passivi di nozioni e non devono esserlo, devono anzi essere soggetti attivi, portatori di idee nuove: solo così la scuola diventa non una fabbrica di apprendimenti asettici che non escono dalle quattro pareti dell’aula, ma uno spazio vivo e condiviso dove ognuno, dal docente al discente, cresce e impara dall’altro.
Sono docente anch'io, e ho trovato questo lavoro davvero importante, realizzato da chi mette il cuore nell’insegnare e crede nel ruolo della scuola come luogo di formazione e di crescita. Con tutte le critiche che possiamo muovere alle sue falle, la scuola rimane ancora oggi – per fortuna – un punto di riferimento importante nella vita dei giovani. Sono rimasta colpita dal primo dialogo, quello tra Carlo Alberto Redi, professore ordinario di Zoologia all’Università di Pavia, e la studentessa Vittoria Pini: è il dialogo dell’etica della generosità, quella della cultura. Il professor Redi pone l’accento sullo scopo degli strumenti intellettuali che la scuola deve fornire ai ragazzi e alle ragazze affinché sappiano poi orientarsi nel mondo complesso della realtà post globale in cui viviamo e sappiano essere cittadini consapevoli verso i propri simili e l’ambiente.
Vorrei che risultasse chiaro è che essere generosi conviene. La vita non è una vigliaccata da cui difendersi, chiudersi nel mio piccolo orticello: abito a Bergamo alta, chi se ne frega del mondo intero. No! Essere generosi conviene, lo insegna la storia, lo insegna la biologia. Chi non è generoso si prende la paga del babbeo, questo lo dice la biologia, lo dicono gli insetti sociali: se siamo qui è perché siamo stati generosi. Sapiens è un tappetto rispetto a Neanderthal, però abbiamo fatto fuori Neanderthal, in che termini? Con lo strumento più potente di cui disponiamo, con la tecnica più potente: il linguaggio, il comunicare, il parlarci. […] Forte deve essere il richiamo al fatto che, come diceva Heidegger, come dice oggi la biologia più avanzata, siamo con-dividui, non siamo individui, va cancellata questa idea nella testa delle persone: o ci si salva tutti o non ci si salva. […] dobbiamo ricordarci sempre il privilegio che abbiamo: quello di riuscire a dirci queste cose in un luogo che gli umani hanno chiamato scuola. Dove le cose si conoscono, si discutono, si cambiano, se è necessario. Questo è centrale: l’etica della responsabilità, contro il cieco egoismo, l’etica della responsabilità fa incontrare tutti. Siamo tutti responsabili e dobbiamo agire. (pp. 38-40)
Per me questo dialogo è stato uno dei più intensi e vibranti, perché offre una visione alternativa rispetto al paradigma individualistico e competitivo dominante. «Essere generosi conviene»: una frase che ribalta la logica della chiusura, aprendo all’idea coraggiosa che la generosità non sia solo un valore morale, ma una strategia evolutiva. Lo dimostra la biologia, la storia della nostra specie. Il riferimento agli insetti sociali, al confronto tra sapiens e Neanderthal e alla potenza del linguaggio come strumento di unione e costruzione di senso rafforza il discorso del professor Redi: ciò che ha reso possibile il progresso umano è la capacità di parlare, di comunicare, di creare relazioni. In questo ragionamento la scuola perpetua un bene comune, la cultura, il confronto e il coraggio del cambiamento, per questo essa è un luogo dove imparare è un atto politico.
Ho voluto citare solo questo dialogo per non raccontare troppo di questo importante lavoro: ogni scambio contenuto nel libro apre uno spiraglio diverso. Si parla di ascolto, di fragilità, del controllo parentale del registro elettronico, dello stipendio degli insegnanti, della bellezza della filosofia, dello studio di religioni diverse, della musica, dell’arte, insomma delle diverse materie che arricchiscono la formazione della scuola italiana.
Conclude il volume, come un sigillo a finitura di questo illuminante mosaico, uno scritto del professor Alessandro Barbero, col suo intervento Se la scuola muore. All’insegnante si sta chiedendo di tutto tranne che insegnare, sostiene lo storico: la burocrazia inutile, progetti e programmi che tolgono ore all’insegnamento e sviliscono l’entusiasmo di chi vuole apprendere e chi vuole insegnare. All’allarme di Barbero si unisce anche il nostro curatore, ed è con le sue parole che voglio terminare la recensione.
[emerge anche] la necessità che le donne e gli uomini chiamati a insegnare siano “nudi”, spogliati cioè dalle sovrastrutture burocratiche che li precedono alla cattedra, mentori, non impiegati postali, o grigi funzionari, ma menti colorate interpreti di un reciproco scambio, di una medesima crescita. (p. 22)
Menti colorati che accendono luci colorate dentro agli studenti.
Marianna Inserra