«Quando si è amati profondamente non si è mai più soli»: le vedove di Camus raccontate da Elena Rui, intervistata al Salone del Libro


Difficile diventare protagonista di un romanzo, quando il proprio nome è immediatamente collegato a quello di Albert Camus. Eppure le quattro donne che vengono raccontate da Elena Rui in Vedove di Camus, uscito a maggio per L'Orma, meritano di essere raccontate già di per sé, per le loro personalità e per il loro modo di amare. Questo avviene grazie alla sensibilità e allo scavo psicologico raffinato, mai voyeuristico, presenti nel libro. L'autrice narra come ognuna reagisca alla notizia terribile con cui si apre il romanzo: il gravissimo incidente che stronca prematuramente Albert Camus, in automobile con il suo editore Michel Gallimard. Già notissimo dopo il Nobel, Albert Camus è alle prese con il manoscritto di Il primo uomo. 
Ognuna delle quattro donne – la moglie Francine Faure, l'attrice Catherine Sellers, la giovane artista Mette Ivers e l'attrice teatrale Maria Casarès, soprannominata "L'Unica" – ha una sua idea dell'amore, del legame che la avvince a uno degli scrittori più noti in Francia e nel mondo. Quattro sono le carte da gioco presenti sulla copertina del romanzo e quattro sono le sezioni in cui le donne offrono il loro punto di vista sull'amore. 
Per conoscere più da vicino questo romanzo che ha alla base una grande ricerca documentaria ho posto qualche domanda a Elena Rui, che ho incontrato al Salone del Libro di Torino.

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Partiamo dal titolo, che ho trovato geniale: questo “vedove” privo di articolo lascia il lettore a chiedersi se le donne siano semplicemente le vedove di Camus o se invece si sentano vedove di Camus. È stato il primo titolo a cui hai pensato? 

Sì, è il primo titolo ed è mio, quindi sono molto contenta che sia stato accettato in casa editrice. Quando ho deciso che volevo far parlare queste quattro donne, rapidamente mi è venuto il titolo, perché dava senso al lavoro che volevo fare e così senza articolo effettivamente è usato un po' con valore attributivo. E quindi, come giustamente facevi notare, “vedove” non delinea solo una “condizione sociale”, è il modo in cui le quattro donne si sentono. 

Quattro donne, appunto. Camus sconvolge le loro vite. È successo lo stesso anche con te come lettrice? Quando è entrato nella tua vita? 

Sai che non me lo ricordo?! Vivendo in Francia da vent’anni, non saprei dire esattamente quando ho iniziato a leggere Camus, però c'è stato un momento in cui, siccome sono un po' monomaniacale, ho cominciato a documentarmi su di lui in tanti modi. Ho ascoltato anche dei podcast in cui sua figlia parlava di lui e un po' alla volta ho cominciato a sapere delle cose più precise che hanno suscitato delle curiosità in più. Sapevo già dell’incidente che lo ha ucciso: uno scrittore che muore prematuramente con il suo manoscritto, con il suo editore alla guida… È una storia che crea una fascinazione in chi scrive. 

Vedove di Camus
di Elena Rui
L'Orma, 23 maggio 2025

pp. 180
€ 18 (cartaceo)
€ 9,99 (ebook)

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A tal proposito, cosa ha fatto scattare in te il desiderio di scriverne? 

Quando la figlia ha iniziato a fare la promozione delle lettere tra Camus e Maria Casarès, sentivo che spesso i giornalisti provavano a porle delle domande sulle altre donne e lei cercava sempre di sviare o di sminuire la loro importanza nella vita del padre. Questo aspetto ha cominciato a incuriosirmi e ho iniziato a leggere biografie su di lui. 

E quali parti della sua produzione apprezzi in particolare? 

Sicuramente preferisco la sua prosa al suo teatro. Sono abbastanza d'accordo con Catherine Sellers, che dice che l’importanza che dava al teatro nel momento in cui è morto era legata a una crisi creativa piuttosto recente, successiva al Premio Nobel. Non era sicuro di riuscire a venire a capo di un altro romanzo. Quanto alle opere, ne vorrei segnalare due: Lo straniero, che è il libro che conoscono tutti – ma ci sarà pur un motivo se il mondo intero l'ha letto! –, e mi piace moltissimo La caduta, che ho letto veramente molte volte e ogni volta ci scopro qualcosa di nuovo, di diverso. 

In prefazione e in chiusura hai spiegato più volte che punti alla verosimiglianza e che la tua non è una biografia ma un romanzo. Quali limiti ti sei prefissata di non superare? 

Ho voluto dare un taglio preciso, non esaustivo: non volevo raccontare tutta la storia che Albert Camus ha avuto con Maria Casarès, né con le altre donne. Volevo raccontare – perché questa è la cosa che mi interessava – che cosa è successo nella vita di queste donne quando lui è morto, perché è una situazione particolare e interessante per costruire un’opera di finzione. Un grande scrittore aveva delle vite sentimentali parallele, alcune donne sapevano l'una dell'altra, ma non tutte sapevano l'una dell'altra. E in più c'è un terzo elemento che mi interessava: la scrittura. Siccome la vita alimenta la scrittura, ci sono degli elementi biografici legati a queste quattro donne che sono entrati nella sua opera. 

C’è qualcosa che hai scelto di omettere? 

Ad esempio, ho lasciato sullo sfondo le questioni politiche: Camus è stato molto contestato per le sue posizioni, o meglio, per le sue mancate posizioni sulla guerra in Algeria. Non ho omesso questo aspetto, ma non ho mai lasciato che diventasse preponderante. 

Sì, tra l’altro anche questo romanzo si inserisce in un tuo percorso di scrittura sull’amore: qui scopri e offri al lettore nuove sfaccettature sulle relazioni. Le donne nel romanzo hanno tutte pari libertà di amare? In alcuni casi sembra che accettino loro malgrado di condividere Camus, di non averlo come amore esclusivo. 

Sì, è un gioco di forze. Ci sono degli equilibri che non sono sempre a favore di una persona o completamente a svantaggio di un'altra. E questi equilibri cambiano nel tempo. 

A tal proposito, negli stessi giorni in cui stavo leggendo il tuo romanzo in anteprima, ho ascoltato un’intervista ad Antonio Pascale sul suo nuovo Cose umane (Einaudi, 2025), in cui l’autore rivelava che per lui l’amore è sempre stato un mistero che riguarda la manipolazione: manipolare e/o essere manipolato. Le donne di Camus sono manipolate? 

Entrambe le cose: sono manipolate e allo stesso tempo anche loro manipolano ed esercitano il loro potere, ma non in modo uguale. Perché non si può paragonare Maria Casarès, che era una grande attrice dell’epoca, ammirata, una donna con una forte personalità, che ha vissuto come lo ha inteso, alla giovane Mette Ivers, che aveva poca esperienza. Quindi questi rapporti di forza ci sono ma sono diversi. Penso che il rapporto più alla pari fosse quello fra Albert e Maria. 

Come sono diversi i rapporti di forza, così ho trovato molto sfaccettata anche l’immagine di Albert Camus che emerge dal racconto che fanno di lui queste donne. Riprendendo una famosa citazione, “io è un altro”? 

Lui probabilmente non si ritroverebbe nella narrazione di nessuna forse, ma credo che sia una cosa inevitabile. Poi probabilmente c'è ancora tanto altro che nessuna delle quattro racconta. E forse anche altre donne potrebbero aggiungere qualche tassello. 

Tra le varie parti metaletterarie presenti nel tuo romanzo, rifletti sul manoscritto di Il primo uomo, trovato sul luogo dell’incidente. Era ancora incompleto. A tal proposito, qual è la tua posizione rispetto al fatto che spesso gli eredi decidono di pubblicare i manoscritti incompleti degli scrittori morti prematuramente? 

È una domanda complessa, non c'è una sola risposta. Da scrittrice, non mi piacerebbe per niente che qualcuno pubblicasse una cosa che non considero completa. Da lettrice invece sono contenta di aver letto Il primo uomo, quindi è difficile dire. Penso in ogni caso che le eredi si siano interrogate molto: la moglie Francine ha deciso di non pubblicarlo, e poi è stata la volta di sua figlia, che ha preferito farlo uscire. 

In più luoghi del testo rifletti sulla scrittura. Mi sono segnata questa frase, che mi è piaciuta molto: «Poche attività umane sono antagoniste della vita quanto la scrittura». Dunque… perché scrivere? 

Non c'è una vera ragione, ed è una domanda che mi è già stata fatta, non ho mai una vera risposta. In sé c’è qualcosa di profondamente assurdo, perché oggi, non concorre a darti successo, fama, non fa guadagnare… È un'aspirazione inspiegabile, forse anche un po' una malattia, è qualcosa di ossessivo che a un certo punto non ti lascia più. Non c'è una spiegazione razionale: scrivere dà anche una grande sofferenza, perché si fa un lavoro solitario per anni, non si sa se servirà a qualcosa, non si sa se ci sarà una casa editrice che sarà interessata, e si passano questi anni in solitudine a chiedersi: ma sto facendo una cosa che ha senso? E lo si fa ugualmente. 

Avevi in mente un pubblico specifico, durante la scrittura? 

Quando scrivo non penso mai al pubblico, veramente mai. Avevo più che altro dei dubbi sul fatto che Vedove di Camus potesse interessare un largo pubblico, però devo dire che questo è uno dei lati assurdi della scrittura: pur avendo questo dubbio, uno continua a scrivere. Più che altro avevo in mente una casa editrice, L’Orma, e sono stata molto felice quando il manoscritto è stato subito accettato.

Intervista a cura di Gloria M. Ghioni

Ringraziamo l'autrice e la casa editrice per la disponibilità.