Si è chiusa la decima edizione del Porte Aperte Festival, la manifestazione che ha portato a Cremona, dal 5 al 9 giugno, oltre 60 tra scrittori, musicisti, disegnatori, fumettisti, artisti di vario genere in un incontro felice e fecondo di espressioni artistiche. L'evento, che si è svolto nei cortili di alcuni palazzi storici del centro città, ha chiamato a raccolta un pubblico numerosissimo e ormai affezionato. Incontri con gli autori, presentazioni di libri, reading letterari, concerti, mostre hanno riempito la città che per quattro giorni si è trasformata nella capitale dell'arte, in ogni sua forma.
CriticaLetteraria ha seguito per voi alcuni incontri, da Fabio Geda a Roberto Andò, da Marco Belpoliti a Sandrone Dazieri fino ad Andrea De Carlo.
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La casa dell'attesa di Fabio Geda è un reportage intenso, pubblicato da Laterza, che racconta l'impegno e il lavoro dei Medici con l'Africa Cuamm in Angola, dove, a Chiulo, hanno creato La Casa de Espera, uno spazio che accoglie le donne in gravidanza all'ultimo mese. Tra le prime cause di mortalità perinatale vi era infatti la difficoltà delle donne a raggiungere l'ospedale in tempo. "Quando Laterza mi ha chiesto un reportage su questa iniziativa mi sono chiesto se avrei trovato le parole giuste per raccontare il grande lavoro di questi medici, infermieri e operatori", ha raccontato Geda, "e solo quando sono arrivato là e ho trascorso giorni intensissimi a contatto con queste persone ho capito che le parole mi sarebbero arrivate spontaneamente". L'autore ha raccontato di un mondo difficile, di ospedali senza energia elettrica, con acqua corrente solo nelle prime ore del mattino, luoghi di speranza, ma anche di dolore. Ospedali fatti di persone, non di macchine e di tecnologia, come i nostri, luoghi in cui sono la clinica, il sapere medico, l'osservazione, la relazione umana a fare la differenza. "L'Africa subsahariana ha un rapporto molto diverso dal nostro con il tempo, con l'attesa", ha ripreso Geda. "Lì le persone aspettano pazienti per ore il loro turno, per mesi la pioggia e sono capaci di gratitudine estrema per il fatto di essere accuditi, ringraziavano anche me, solo per il fatto di essere lì, in mezzo a loro. A questo ho dedicato tutto il mio libro".Si cambia scenario con Roberto Andò e il suo Il coccodrillo di Palermo, edito da La Nave di Teseo, un giallo anomalo, come lo ha definito l'autore, che ha detto: "Io preferisco i gialli senza soluzione, mi stupisco spesso nel leggere libri dove alla fine tutto si risolve, in un Paese come il nostro, dove tutto è ancora irrisolto". In una Palermo asfissiante, il protagonista dovrà andare alla ricerca di bobine di intercettazioni telefoniche, custodite illegalmente dal padre poliziotto ormai defunto, e che sono state sottratte dalla sua abitazione. Sarà, per il figlio, regista di documentari che abita a Roma e che ha lasciato senza rimpianti quella Palermo più odiata che amata, un viaggio nei meandri di un passato che non finisce, tra misteri, colpe e segreti. "Il libro contiene certamente elementi autobiografici", ha svelato Andò, "d'altro canto la letteratura, come il cinema, è il luogo dove si cerca ciò che abbiamo perduto. Anch'io ho lasciato a Palermo qualcosa che desidererei tanto ritrovare". L'autore ha poi parlato delle città che ognuno di noi si porta dentro, la città fisica ma anche quella interiore, fatta di voci, di ricordi delle persone che non ci sono più, di pensieri inesplorati. "Ecco, a un certo punto del romanzo, il mio protagonista si ritrova sopraffatto dalla città interiore".E di luoghi di origine e di arrivo è intriso il libro di Marco Belpoliti, Nord Nord (Einaudi, in cinquina al Premio Strega), nel quale si mette in scena il concetto di autotopografia, un altro aspetto della biografia. "I luoghi danno forma al nostro carattere, alla nostra vita, pensiamo per esempio ai confini che decidono così tanto della storia dei luoghi e delle persone che li abitano". Il libro racconta il Nord dell'autore, che, nato a Reggio Emilia, si è poi trasferito a Milano per lavoro fino a trovare il suo punto fermo in Brianza. Un libro in cui entrano elementi di geografia, storia, entomologia, scienze, antropologia, mineralogia, zoologia, botanica, quasi un'enciclopedia settecentesca che parte però da interessi intimi, personali. "Io sento fortemente il bisogno di studiare quello che ho intorno, per esempio un'invasione di coccinelle nel mio garage o i boschi intorno a Olgiate Molgora dove ci sono pietre che, secondo uno studioso di storia locale, risalgono a una città fondata da Enea, novella Troia", ha raccontato Belpoliti. "Mi interessava prendere i racconti dei geografi, degli storici, degli scienziati e rielaborarli costruendo il mio Nord". Spazi indagati a piedi, camminando, meditando sul modello di Verso la foce di Gianni Celati.Luoghi della memoria familiare sono quelli che popolano il romanzo La geografia del danno di Andrea De Carlo che fa i conti con la vicenda sua personale e della sua famiglia. L'autore ha raccontato che, all'età di trent'anni, durante un pranzo ha saputo della morte, appena avvenuta, della nonna paterna, che, però, in famiglia era stata data per morta almeno cinquant'anni prima. Da lì la ricerca attraverso lettere, incontri, racconti per scoprire chi era Doralice. Il risultato è questo romanzo che porta i lettori in Cile, in Tunisia, in Sicilia, sulle orme dei nonni e dei bisnonni la cui vita straordinaria è una sorpresa continua. Per l'autore e per il lettore. Un romanzo che parla moltissimo anche di rapporti familiari, in particolare con il padre e che fin dal titolo riflette su come un danno, una mancanza, si possa tramandare per generazioni. "Dai genitori non ereditiamo soltanto i tratti somatici", ha detto De Carlo, "ma anche dei buchi, dei danni con i quali dobbiamo fare i conti, il percorso di ricerca delle proprie origini è un'operazione che può rivelarsi difficile e dolorosa e che può non fornire tutte le risposte alle domande che mettiamo in campo". Un desiderio questo che, ha raccontato De Carlo, è nato in lui nel momento doloroso della dispersione nel Mar Egeo delle ceneri dei propri genitori. Il libro fa i conti con la storia familiare, con l'essere figlio e padre, con il senso di sradicamento che l'autore sente su di sé da tre generazioni. "Io non ho attaccamento alcuno agli oggetti della mia vita, nemmeno alle città", ha detto l'autore, "ma se ci pensiamo bene al mondo non c'è nulla di permanente, nemmeno i luoghi, tutto ciò che abbiamo non resterà, resteranno i sentimenti, le energie, le essenze".Il Porte Aperte Festival si è concluso con la rutilante presenza di Sandrone Dazieri, originario, tra l'altro, proprio di Cremona, che ha presentato il suo ultimo giallo, Uccidi i ricchi (Rizzoli). Un libro che parte da una domanda: e se, da una serie di omicidi ai danni dei super ricchi, i megamiliardari, partisse una rivolta sociale dal basso? Dazieri ha raccontato di aver preso le mosse dalla sua Milano, un tempo città fantastica, piena di ritrovi, di cultura, di aggregazione, ora votata soltanto alla finanza e al dio denaro. "Ora non si costruiscono più luoghi perché gli abitanti possano vivere meglio la città, ma edifici esclusivi per i ricchissimi, come quel grattacielo pieno di alberi", ha osservato l'autore. "Ma esiste un'altra città, quella delle periferie, dei giovani che hanno come unico mito quello di diventare ricchi, perché questo è il modello offerto, ma sono esclusi. Questa disparità è il problema". Dazieri ha poi divertito la platea raccontando come, da non miliardario, ha dovuto informarsi, per costruire un quadro realistico, sui dettagli della vita di chi ha possibilità fuori dal comune, cosa mangiano i megamiliardari, cosa bevono, le criosaune, i sistemi di sicurezza, le criptovalute eccetera, quanto e come la polizia può indagare in questo mondo. "Si fatica a parlare di questi temi al di fuori della narrativa di genere, ma io che ci sono dentro, lo faccio volentieri e con due vantaggi di cui questa letteratura può fregiarsi: una pressione diversa da chi scrive per vincere il Premio Strega e la capacità di leggere il mondo attraverso il crimine che evolve con la società stessa". Dazieri ha poi chiuso il proprio intervento sulla strana situazione dello scrittore che ha la necessità di calarsi nel reale, ma nel contempo di isolarsi: "La scrittura per me è l'arte della solitudine, dimenticarmi del mondo che mi circonda e immergermi in quello che sto costruendo e più avanti vado nella stesura del libro meno mi interessa ciò che ho intorno".
Il Porte Aperte Festival dà appuntamento a tutti gli appassionati di parole, arte e cultura a giugno del 2026 con la sua undicesima edizione.
Sabrina Miglio