Un rebus per Leonardo Sciascia
di Silvana La Spina
Marsilio, aprile 2025
La chiarìa del sole scendeva liquida in quella parte di Sicilia, arricciolandosi in nuvole lanuginose, quando finalmente la macchina arrivò davanti la caserma dei carabinieri. In quel momento il capitano apparve sulla soglia e salutò con la mano al berretto. (p. 7)
Comincia così l'ultimo libro di Silvana La Spina, Un rebus per Leonardo Sciascia, nel quale troviamo lo scrittore siciliano nelle inconsuete vesti di un detective. Il libro comincia in media res: l'arrivo del PM per indagare sulla morte - inizialmente si crede sia un suicidio - del giudice Aurelio Arriva.
Il romanzo segue inizialmente il classico plot di un giallo: colloquio tra PM e medico legale, supposizioni, sospetti, lettere minatorie. Da un punto di vista stilistico la trama va avanti soprattutto attraverso i dialoghi, nei quali l'autrice miscela l'italiano e il gergo dialettale. Come in tutti i gialli che si rispettino, si dà ampio spazio anche a un affresco sociologico dell'ambiente, del piccolo paese, della mentalità e delle superstizioni degli abitanti, dei loro infiniti pettegolezzi. Sullo sfondo di "affari di corna", antipatie e gelosie di ogni tipo, naturalmente la mafia, i traffici illeciti e la quiescenza delle persone.
Aurelio Arriva, la vittima, era un caro amico di Sciascia, fin dall'infanzia. Poi, si erano allontanati, come spesso accadeva a Leonardo Sciascia, come era successo anche con Renato Guttuso e - nel momento in cui i fatti vengono narrati - stava probabilmente accadendo con Vincenzo Consolo. Qui si apre l'altra anima del romanzo. Quella che affresca i rapporti umani e culturali che legarono Sciascia a Gesualdo Bufalino, a Vincenzo Consolo e a Italo Calvino. In quel settembre del 1985, infatti, oltre alla morte di Aurelio Arriva, Sciascia si trova a dovere affrontare quella dell'amico Italo, delle continue notizie prima del suo ictus e poi della sua morte.
La giornata improvvisamente si era infoscata, il caldo ancora colava nelle strade, ma l'aria se possibile era diventata più respirabile. Leonardo Sciascia si affacciò alla porta con un libro in mano e notò anche lui che l'aria era cambiata, che forse la giornata si andava guastando. Era rimasto solo come aveva chiesto. Questo perché non voleva far vedere a nessuno il suo smarrimento, la sua inquietudine... «È la morte. Sì, la morte. E nessuno di loro lo sa...». (p. 86).
Perdere Calvino dà a Sciascia la misura di una nuova solitudine, di un'incomprensione oramai definitiva con il mondo, anche quello che apparentemente gli è più proprio, nel quale è cresciuto. Proprio qui, intrecciando le memorie del passato, la conoscenza della mentalità delle persone ed il suo fiuto personale, decide di diventare detective.
La Spina fa vibrare le tante corde dello scrittore Sciascia che conosciamo: la lucidità, il rigore, l'acume, ma anche una forma sobria di empatia, quasi burbera nel suo manifestarsi.
Ritengo questa l'anima più riuscita del romanzo: i dialoghi con la moglie, le sue malinconiche riflessioni. Le osservazioni, esposte nei dialoghi, sulla Sicilia e sulla giustizia, sull'immobilità gattopardesca dell'isola ma anche la suspence del giallo, spesso non trovano una felice sintesi. Soprattutto la trama investigativa spesso l'ho trovata appesantita da divagazioni e dialoghi che nono tengono il lettore incollato alla pagina.
Tuttavia, Un rebus per Leonardo Sciascia è una passeggiata piacevole in Sicilia, nei suoi silenzi e nella sua sottile arte del pettegolezzo.
Deborah Donato