L'ingrato. Novella di Maremma
di Sacha Naspini
edizioni e/o, 2025
pp. 139
€ 17,00 (cartaceo)
€ 11,99 (ebook)
“Se le donnette del paese avessero avuto cura delle persone come ne avevano per i vasi dei ballatoi, sarebbe stato un altro mondo”. (p. 108)
Con L’ingrato, una “novella di Maremma”, come postilla il sottotitolo, e/o sceglie di ripubblicare l’opera di esordio di Sacha Naspini, che anticipa i temi e le forme de Le Case del malcontento. In questa riedizione, proprio Le case offre l’ambientazione, a tratti angusta, se non claustrofobica, della vicenda narrata.
Naspini ricorre a un continuo scivolare nella focalizzazione interna per mostrarci la vita “stretta” di Luigino Calamaio, maestro alle soglie della pensione, che evade dalla sua quotidianità ordinaria solo quando, in uno stanzino del sottoscala, copia i quadri di Toulouse Lautrec, proiettandosi in un altrove vagheggiato e mai conosciuto: «era lì che Luigino Sarcoli Calamaio viveva i suoi intimi sogni sfrenati. Tra porpore e piume di struzzo, velluti e rimmel di cent’anni prima» (p. 11). I compaesani non comprendono le sue velleità d’artista e lo giudicano nel migliore dei casi stravagante, nei peggiori supponente, data la sua origine fiorentina, o addirittura matto. Solo il fatto che si tratti di «un omino tanto perbene» (p. 33) costituisce inizialmente un paravento alle maldicenze, mai davvero sottoposto a venti di burrasca, ma solo a brezze leggere e insinuanti.
A fare da comprimario nell’opera di Naspini, come sempre, è infatti il borgo pettegolo e giudicante, il cui mormorio si leva alle spalle del maestro a commentarne, il più delle volte impietosamente, i movimenti. A questo chiacchiericcio superficiale viene contrapposto, per affondo, il turbinare dei pensieri dell’uomo, stretto nelle angustie di un’esistenza in cui non si riconosce pienamente, un po’ invidioso dei giovani che, vorticando nelle strade, sono animati dalla stessa scintilla che accende i quadri di Lautrec.
Questa scintilla è la stessa che Calamaio riconosce nella risata argentina, nel lampo di capelli rossi, di Chiaretta Rambaldi, che il maestro aveva lasciato decenne e ora ricompare tra le vie del borgo, diventata splendida donna. La Chiaretta inizia ad affollare e a dare nuova vita ai dipinti del maestro, che per la prima volta non si limita a copiare, ma aggiunge il suo tocco ai quadri di Lautrec. Mentre la furia creativa cresce insieme al numero delle tele, se ne definisce il senso: non si tratta dell’attrazione ambigua di un vecchio per una ragazza molto giovane, come qualcuno ipotizza, quanto piuttosto della bruciante, irrefrenabile, «bramosia di mettere a fuoco un pensiero da raccontare in arte» (p. 38).
E questo assunto stride solo parzialmente con un segreto torbido annidato nel passato di Calamaio, un “vizietto” che la Chiaretta ricorda bene, e per cui serba rancore. Perché Naspini è abile nel mostrare personaggi imperfetti, feriti, manchevoli, e che pure si vorrebbe salvare, e contrapporli a individui conformi, allineati, che incarnano invece un male tanto peggiore quanto più sotterraneo e velenoso. La ricomparsa della giovane, la sua palese ostilità e i tentativi del maestro di avvicinarla riaccendono antiche voci. Anche perché Chiaretta porta con sé l’aria di fuori, nella brutta gente con cui si accompagna, nella dipendenza di cui è vittima, nella sua vita disordinata.
Tutta brava gente, per carità, umile e di poche pretese. Ma infarinata con le cose di dentro quanto un pesce con la sabbia […]. Era per le novità che la gente veniva a scandalo. Ciò che andava ad alterare l’equilibrio semplice dei vicoli e delle contrade suonava come una minaccia, facendo storcere il grugno alle comari di vedetta sui balconi; i maschi bofonchiavano all’istante di quanto il mondo stava andando a rotoli. (p. 73)
Quella de L’ingrato è la storia di un’ossessione, che assume però contorni diversi da quelli che ci si aspetterebbe, un’opera sul processo creativo, sulla ricerca di senso attraverso l’arte («vide in quei tratti morbidi il disegno di una vita. […] In fondo non era importante non essere stato in grado di cogliere l’anima della Chiaretta - nel quadro ci abitava lui stesso», p. 61). L’arte travolge e scompagina le carte, rende per la prima volta l’uomo orgoglioso di sé, del proprio sguardo, del modo in cui riesce a intrappolare il reale, e questo non fa che allontanarlo sempre di più dalla comunità.
Mentre lui si avvicina a Chiaretta, le offre il suo aiuto, e intanto prende da lei luce e colore per i suoi dipinti, il paese vocifera, spietato, incurante del danno che fanno i sospetti maligni, le voci false. Chiunque provi a manifestare timido dissenso, come l’oste delle Due Porte, viene immediatamente messo a tacere, o diventa a sua volte bersaglio dell’ostilità generale: «Le Case è una bestia arrabbiata, e la gente non ha in testa che di fare del male per sentirsi in salvo. […] Tutti perdono qualcosa per restare a Le Case» (p. 88-89). Per qualcuno si tratta della reputazione, per qualcuno del senno, per la maggior parte delle persone, forse, dell’anima.
Calamaio può essere un cattivo maestro o un ometto mediocre (come quasi tutti, del resto), ma si scopre artista, e l’arte lo riscatta. Questo però, rappresenta un peccato quasi imperdonabile per chi invece conduce una vita in cui il riscatto non è contemplato, né concepito. Mentre nel sottoscala del maestro esplodono i colori, il mondo fuori è cieco e sprofonda in un grigiore sempre più soffocante.
Come in qualche novella di Verga, un determinismo stringente condanna i deboli e i diversi, ne fa pietre d’inciampo, o bocconi indigesti che la collettività deve espellere - ed espellerà. Lo stesso lessico utilizzato, nelle opere di Naspini sempre straordinario per incisività, rimanda al campo semantico del marchio, dello stigma, della condanna (e giustifica, lapidariamente, il senso del titolo). E se si può rimproverare alla narrazione di essere troppo breve, la speranza è di poter leggere ancora (e presto) tante novelle di Maremma firmate da Sacha Naspini, che continua a essere a mio avviso uno degli autori più interessanti del panorama contemporaneo.
Carolina Pernigo