«Le cose non accadono mai nei tempi giusti, per questo si fanno le guerre»: "Il ritorno" affannoso e disilluso di Marco Vichi


Il ritorno
di Marco Vichi
Guanda, febbraio 2024

pp. 406

€18,05 (cartaceo)
€ 11,99 (eBook)

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«Camminò a lungo, pensando a com'era sgradevole avere a che fare con persone che non poteva stimare, che considera squallide, e soprattutto era triste pensare che sarebbero state proprio quelle persone a riempirla di soldi, a permetterle di diventare una donna anche tra le gambe...» (p. 128)

Cosa ritorna dopo un lungo viaggio? Se il ritorno fosse un'emozione, sarebbe la malinconia mista alla curiosità, due occhi grandi che scrutano, che si iniettano alla vita come la prima forma di respiro appena possibile. Il ritorno di Marco Vichi è un ritorno catastrofico, romantico, straziante, voluto, ma irreale. C'è un momento esatto nella vita di ognuno in cui si sente la necessità di fare i conti col proprio corpo, le proprie identità frastagliate, affinché tutto si liberi e viaggi di pari passo con i nostri desideri. Quella di Maria non è una storia di vantaggi e neppure di infanzie e adolescenze felici, quella di Maria è la storia di un uomo che fa di tutto per sentirsi come si sente, che prende a calci i maligni e che con ogni forza tra i denti cerca di raccontare una vita non sua.

Marco Vichi col suo nuovo romanzo si distacca dai lavori precedenti per dare vita a un lavoro che non è né un giallo, né un romanzo storico, né un romanzo di formazione. La protagonista, appunto Maria, nata nel corpo di un maschio, Mario, non fa altro che provare ad affermarsi in una società che apprezza la sua bellezza femminile ma non il suo apparato sessuale. Il passato di Maria non è facile: la madre è scappata con un camionista olandese quando lei aveva cinque anni a causa del carattere turbolento del padre, alcolista e uomo violento, infastidito dal figlio e dalle sue "categorie". Un'infanzia anomala mette a dura prova la personalità di Maria che nonostante i disagi e gli impedimenti riesce a prendere forma e linfa. Fino a quando, in piena adolescenza, si vede costretta a lasciare la casa del padre, stufo dell'ambiguità e dei modi di essere di Maria. Cominciano qui le vere e proprie lotte alla sopravvivenza, dai lavori come cameriera fino alla prostituzione su "i viali" di Firenze. 

Maria non è come tutti gli altri, è bella, femminile e attraente. Eppure ha una luce negli occhi che pochi riescono a cogliere, i suoi occhi chiedono tanto e anche un pretesto per scappare e lasciarsi amare da qualcuno per com'è veramente. Umiliata, offesa e vittima di molti pregiudizi e cattiverie, Maria deve gradualmente eliminare tutto questo, ma si sente sempre più sola. La sua è una storia senza fiato e senza leggerezza, ogni affermazione, ogni evento viene rivoltato, amplificato e giudicato per arrivare a una verità almeno accettabile. Maria sa come superare gli imprevisti, senza mai arrendersi, senza mai mollare e infatti, appena raccolto il denaro necessario, vola in Turchia per sottoporsi all'operazione che la trasformi per sempre in donna. È nel viaggio di ritorno che, aggrappandosi ai primi sconosciuti di passaggio, si ritrova sommersa dalla guerra dei Balcani. Nei territori dell'ex Jugoslavia affronta le più strazianti supposizioni in un paese bombardato ogni notte, in cui i morti vengono seppelliti come semi di fiori da dover attendere. Ma i corpi non attendono e nemmeno le anime di quella città, ormai desolata e rassegnata a un futuro distruttivo e senza possibilità di luce. Ma insieme alle tenebre Maria incontra anche due anziani coniugi che si prenderanno cura di lei come una figlia, e un ragazzo, Goran, con cui Maria avrebbe voluto perdere la verginità per la prima volta da vera donna:

««Vieni, entra» così dirò al primo uomo che potrò amare, fra le mie gambe non troverà un rivale, potrà affondare dentro di me, sarò la sua donna, non si spaventerà, non ci sarà bisogno di scuse, troverà quello che cerca, si attaccherà al mio seno, io sarò contenta di essere sua, lui di essere mio, ma solo in quei momenti, per giocare all'eterno piacere dell'amore, non ci illuderemo di essere una cosa sola, come gli altri, quelli che non capiscono quanto sia bello essere e rimanere sempre due... Insieme a lui non sarò più colpevole, non sarò una cosa strana, un animale ambiguo che attira e respinge, non sarò più il gioco malato dei signori perbene, l'esperimento dei viziosi, degli annoiati, la preda di chi vuole provare tutto, non sarò più l'emozione di avvisassi al pericolo, alla paura di essere finocchi, lo strumento per una banale e innocua sfida, l'ebbrezza di farsi leccare da una donna co l'uccello, il brivido di avere contatti con il mondo oscure e squallido degli scherzi della natura, dei mostri che vivono scivolando tra i sentimento come sulla bava di una lumaca, che vendono peccato ai peccatori, che hanno la forza di sopravvivere, che se Gesù non mentiva saliranno in cielo per primi, magari dopo una coltellata, ma qui sulla terra sono gli ultimi per l'eternità» (pp. 65-66)

Il ritorno di Marco Vichi è un romanzo molto cupo, affannoso, difficile, di una persona alla ricerca di una nuova identità, di un viaggio in gran parte interiore, alla ricerca di ciò che è veramente accettabile in mezzo a una serie di verità, sogni, illusioni e disillusioni. La narrazione è asciutta e senza pretese, e questo è lodevole. Da un lato ritrate una vita al limite, ma questo non significa che non valga la pena raccontarla. Le scene di stupro, quelle a contatto diretto con l'eroina, i buchi vorticosi e violenti nella droga, i momenti in cui il villaggio è attaccato dalle bombe, sono raccontati con una tale crudezza e verità da essere irrimediabilmente immaginifiche. Maria alla fine della sua storia accetta tutte quante le cose che vivono dentro di lei, accoglie tutte le facce che ha, anche quelle che odia, smette di rinchiudere i sentimenti nelle gabbie di una normalità inventata, di trasformare le cose inspiegabili della vita in asfalto sul quale camminare senza inciampare; molte volte si era convinta che la sua fosse una vita vera, la più vera di tutte, ma forse quella era l'unica vita possibile. E che, in fondo, ovunque c'è la guerra, i potenti contro i deboli, i giusti contro gli ingiusti, i normali contro i diversi, guerra con ogni mezzo.

Questa donna che non cede, che non si corrompe, che sa vedere, persino sorridere, e giocare, ha un nome semplice. Non è frequente, ma a volte succede che ci siano persone come lei e storie come la sua, nelle quali gli archetipi si manifestano e parlano delle vite di tutti. Inoltre, e questo è prevedibile, non si tratta di raggiungere un lieto fine o una condanna. Dopo tutto stiamo parlando di una vita irregolare, di spietatezza. La narrazione stessa è un lungo flusso di coscienza ininterrotto, intervallato da interruzioni, flashback, frasi molto lunghe e difficili da seguire proprio per la loro complessità. 

Ne Il ritorno di Vichi non c'è redenzione o salvezza, c'è solo l'alienazione, l'amorale, il nulla, la bomba. Un lutto che lascia il lettore stordito, preso da emozioni contrastanti; una scrittura particolare, ricca di tanto "detto" mai celato nel quale esiste un mondo dove la differenza crea solo curiosità, interesse e voglia di conoscersi. Un mondo dove l'amore è una cosa normale, non un'eccezione.

Serena Palmese