Raccontare il dolore: «Inventario di quel che resta dopo che la foresta brucia» di Michele Ruol


Inventario di quel che resta dopo che la foresta brucia
di Michele Ruol
TerraRossa, aprile 2024

pp. 198
€ 16,00 (cartaceo)
€ 8,90 (ebook)

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C’è chi dice che il tempo cura ogni cosa.
Madre non era per niente d’accordo.
Ci sono cose che non si cureranno mai, pensava lavandosi le mani sporche di terriccio – tutto quello che fa il tempo è concedere di assistere a nuove fioriture a chi ha la pazienza di aspettare. (pp. 122-123)

Il romanzo di Michele Ruol ha un incipit fortissimo che, in poche battute, indica sia il torno generale che assumerà la storia sia il punto di vista del tutto peculiare dell’interno libro: «La foto dei ragazzi sul tavolino nell’ingresso è la stessa che avevano usato per la lapide» (p. 12). A “parlare” (il virgolettato è d’obbligo) è la cornice d’argento 15x22 cm posta all’ingresso. La cornice d’argento non dà solo il titolo al primo capitoletto di appena una pagina, ma fornisce chiare indicazioni circa la prospettiva attraverso la quale il lettore osserverà l’evolversi della narrazione.

Ecco dunque spiegato questo "inventario di ciò che resta" indicato nella prima parte del lungo titolo: nel romanzo di Ruol per TerraRossa sono gli oggetti a parlare, o meglio: è attraverso gli oggetti presenti nella casa di una famiglia distrutta (quel "dopo che la foresta brucia") che scopriamo cosa è accaduto ai quattro abitanti – un padre, una madre, due figli, tutti indicati non da nomi propri ma, appunto, dal ruolo: Padre, Madre, Maggiore, Minore. Questo espediente narrativo, originalissimo, ricorda un altro dei libri pubblicati da TerraRossa, sempre nella collana Sperimentali: Restiamo così quando ve ne andate, romanzo di Cristò nel quale la relazione fra due persone viene vissuta – in prima persona, stavolta – attraverso gli “occhi” delle pareti di una casa. A differenza di quel testo, però, nell’Inventario di Ruol il punto di vista è frammentato perché non è un solo oggetto ad assistere passivamente a ciò che accade intorno, bensì una miriade di cose – accendini, quadri, mobilio, cassetti – sparse in tutta l’abitazione.

Scorrendo rapidamente l’indice, notiamo subito che gli oggetti presi in considerazione sono ben 99. Si tratta dunque di 99 capitoli che vanno dalle poche righe alle poche pagine nei quali, in un gioco che rimanda al nascondino, siamo costretti a inseguire la narrazione fra salti temporali – una vita familiare prima dell’evento traumatico e un lungo decorso quando le cose ormai sono avvenute – e vicende personali. Ricostruire il puzzle unendo i pezzi, i punti di vista, le circostanze è un lavoro che la prosa di Ruol e il particolare punto di vista rendono ancora più intrigante. Il lettore, cioè, è parte integrante del gioco in quanto, per non perdersi nel labirinto, deve cercare attivamente la strada verso l'uscita. Quando alla fine si arriva a conoscere il quadro completo, abbiamo una storia che lascia l’amaro in bocca per la sua devastante semplicità e la sconcertante sofferenza vissuta dai personaggi.

Ciò che colpisce in maniera particolare di questo Inventario è la cura che Ruol ha impiegato nel non lasciare fuori neanche gli oggetti più insignificanti, anzi nell’essere riuscito a donare loro un significato che raramente entra nel campo del simbolico, penetrando piuttosto nel quotidiano di una vita condivisa. È così folgorante scoprire come oggetti banali quali uno strofinaccio, dei faldoni, persino il raschiaghiaccio presente nell’automobile di famiglia possano portare con sé le memorie di ciò che è accaduto. Il processo è epifanico – e anche altamente catartico – come quando, aprendo il cassetto di un mobile che non usiamo da anni, ritroviamo un oggetto di poco conto, buttato lì per caso, che però è in grado di riportare alla mente episodi di un passato che sembrava sepolto e rimosso. Nel rinvenire 99 oggetti e nell’aver dato loro un ruolo nella grande storia banale di una famiglia qualunque sta la capacità narrativa di Ruol.

Dulcis in fundo, è necessario dare merito a Francesco Dezio, illustratore di tutti i libri di TerraRossa, per la copertina di questo romanzo, al contempo altamente evocativa e in grado di suscitare – soprattutto a fine lettura – più di un’emozione.

David Valentini