Da Gogol' Maps a "Una notte al Museo Russo": la San Pietroburgo di Paolo Nori

 


Una notte al Museo Russo
di Paolo Nori
Laterza, 2024

pp. 144
€ 15,00 (cartaceo)
€ 9,99 (ebook)


La casa editrice Laterza ha inaugurato la collana "Una notte al museo", nella quale uno scrittore trascorre una notte in un museo e ne traccia un profilo, un racconto, narra le sue suggestioni. Il primo numero di questa collana è stato affidato a Paolo Nori, che ci porta al Museo Russo di San Pietroburgo. In realtà, come lo stesso Nori  spiega all'inizio del libro, gli era stato chiesto di scrivere su una notte all'Ermitage, ma lui, reputando più rappresentativo il Museo Russo, perché nell'Ermitage si trova arte occidentale, non russa, ha scelto quest'ultimo.
Si inizia subito sul dualismo Russia/Occidente, che è un tema che torna spesso in questo libro: 
Hanno vietato, all'inizio di marzo del 2022, delle lezioni che mi avevano chiesto di tenere su Dostoevskij e una mia amica che abita a Mosca mi ha mandato, due giorni dopo la censura, una fotografia di un grande cartellone pubblicitario dove c'era scritto «In Italia vietano le lezioni di Dostoevskij. Noi invece Mark Twain lo leggiamo ancora volentieri». "Come se Mark Twain fosse un autore italiano", ho pensato. E poi ho pensato "Ma no, hanno ragione loro, è un autore occidentale. Anch'io, sono un occidentale". Ecco quest'ultimo viaggio in Russia è stata la prima volta che, in Russia, mi sono sentito un occidentale. Neanche un italiano, un occidentale. (pp. 48-49).

Paolo Nori, che da anni guida dei Gogol' Maps, cioè dei tour letterari per Mosca e San Pietroburgo per gruppi di 20/25 persone, ha accettato la sfida di tornare in Russia, nonostante sia dovuto atterrare a Helsinki e proseguire in pullman e nonostante, si sa, gli occidentali possano là usare solo i contanti. 

Leggere questo strano libro, un po' reportage, un po' memoir, il giorno dell'attentato a Mosca, sembra un ennesimo monito per ricordare la bellezza, la poesia, la sensibilità della cultura russa, così come appassionatamente e instancabilmente ce la racconta Paolo Nori, anche in questi anni in cui a parlare di Gogol' e Dostoevskij si rischia di essere considerati filorussi. Ma Nori non ha problemi a dichiararsi un filorusso:

Io sono innamorato, da trentadue anni, di un paese straordinario, dove si parla una lingua straordinaria e dove vive della gente straordinaria che ha generato una cultura straordinaria. Immaginare, poi, che la mia ammirazione per la lingua, la cultura e la gente russa, sia necessariamente ammirazione per i governanti, russi, sarebbe come immaginare che le migliaia di studenti che vengono, tutti gli anni, in Italia, ci siano venuti e ci vengano perché hanno ammirato e ammirano Paolo Gentiloni, o Giuseppe Conte, o Enrico Letta, o Matteo Renzi, o Giorgia Meloni, o Mario Monti. (p. 91)

L'idea che i colori della bandiera dell'arte non possano mai coincidere con quelli del potere politico attraversa le pagine di Una notte al Museo Russo, che in realtà è un museo che finisce per essere visitato di giorno. Dopo giorni di scambi di email per ottenere il permesso di visitarlo di notte, Paolo Nori e i suoi due compagni di viaggio (il fotografo Claudio Sforza e il regista Alessandro Freno) devono visitarlo di giorno, un lunedì mattina, mescolati agli altri visitatori. 

Quella del Museo Russo è la più grande collezione d'arte russa al mondo ed è esposta in ordine cronologico. Superate le sale con le icone e quelle con i ritratti settecenteschi, in pittura come in letteratura, sembra a Nori che la Russia inizi a trovare una propria e inconfondibile voce tra l'Ottocento e il Novecento. 

E mi viene in mente, adesso che questo libro è quasi finito, che in questo libro, che inaugura una collana che si intitola «Una notte a...», non si è mai parlato di cose che succedon di notte. Forse perché noi, io e Claudio, abbiamo un po' una certa età e, di notte, dormiamo, oramai. E Alessandro, che è più giovane, è gentile, si adatta ai nostri ritmi. Dormiamo, di notte, siam stanchi, che non andare al Museo Russo per cinque giorni di seguito è una cosa faticosa, alla nostra età. (p. 124)

Scritto con lo spirito surreale e paradossale che Nori ha assorbito dalla frequentazione di poeti e romanzieri russi, Una notte al Museo Russo non è, e meno male, un libretto illustrativo delle opere custodite in tale museo, non è una spiegazione dell'evoluzione dell'arte russa, ma è il vissuto dello spirito russo nella vita di un occidentale. È la testimonianza di come un incontro con una poesia russa possa fare prendere a una vita un sentiero che la renderà diversa, che risveglierà suoni e colori che altrimenti non sarebbero stati conosciuti. Ma, allo stesso tempo, se la ferita causata dalla conoscenza di Dostoevskij sanguina ancora, quando Paolo Nori parla di cultura russa ho sempre l'impressione che parli di difesa dell'idea di cultura e di letteratura in generale, usando quello che sta succedendo in questi anni, dall'inizio della "operazione speciale" in Ucraina, solo come uno specchio per guardare cosa siamo diventati, con le nostre codardie, utilitarismi, senza il coraggio che ci vuole non solo per fare ma anche per difendere la letteratura. E, se quanto sta accadendo è lo specchio, come disse Gogol', in una frase che viene messa ad epigrafe di questo libro, «Non è colpa dello specchio, signori, se le vostre facce sono storte».

Deborah Donato