Una disciplina da fachiri: l'arte di tradurre. Ottavio Fatica con "Lost in translation" per Adelphi


 

Lost in translation
di Ottavio Fatica
Adelphi-Microgrammi 20, febbraio 2023

pp. 61
€ 5 (cartaceo)
€ 1,99 (ebook)


Uno dei più grandi traduttori dei nostri tempi, Ottavio Fatica non ha bisogno nemmeno di presentazioni, eppure è doveroso ricordare che a lui dobbiamo gioielli in italiano come Il Signore degli Anelli e Moby Dick, e la cura di alcuni testi (sempre per Adelphi) di Kipling, Byron, Yeats, London.
Proprio perché fan di LOTR era obbligatorio per me leggere questo libricino davvero piccolo - si tratta d'altra parte di un Microgrammo 20 di Adelphi che praticamente sta in una mano - e sentire la sua opinione sull'arte di tradurre.
Chiarissimo riferimento al film di Sofia Coppola "Lost in translation" il titolo di questo mini saggio ci fornisce subito un indizio orientativo: lost in inglese vuol dire perso/i, ma il termine racchiude una doppia anima, quella di bussola e quella di smarrimento, spesso nello stesso momento.
Forse no. Basta pensare alla letteratura. Perché sia letteratura occorre leggerla, è il lettore a farla vivere: rivivere ogni volta. Il cuore di un libro, diversamente da quello dell'uomo non cessa mai di battere del tutto, entra in una sorta di catalessi e nell'esercizio delle sue funzioni vitali, come la lettura e la traduzione, tornerà a pulsare. (p. 32)
Traduzione come funzione vitale dunque. Sembra quasi scontato dirlo, eppure cosa ne sarebbe di alcuni testi classici se non fossero arrivati fino a noi? Ottavio Fatica rappresenta il traduttore come una guida, uno sherpa, come una sorta di traghettatore che prende per mano il lettore e lo porta da una sponda all'altra, da una lingua all'altra. E se è vero che grandi sono i rischi di tradurre una prosa, ancora più difficile e periglioso è tradurre la poesia.
La traduzione di una poesia è una poesia che ha in un'altra poesia la sua ragione d'essere. Il traduttore è il poeta del poeta, per Novalis, un poeta al quadrato, e se una poesia è da tradurre nella sua stessa lingua, la sua traduzione poi in altra lingua, e poi di nuovo in versi, sarà un'opera al cubo. (p. 28)
Quanto è difficile l'arte della traduzione? Spesso non ci pensiamo quando leggiamo un testo, il traduttore - che è cesellatore - ci fornisce un prodotto bello e pronto, ma come sappiamo che quella modifica, quella cancellazione, quella specifica traduzione, siano corrette? Non possiamo, dobbiamo fidarci. In queste sei minuscole digressioni, Fatica ci dice che il suo mestiere è masochistico, è una disciplina da fachiri, e come dargli torto? Pensiamo a cosa abbia significato tradurre un testo come Il Signore degli Anelli, entrare nella mente di Tolkien, interpretare la sua filosofia, rendere tangibile al pubblico italiano La Terra di Mezzo. Solo a pensarci mi sale il mal di testa.
Eppure è uno sporco lavoro (è così?) e qualcuno deve pur farlo.
Il libricino è davvero brevissimo, si legge in dieci minuti, ma contiene tanta saggezza condensata in poche, illuminate parole. 

Deborah D'Addetta