#LectorInFabula - Quelle storie che fanno paura: "Biancaneve e altre fiabe dei fratelli Grimm", illustrato da MinaLima

 



Biancaneve e altre fiabe dei fratelli Grimm
Illustrate da MinaLima
L’ippocampo, 2022

pp. 224
€ 29,90 (cartaceo)

 
Fa tanto parlare, in questi giorni, la decisione da parte dei detentori dei diritti di
Roal Dahl di ristampare i suoi volumi più famosi in una forma addolcita, più inclusiva, priva di quei termini che potrebbero creare disagio in un giovane lettore. La scelta editoriale ha scatenato un dibattito accesissimo, in cui tante voci si schierano contro quella che pare una sottovalutazione da un lato della natura dell’opera stessa, concepita come frutto della precisa volontà di un autore in un dato tempo e luogo, dall’altro dello spirito critico in divenire del bambino, che spesso si avvicina alla letteratura con la mediazione di un adulto e ne trae importanti insegnamenti per la vita (o anche solo altrettanto importanti momenti di svago e leggerezza). Senza voler entrare nel merito della discussione, ci si trova però inevitabilmente a ripensarci nel momento in cui si mette mano sulle fiabe dei fratelli Grimm, edite da Ippocampo in uno dei meravigliosi volumi illustrati da MinaLima. Ormai abituati alle versioni disneyane che le hanno decisamente edulcorate (laddove lo zucchero assume spesso e volentieri la forma del lieto fine romantico, in cui può trionfare, oltre al vero amore, anche la magnanimità di principi e principesse nei confronti dei cattivi), rischiamo a volte di dimenticare com’erano nella loro versione originale.
Biancaneve, per esempio, ha solo sette anni quando è costretta alla fuga nel bosco, tanto che nel testo si parla di lei sempre come di una bambina. Dopo il morso alla mela avvelenata, il suo corpo rimane talmente bello e delicato che un principe di passaggio chiede di poter comprare la bara di cristallo, o di averla in dono, per poterla contemplare (!). Non c’è poi alcun bacio salvifico: quando i servitori incaricati del trasporto inciampano in una radice, la scossa le fa espellere il boccone letale e la piccola si risveglia. Alla festa di nozze sarà invitata anche la matrigna, a cui verranno fatte indossare pantofole di ferro rovente, affinché balli fino alla morte.
Ne La bella addormentata sono molti i principi che muoiono miseramente intrappolati tra i rovi, mentre cercano invano di liberare Rosaspina. E quello che riuscirà finalmente a baciarla (questa volta sì, ma del resto la giovinetta, pur essendo priva di sensi, è già quindicenne…) riesce soltanto perché sono trascorsi i cento anni prescritti dalla maledizione. O ancora, è noto che in Cenerentola le sorellastre si amputino parti di piedi per poter entrare nelle scarpette dorate e sposare il principe. Quello che forse viene dimenticato è che è la loro madre, dominata dall’ambizione, a spingerle a farlo (“Tagliati il dito; quando sei regina, non hai più bisogno di andare a piedi”, 62), e che il padre della ragazza non è morto, lasciandola orfana e in balia della matrigna, ma semplicemente stolido e poco presente (“Non avete altre figlie?” “No” disse l’uomo “c’è soltanto una piccola Cenerentola tristanzuola, della moglie che mi è morta: è impossibile che sia la sposa”, 63).
Le fiabe antiche fanno paura, è innegabile. Ti portano fuori dalla tua zona di comfort, sono fatte per metterti a disagio. Vogliono mostrare al bambino i lati oscuri del reale, prepararlo al fatto che non ci sono solo persone buone al mondo e che spesso bisogna guardarsi dai pericoli inaspettati, da cui non necessariamente un animo virtuoso basta a salvare (anche se spesso dalla generosità tenuta nei confronti degli altri scaturiscono gli aiuti che arrivano provvidenziali nel momento del vero bisogno). Lo fanno spostando la narrazione in un luogo e in un tempo non definiti, in un altrove che un po’ protegge dall’eccessiva vicinanza, un po’ universalizza. Lo fanno creando una formularità che prepara e accompagna, ma senza disinnescare l’elemento macabro, grottesco, perturbante. Tanti di noi sono cresciuti con i testi dei fratelli Grimm, in realtà eredi di una tradizione molto più lunga, di racconti mormorati davanti a un focolare, o a filo di un cuscino. Molti studiosi (il più noto è forse Bettelheim) hanno voluto leggere i significati profondi, freudiani o comunque psicanalitici di queste narrazioni; ne hanno studiato il potenziale apotropaico, la funzione esorcizzante. 
C’è quindi da chiedersi se sia davvero necessario attenuare a tutti i costi: se da un lato, da adulti, vorremmo che i bambini si confrontassero il più tardi possibile con le brutture del mondo o con le loro angosce più profonde (che dire di un padre che abbandona nel bosco i suoi figli nelle grinfie di una perfida strega che li vuole divorare, come accade in Hänsel e Gretel?), dall’altro le fiabe sono un’occasione per portarle a galla, sezionarle, mettere a nudo proprio ciò che destabilizza, cercando di capire perché destabilizza. O anche, perché no, lasciarle agire, fermentare, nel processo di crescita a cui ogni bambino è prima o dopo chiamato. Le fiabe, come metafore dell’esistenza, si fanno da sempre ambienti di apprendimento, che anticipano emozioni ed esperienze che il giovane ascoltatore dovrà fare, anche se si spera il più tardi possibile (la perdita, il dolore, la solitudine, l’ingiustizia subita…). 
Ecco allora perché è prezioso un volume come quello curato da MinaLima, che permette di riportarle alla luce in un momento in cui forse non sono più “di moda” – anche se noi sappiamo bene, sulle orme di Calvino, che un classico non cessa mai di essere tale. I due grafici ricercano questo risultato attraverso delle animazioni in cui superano se stessi, in cui rivive anche visivamente la natura oltranzista dei testi rappresentati: sfogliando le pagine, è possibile veder crescere i rovi intorno al castello di Rosaspina, veder volteggiare una Cenerentola rivestita d’oro sul pavimento arabescato del palazzo; possiamo osservare il principe arrampicarsi su per l’alta torre di Raperonzolo, vedere dispiegarsi il corteo dei danzatori ne Le scarpe logorate dal ballo, o scrutare dentro la pancia decisamente sovraffollata del lupo di Cappuccetto Rosso. Le fiabe parlano ancora una volta, violente, potenti, bellissime. Vive, per i bambini di oggi, come per quelli di ieri, che noi siamo stati.

 
Carolina Pernigo