#CritiCOMICS - "Roots - Radici": sulle orme dell'altro per trovare se stessi. Migrazioni di ieri e di oggi, nel graphic memoir di Bruna Martini




Roots - Radici
di Bruna Martini
BeccoGiallo, 2023
 
pp. 234
€ 22,00 (cartaceo)

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Una fotografia ingiallita dal tempo, un nome dalle risonanze antiche, un testamento che reca un’omissione inspiegabile, e la necessità per chi vive altrove di strappare alla polvere la storia dei propri antenati, che si sa essere anche la propria. La curiositas, motore dell’esistenza umana, agisce anche qui da propulsore a una ricerca che è prima di tutto un viaggio, reale e metaforico. Al centro del nuovo graphic memoir di Bruna Martini (ma si ricordi che ogni definizione è necessariamente riduttiva, data la natura particolarissima dell’opera) si trovano infatti due vicende di migrazione, una che riporta al primo Novecento e una molto recente, entrambe in qualche modo atte a parlare di una certa italianità, che viene definita proprio nel momento in cui i due protagonisti lasciano la terra natale.
Filo sottile che attraversa le pagine del volume è il tema dell’estraneità del migrante, che finisce per non sentirsi davvero parte di alcun luogo, come ricorda anche la citazione, improvvisa e folgorante, della ungarettiana In memoria (“non sai più vivere nella tenda dei tuoi dove si ascolta la cantilena del Corano gustando un caffè”). È per ricercare lo “zoccolo duro di se stessa” che l’autrice sceglie di calcare le orme di un suo misterioso antenato, Gracco Cornelio, che ha lasciato il paese, sulle sponde del ramo di Como, dove la sua famiglia ha vissuto per generazioni, per partire alla volta dell’Argentina. Lo fa, con lo stile già sperimentato in Patria, attraverso un collage efficace e suggestivo di foto d’epoca color seppia, documenti originali riportati sulla pagina e schizzi colorati che integrano le une e gli altri, raccordandoli nel tessere la trama romanzesca. Si verifica anche il particolare rovesciamento per cui spesso, tra le pagine, l’autrice si rappresenta in forma di fumetto, mentre riserva ai suoi personaggi la dimensione del reale, estrapolata dalle foto d’epoca. Del collage si avvale anche la tecnica narrativa: l’autrice costruisce infatti l’opera grazie a frequenti salti temporali e cambi di focalizzazione, muovendosi con disinvoltura tra il presente, dove lei stessa viene descritta come una italiana che ormai vive all’estero, e diversi momenti del passato, recuperati in modo non sequenziale.
La ricerca di Bruna la porta sui luoghi in cui il suo antenato è cresciuto, in primo luogo a Calolzio, in botteghe di antiquariato, fabbriche tessili, archivi comunali e religiosi, nella villa che un tempo era stata dei Rondalli. Tutta la famiglia viene coinvolta nelle ricerche, perché ciò a cui si vuole risalire sono delle radici comuni, ma anche il senso più profondo del partire.
Mentre emergono, sullo sfondo, a spiegare l’inquietudine di Gracco Cornelio, i fermenti del primo Novecento, il malessere dei contadini, il sogno e le lusinghe della Terra Promessa, le istanze socialiste e le grandi migrazioni, l’autrice si chiede quanto la storia del suo antenato possa chiarire anche la propria: 
Siamo noi i proprietari della nostra testa, delle nostre inclinazioni? O forse il senso del sé non è che un lascito del passato?
Lei stessa, infatti, ha scelto di lasciare il luogo natale allentando alcuni fili che la tenevano legata, prime fra tutte le convenzioni sociali e famigliari che le “avevano insegnato che esisteva una sola direzione in cui incanalare la propria vita… e da lì non si poteva sviare”. Ha approfittato della maggiore libertà del presente, della concessione fatta dal progresso al desiderio di autorealizzazione e felicità. Nonostante si parli di “sradicamento”, l’allontanamento non recide le radici, ma le rende più nitide, aiuta a delineare in maniera più lucida chi si è diventati e da dove si proviene:
lo sradicamento ha il merito di reinventarti. Di abbattere le rigidità campaniliste e smussare gli angoli dell’abitudine, per aprirti ad altri modi di affrontare le cose. È come se portasse in superficie gli aspetti più veri del tuo io. Smetti di essere l’estensione di un cognome: non sei più Rondalli, ma Gracco.
Proprio nel momento in cui ti inserisci in un’altra tradizione e la fai tua, nel momento in cui appari più che mai un “disertore”, riscopri il bisogno di tornare indietro, di capire cosa ha fatto di te quello che sei ora. Come Bruna, anche Gracco è stato disertore, ma concretamente, nel fuggire alla chiamata alle armi della Prima guerra mondiale, oltre che alle aspettative della famiglia che prevedeva per lui un tracciato già segnato. Quando Gracco parte, l’Italia è ancora bambina: gli ideali risorgimentali, che avevano trascinato gli slanci idealistici dei decenni precedenti, hanno iniziato a raffreddarsi e l’idea della Nazione non è ancora riuscita a radicarsi in tutti gli strati sociali. Il viaggio in mare è una babele di lingue, il confronto improvviso con la varietà dell’umano. L’aver provato la stessa impressione al suo arrivo a Londra spinge Bruna a empatizzare col suo antenato. Nonostante la differenza sostanziale nelle motivazioni della partenza, i migranti hanno sempre qualcosa in comune: la necessità di ridefinire un’identità che il viaggio inevitabilmente trasforma. L’approdo nel nuovo paese richiede di silenziare in sé tutto ciò che potrebbe alimentare gli stereotipi; in questo modo, però, si rischia di mettere a tacere del tutto la propria italianità, e di conseguenza di perdersi. Solo se le radici sono forti questo non avviene, e al posto della sostituzione si ha una integrazione di elementi, la povertà diventa ricchezza, le radici danno fiore e poi frutto.
Come in un detective novel, Martini segue le tracce lasciate da Gracco, assembla le informazioni, abbandona piste infruttuose e a volte si lascia sorprendere dalle scoperte impreviste che le carte perse e ritrovate portano con sé. L’indagine della memoria, appassionatamente condotta, porta a una soluzione che non è solo la ricostituzione materiale di un albero genealogico, ma una ricerca esistenziale, in cui parlando dell’altro si parla anche di sé.


 Carolina Pernigo