Le donne invidiose, spregevoli, possessive e senza scrupoli di Michael McDowell nel primo volume di "Blackwater"

 blackwater mcdowell



Blackwater I - La piena
di Michael McDowell
Neri Pozza Beat, 2023

traduzione di Elena Cantoni

pp. 256
€ 9,90 (cartaceo)
€ 4,99 (e-book)


È il 1983 quando Michael McDowell dà alle stampe Blackwater, una saga gothic horror di sei libri, che ha conquistato fin da subito gli appassionati del genere. E perché mettere in dubbio il buon gusto sinistro dei lettori, se il “King of Horror”, Stephen King, lo ha definito il miglior autore di libri tascabili d’America fino alla metà degli anni ‘80? Persino Tabitha Jane Spruce, moglie di King, dopo la morte di McDowell avvenuta improvvisamente nel dicembre del 1999, ha deciso di rivedere e completare il suo ultimo romanzo rimasto incompiuto, Candles Burning (Come candele che bruciano, Sperling & Kupfer, 2006). Insomma, una garanzia del genere oscuro, che Neri Pozza Beat ha deciso di recuperare con la pubblicazione, ogni quindici giorni a guisa di feuilleton, dell’intera saga Blackwater in sei preziosi e affascinanti volumetti, tutti finemente decorati di nero e oro.

Tuttavia, il geniale sceneggiatore di Beetlejuice - Spiritello porcello (Tim Burton, 1988) e di Nightmare Before Christmas (Henry Selick, 1993), all'ouverture del volume I di Blackwater, La piena, dà l’impressione di aver trascorso molto tempo con le dita sospese sulla macchina da scrivere, in attesa di un’ispirazione decente per l’incipit di una saga. A onor del vero, le prime trenta pagine sono piuttosto triviali, colme di cliché prevedibili e per nulla paurose, al contrario un tantino soporifere. Ma andiamo con ordine.

Siamo a Perdido, una piccola cittadina della Baldwin County in uno stato immiserito, l’Alabama, dove tutti sono battisti conservatori convinti. È la domenica di Pasqua del 1919, eppure di resuscitato non c'è nulla, dato che il paesino risulta completamente sommerso da sei metri di acqua limacciosa e fetida rovesciata con violenza da una terribile alluvione che ha fatto esondare i fiumi Perdido e Blackwater che una volta attraversavano la cittadina. Insomma, lo scenario odora già di morte. E se nel credo religioso l’acqua dona la vita e purifica le anime, nell’immaginario di McDowell essa dà alla luce sinistre presenze, come la nostra indiscussa protagonista, Elinor Dammert, che il bello e ricco Oscar Caskey e il suo servo Bray, a bordo di una barchetta verde (scelta cromatica forse evocativa di una qualche speranza di riuscire a recuperare pezzi di vita) intravedono tra le finestre dell’unico hotel del paese ormai imputridito dal maleodorante letto di fango, cosa alquanto improbabile e allo stesso tempo inquietante dati i quattro giorni ormai trascorsi dall’inondazione.

Tutto sommato, gli elementi narrativi promettono di spaventare e affascinare il lettore quanto basta, se non fosse per alcuni stereotipi, che seppur verosimili per l’epoca trattata, fanno arricciare un po’ il naso, come il capello rosso della misteriosa donna recuperata dalla melma (eppure in perfetta forma fisica, oltre che avvolta da abiti asciutti e inamidati) che «probabilmente aveva anche un bel caratterino; chiunque avesse i capelli di quel colore lo aveva» (p. 83). Inoltre, vi è una ridondante, a tratti seccante, netta divisione tra bianchi e neri, padroni e servi, donne e uomini, grandi e bambini; e l’unico personaggio che potrebbe apparire un progressista dei primi anni ‘20, il bello e ricco Oscar Caskey che se ne infischia delle differenze sociali ed è garbato con tutti, da ragazzo colpì il suo servo in testa con un asse di legno, poiché questi non voleva adempiere ai suoi compiti. Alla faccia del progresso!

Fortunatamente McDowell, dopo una prima incertezza letteraria, si è ravveduto e ha iniziato a sviluppare una trama piuttosto ordinaria, ma apprezzabile per la sua attendibilità, intrecciando equilibri e instabilità sociali emersi in superficie dopo la tragica piena: le segherie di Perdido davano lavoro a tutto il paese, ben 339 uomini e 22 donne, neri e bianchi, tra i 7 e gli 81 anni, che all’improvviso si ritrovano a dover ricominciare tutto daccapo. Ma l’intreccio più interessante e terrificante, a parte la comparsa di Elinor Dammert dai capelli cremisi, è la furia delle donne, che in qualche modo comandano gli uomini e i figli della cittadina americana. Le protagoniste di Perdido sono invidiose, spregevoli, possessive e senza scrupoli. In definitiva, un “covo di vipere”, espressione che, seppur desueta nell’utilizzo linguistico dell’era contemporanea (almeno per chi si dichiara politically correct), pare parecchio palpabile per Michael McDowell. Per esempio, Mary-Love la madre del bel Oscar che di amore e della santa Maria non ha proprio nulla, venuta a conoscenza della presenza della attraente e misteriosa donna dai capelli rosso fango, teme che la nuova arrivata possa destabilizzare la routine dei rapporti familiari, fino ad insinuarsi tra di loro, scavandosi «una nicchia così profonda nel fango di Perdido che non si riuscirà più a tirarla fuori, nemmeno con una corda legata intorno al collo - ah, come vorrei che ce l’avesse davvero - e un tiro di diciassette uomini» (p. 66).
Per non parlare di Sister e Genevieve, rispettivamente figlia e cognata di Mary-Love, che se in un primo momento paiono apprezzabili per pensieri anticonformisti e atteggiamenti moderni, successivamente si svelano nella loro femminile ottusa crudeltà.

Nondimeno, Elinor Dammert si è palesata nella cittadina dell’Alabama per uno scopo ben preciso, vestito di nero e di morte, di maleficio e stregoneria, che, seppur accennato nel primo volume della saga Blackwater, offre un brivido terrificante con morti al limite del genere splatter, e sparizioni misteriose nelle acque agitate dei due fiumi confluenti. Inoltre, l’elemento che rende angosciosa l’opera di McDowell è l’uso del male attraverso le doti propriamente femminili, come la bellezza, la seduzione, la parola manipolatrice, e non per ultimi, il silenzio e l’apparente calma, ossia un vortice di una forza centripeta da cui è altamente improbabile uscirne vivi.
«Le donne sono le prime a scoprire le cose, poi le comunicano agli uomini - altrimenti loro non scoprirebbero mai nulla - e in seguito alla servitù. I bambini sono sempre gli ultimi a sapere. Anzi, a volte continuano a restare ignari, persino da adulti. Esistono segreti che muoiono [...]» (p. 230).
Ancora una volta è Mary-Love a offrire parole sibilline; madre, suocera e vicina di casa indiscreta, ostile, detestabile, che odia le donne per cui gli uomini della sua famiglia perdono la testa. Il lettore potrebbe avere quasi il dubbio che il reale spavento lo avrà con quest'ultima, anziché per via della maledetta Elinor che decide tutto il male altrui in silenzio, McDowell gratias.
L’elemento ancor più preoccupante è il pensiero degli uomini protagonisti rispetto alla sfera femminile di casa propria; essi ne riconoscono il carattere volitivo e dominante, ma non tracciano differenze tra una donna e l’altra, al contrario preferiscono rimanere convinti che tutte siano praticamente identiche. Che sia una strategia per fare i finti tonti?

Ciononostante, non dimentichiamo che a Perdido sono tutti battisti conservatori, e la lezione di scritture sacre e la funzione domenicale devono essere accolte come un grande evento sociale: quale momento migliore per tessere invidie e fare sfoggio delle apparenze più grottesche?

Elinor Dammert non può che essere assolta, almeno in questo primo volume.
Per il resto, non ci resta che attendere il secondo, in uscita oggi, 31 gennaio 2023. 


Olga Brandonisio