Il primo romanzo del premio Nobel portoghese, finora inedito: Saramago prima di Saramago in "La vedova"


 

La vedova
di José Saramago
Feltrinelli Editore, ottobre 2022

Traduzione di Rita Desti

pp. 320
€ 20 (cartaceo)
€ 11,99 (e-book)


Apro questa recensione dicendo che il romanzo mi ha conquistata già dalle prima frasi della prefazione dell'autore stesso. Forse è questa la grandezza di autori del calibro di José Saramago?
"La vedova", pubblicato da Feltrinelli, esce per la prima volta nel 1947 in Portogallo, con un titolo che lo scrittore non amerà mai, ovvero "Terra del peccato". Ce lo racconta nella prefazione, talmente povero e timoroso a quell'età - aveva solamente ventiquattro anni quando scrisse il romanzo - da cedere al capriccio dell'editore. In occasione allora del centenario della sua nascita, Feltrinelli ce lo regala finalmente col titolo originale voluto dall'autore.
Posso dire che si tratta di un romanzo puro? Siamo abituati al suo stile peculiare, specialmente nei suoi titoli più celebri, come "Cecità" o "Le intermittenze della morte" - punteggiatura ribelle, periodi molto lunghi, assenza di segni d'interpunzione o di domanda - e a differenza di questi, ne "La vedova" ci troviamo di fronte a uno stile narrativo più classico, più da Romanzo con la R maiuscola. Lascia però intravedere tutto il genio e l'interesse sensibile che avrà per gli stati d'animo dell'umanità, per le sue ossessioni, per i quesiti che non hanno risposta. 
La storia si svolge nella regione del Ribatejo, l'unica in tutto il Portogallo a non avere affaccio sull'oceano e a non confinare con altre nazioni, una sorta di nostra Umbria. Qui, nella natura più sfrenata assoggettata ai ritmi delle colture e al susseguirsi delle stagioni, Maria Leonor perde all'improvviso il marito, restando di fatto vedova. C'è però una Tenuta immensa da amministrare, servitori da controllare, figli da crescere, ma Maria cade in uno stato allucinato e malato che quasi porta anche lei alla morte. Circondata da alcuni personaggi chiave, su tutti Benedita, la sua serva zitella personale, il fratello del marito defunto, António, e il dottor Viegas, si riprenderà per miracolo, ma mai del tutto, fluttuando tra illusioni e allucinazioni, tra eccessi di gioia e baratri d'oscura tristezza.
"Interessante! Di tutti i miei malati, sei quella che ha avuto più ricadute, e solo io so quanto impegno mi ci vuole, ogni volta che succede, per rimetterti in piedi. Tu vivi tra entusiasmi repentini e depressioni prolungate, e io, con la mia scarsa abilità a scalare le montagne, sono costretto a seguirti in questi alti e bassi". (p. 237)
Causa scatenante di questo suo stato d'animo, oltre al lutto, è la presenza onnipresente di Benedita: la serva, che la conosce fin da ragazza, comincia a diventare la sua nemesi, in una muta lotta di nervi che sfiancherà entrambe, ma Maria un po' di più. Benedita: un personaggio geloso, ultracattolico, malpensante, ma in fondo ossessionato dalla padrona, dai suoi gesti, dalle sue azioni, che devono essere controllate, sezionate, giudicate. Proprio in un pomeriggio infausto, assisterà (o forse no?) a una scena maledetta e da quel momento si dichiarerà sua nemica giurata. La narrazione quindi prosegue in un crescendo di tensione palpabile: Benedita parlerà? Svergognerà Maria agli occhi dei suoi servi e dell'intero paese? 
Le uniche sue consolazioni saranno le chiacchierate, anche deliziosamente filosofiche, con il dottor Viegas e con il parroco della zona, Padre Cristiano. Divisa tra doveri e la vaga sensazione di doversi abbandonare ai suoi impulsi, Maria entra nel cuore del lettore, così umana, fragile, tormentata dai vivi e dai morti. E, per contro, lo stesso lettore inizia a odiare le cause del suo malessere. 
E nel silenzio della casa assorta, estranea al suo martirio, Maria Leonor levò al soffitto i pugni chiusi col desiderio di morire in quell'angoscia voluttuosa, intorpidita dai profumi della notte, nell'ansia di dissolvere il corpo e lo spirito nel vino caldo e inebriante che le scorreva nelle vene. (p. 143)
Maria non ha vie di mezzo: ora una bambina terrorizzata, ora una capricciosa matrona, cerca di scoprire il suo posto nel mondo come donna sola. Nella costruzione del suo personaggio, ma soprattutto in quello dell'odiatissima Benedita, si scorge già quello che sarà il famoso Saramago: un chirurgo che viviseziona le emozioni, la complessità della mente umana, le contraddizioni dei loro comportamenti, non disdegnando né indignazione né una certa pietà per loro.
Il finale del libro, inaspettato, pare risolvere tutto d'un colpo, come per magia. 
Il personaggio di Maria Leonor ha qualcosa in comune con le eroine dei grandi romanzi del 1800, quella svenevolezza facile, i propositi dapprima fermi e poi sgretolati alla minima folata di vento, la bellezza erotica ma ritrosa, l'educazione nobile. I suoi stessi figli, Júlia e Dionísio, ne subiscono il carattere volubile, ma sono anche delle piccole ancore di salvataggio a cui lei si aggrappa per non arrendersi. 
Sarò banale dicendo che è un romanzo che ci consegna una grande eroina, una di quelle destinate a restare nella memoria, al pari di Madame Bovary, Margherita Gautier o Lady Chatterley. 

Deborah D'Addetta