Adelphi, 2018
€ 15,00 (cartaceo)
Negli anni Quaranta lascia il vecchio Continente, si trasferisce in Messico,
sposa il fotografo ungherese Imre Weisz e trascorre il resto della sua vita a Città
del Messico. Grazie all’incontro e alla frequentazione di artisti locali, nei
suoi lavori di pittura e di prosa mescola felicemente le esperienze surrealiste
alle culture autoctone.
Il latte dei sogni è un libro edito da Adelphi che rimanda a quel mondo favoloso e magico, a tinte volutamente nere, che popola l’universo immaginario della Carrington. Il libro, scritto e illustrato dall’autrice, è stato realizzato dalla stessa per rassicurare i due figli, Gabriel e Pablo, perché erano spaventati dai disegni che vedevano in casa della mamma e Carrington decide per esorcizzare i loro timori di raccontare e illustrare storie bizzarre e strambe, che sono state dapprima raccolte in un quaderno e poi sono diventate “un libro diverso da tutti”.
Il risultato sono sessanta pagine, tradotte dalla bravissima Livia Signorini, di racconti dell’assurdo, dieci storie oniriche e fantastiche, nelle quali il lessico si lega simbioticamente alla dimensione dell’irrazionale. La struttura della pagina, segnata da una grafia e da caratteri che cambiano di colore e addirittura di direzione (in alcuni casi le frasi sono scritte per obliquo), stravolge i canoni tradizionali dell’impaginazione.
Il bell’Humbert
Humbert era il bambino più bello della città. Aveva gli occhi azzurri e riccioli d’oro. Era davvero stupendo, ma era cattivo. Gli piaceva infilare topi nei letti delle sorelle. Le bambine urlavano. Un giorno sua sorella Rose gli mise un coccodrillo nel letto. «AIUTO,» strillo Humbert «c’è un coccodrillo nel mio letto!». Ma Humbert era talmente bello che il coccodrillo gli sorrise amabilmente. Divennero amici. Ora il ragazzino è più cattivo che mai, visto che è sempre in giro con il coccodrillo. (p. 18)
I racconti non hanno una trama puntuale e definita, in alcuni casi non
si trova un inizio o una fine, altre volte sono i dialoghi a costituire la
trama. La lettura di un libro di storie e di arte insieme cattura magneticamente
l’attenzione del lettore, suscitando suggestioni e offrendo molteplici spunti,
in cui la fantasia di piccoli e grandi può vagare e viaggiare in piena libertà,
attraverso trasformazioni e continue metamorfosi.
Il testo è ricco di allegorie, stravaganze e avventure spesso tra il disgustoso e il macabro, come una bimba bifronte che mangia ragni, un bimbo che ha una casa al posto della testa, la signora Lolita Vomito che porta con sé sempre carne marcia da dare ai piccoli per far venir loro il mal di pancia, il macellaio Don Crecencio, che ha un giardino dove non crescono mai fiori.
La storia nera della Donna Bianca
Una donna bianca si vestiva di nero. Nero su nero. Neri i pigiami e pure il sapone. Aveva tutto nero. Nero come la notte. Nero come il carbone. Ma quando piangeva, le scendevano lacrime blu e verdi come pappagallini. Quando suonava il flauto piangeva molto. La donna bianca vestita di nero che piange e suona il flauto. (pp. 42-43)
I disegni, sia a colori che a china, sono rappresentazioni intense ed eccentriche di un mondo senza filtri, inventato e aperto agli sconfinati percorsi dell’immaginazione di ciascuno. Con un connubio tra figure e parole unico e singolare, siamo davanti a un libro assolutamente peculiare, dall’atmosfera sospesa e enigmatica.
Cecilia Alemanni, curatrice della 59.ma Esposizione Internazionale di
Arte per la Biennale di Venezia 2022, ha scelto quest’anno come titolo da dare
alla manifestazione Il latte dei sogni, ispirandosi al testo di Carrington
e motivando così la sua decisione: «La Mostra prende il nome da un libro
dell’artista surrealista Leonora Carrington (1917-2011), che negli
anni Cinquanta in Messico immagina e illustra favole misteriose dapprima
direttamente sui muri della sua casa, per poi raccoglierle in un libricino
chiamato appunto Il latte dei sogni. Raccontate in uno stile
onirico che pare terrorizzasse adulti e bambini, le storie di
Carrington immaginano un mondo libero e pieno di infinite possibilità, ma
anche l’allegoria di un secolo che impone sull’identità una pressione
intollerabile, forzando Carrington a vivere come un’esiliata, rinchiusa in
ospedali psichiatrici, perenne oggetto di fascinazione e desiderio ma anche
figura di rara forza e mistero, sempre in fuga dalle costrizioni di un’identità
fissa e coerente».
Silvia Papa