La salvezza della parola in "Punto di fuga" di Mikhail Shishkin




Punto di fuga
di Mikhail Shishkin
21Lettere, marzo 2022

Traduzione di Emanuela Bonacorsi

pp. 392
€ 19,50 (cartaceo)
€ 9,49 (ebook)

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Una parola scritta in molti casi può fare la differenza: un complimento, un incoraggiamento, o, semplicemente, un resoconto della giornata può donare quel senso di calore diverso rispetto a una conversazione. Può anche aiutare in un momento di sconforto a ridurre, magari, la tristezza o la solitudine; insomma, la parola scritta ha, come in molti hanno già provato, un potere salvifico. Lo dimostra molto bene l’ultimo romanzo di Mikhail Shishkin, Punto di fuga.

Punto di fuga è lo scambio di lettere tra due giovani innamorati, separati dalla guerra: Lui (Volodja) è un soldato volontario che si trova al fronte, Lei (Saŝka) è rimasta nella loro città e cerca di affrontare la vita quotidiana. Fin dai primi giorni della separazione, tra i due s’instaura un profondo rapporto epistolare, dal quale si deduce tutto il loro amore e tutta la loro sofferenza per essere così lontani. Fino a questo punto, sembrerebbe che, nonostante la drammaticità del conflitto vissuto da Volodja, il loro rapporto epistolare non subisca impedimenti, ma, nel giro di pochissime battute, i due iniziano ad allontanarsi nello spazio e, soprattutto, nel tempo, procedendo paralleli uno accanto all’altro, senza incontrarsi mai.

Non so quando potrò spedirti questa lettera, ma la scrivo comunque. Sono successe tante cose in questi giorni che solo ora riesco a parlarti con calma. Ti racconterò cosa mi è successo, ma prima di tutto ciò che più conta: tu sei tutto per me. Più stiamo lontani, più sento la tua presenza. (p. 123)

Le loro lettere diventano a senso unico, rimanendo spesso senza risposta, come se fossero diari asincroni. I due si scrivono, ma non si rispondono mai: se all’inizio tra i due c’è un botta e risposta quasi continuo, questo non durerà per molto. I racconti dei due giovani, piano piano, prenderanno strade diverse: Volodja, nelle sue lettere, documenta tutti i drammi della guerra, nei fatti scrive un reportage bellico con feriti, malattie e la costante paura di morire. Saŝka, invece, racconta la sua guerra personale, cosa le accade, chi ha incontrato o le vicende famigliari delle sue amiche, dilungandosi dunque nel tempo. Le lettere del ragazzo sono limitate, infatti, a pochi mesi, al contrario, invece, delle sue che coprono un periodo notevolmente superiore.

Nelle lettere dei due innamorati si rincorrono i ricordi del passato e dell’infanzia, offrendoci un senso di nostalgia dirompente: se in Saŝka, questo è un leit motiv (quasi tutte le sue lettere iniziano con un ricordo, come quello delle letture in salotto con il padre), in Vodka questo è meno frequente poiché tra le sue parole irrompe un presente che non può essere ignorato. Due tempi si alternano, quindi, tra le loro righe: passato e presente che, intrecciandosi, fanno da guida a una labirintica confessione esistenziale.

Tutto il presente è insignificante e futile se non porta alle parole e se le parole non portano a lui. Solo le parole giustificano in qualche modo l’esistenza delle cose, danno un senso all’attimo, rendendo reale l’irrealtà, mi rendono me stesso (p. 205)

I teneri racconti dell’infanzia di Saŝka, il loro amore e la vita attuale vissuta da Volodja offrono una sensazione quasi di empatia con i due giovani che mettono a nudo le loro anime e si raccontano per quelli che sono, senza nessuna finzione. Scopriamo così che Volodja, prima del conflitto, era un aspirante scrittore, studente universitario e in perenne conflitto con la madre e il patrigno. Saŝka, dall’altra parte, deve fare i conti con un presunto sdoppiamento di personalità e con la presenza asfissiante dell’“altra lei”.

È come se fosse un punto di fuga inverso: se nell’arte o nell’architettura designa due linee parallele che convergono in un punto, attirando la nostra attenzione, in questo romanzo è proprio dall’amore iniziale che si distaccano le loro vite, divergendo sempre più, fino a scorrere una a fianco all’altra. I due epistolari, tanta è la loro potenza narrativa, potrebbero essere letti separatamente e questo non renderebbe meno interessante la lettura. I due amanti si sfruttano vicendevolmente come interlocutori muti per affrontare la vita e, in parte, esorcizzare i dolori, rendendo così ancora più forte il loro rapporto. Il ricordo del loro amore e la speranza di poterlo vivere ancora li spingono a non arrendersi e a non demordere nella ricerca della loro felicità, così che la fuga è tra le righe di quelle pagine.

Più stai lontano da me, più diventi parte di me. A volte non so nemmeno dove finisci tu e dove inizio io. Tutto quello che mi succede è reale solo perché penso a come scrivertene. E senza questo, anche quando mi sento bene, non posso provare gioia. Devo condividerla con te per farla accadere. (pp. 90-91)

Punto di fuga è un romanzo che, solo all’apparenza, si può definire sentimentale, nonostante il sentimento d’amore sia scomposto in tutte le sue infinite varianti; quello che maggiormente conta è la memoria, unita all’immortalità della parola:

Il segreto del déjà-vu sta nel fatto che tutto è scritto una sola volta nel libro dell’esistenza, ma rivive allorché qualcuno legge quella pagina già letta da altri. (p. 74)

I due giovani devono credere con tutte le loro forze che le loro lettere non siano gettate al vento, ma che le loro parole siano lette dall’altro. Shishkin rende la scrittura, uno strumento vitale per i due giovani amanti con la quale riescono ad aggrapparsi alla vita. La forma del romanzo epistolare è, dunque, riproposta e denota tutta sua capacità intimistica: la trama in Punto di fuga è pressoché assente, ma questo non è importante, tanto sono vividi i due protagonisti e la potenza delle loro parole. 

Giada Marzocchi