"Legami feroci" di Vivian Gornick: madri, figlie, donne in una New York traboccante di vita

 

Legami feroci
di Vivian Gornick
traduzione di Elena Dal Pra
Bompiani, 2016

pp. 195
€ 17 (cartaceo)
€ 9,99 (ebook)

 

Ma io, io incameravo il peso delle sue parole, mi imbevevo di ogni suo gesto ed espressione che la accompagnava, di ogni complessa sfumatura di impulso e di intenzione. La mamma, convinta che tutti quelli che ci circondavano fossero non evoluti, e che gran parte di quel che dicevano fosse ridicolo, si impresse su di me come una tintura sul più assorbente dei tessuti. (p. 19)

In certe pagine di Legami feroci si avverte quasi la sensazione che questo sia un libro troppo pieno di vita. Come fa a essere troppo? - viene forse da chiedersi.
Il "troppo" è legato non tanto alla quantità dei temi esistenziali che riunisce, ma alla loro densità. Amore, dolore, morte, famiglia, sessualità, crescita si toccano come punti contigui su una mappa ricca di tappe, uno spazio grande, enorme, che il lettore è chiamato a percorrere senza paura, lasciandosi andare alla prosa di Vivian Gornick che è essenziale come accade nella grande letteratura americana, ma che riesce a seguire dolcemente quell'andamento un po' imprevedibile che hanno le vite di tutti gli esseri umani. Una prosa precisa, mai rigida.
Ci sono due donne che camminano, camminano tanto, in questo romanzo. Lo fanno attraversando una New York cangiante, una città che a volte sfavilla pallida nel sole di primavera, altre è avvolta da una nebbia così densa che entra dalle finestre, altre si staglia nel sole dell'autunno pieno di contrasti. In tutte le stagioni la metropoli di Vivian Gornick è un continuo accadere. "Uno sciame di amabile attivismo umano, un affollamento di appetiti e impegni urbani".
Urbane sono appunto le protagoniste del libro, una madre e una figlia che passeggiano insieme attraverso luoghi e anni, specchiandosi l'una nell'altra con sguardo totale e feroce. 
Il doppio è costante nel romanzo: due donne, due vite, due sguardi, di cui uno è quello della voce narrante di cui si finisce per innamorarsi per la sua onestà intellettuale. Estrema e spiazzante.
Legami feroci è la storia di un rapporto madre-figlia fondamentalmente disfunzionale, fatto di complessità e mancata accettazione, di ingenerosità e di compassioni, di costante attrazione e intima repulsione ("Era alla mamma che appartenevo. Con la mamma era tutto chiaro: facevo fatica a respirare ma ero al sicuro"). Complice la figura di un padre inafferrabile. 
È difficile come lo sono spesso i rapporti familiari, fucina dello sviluppo delle nostre personalità e sede di tutte quelle sommerse tensioni che danno poi luogo ai sogni, alle scelte e ai gesti degli adulti che diventeremo. Vicino alle due donne prende corpo una giostra di personaggi strani e straordinari, la maggior parte dei quali femminili, che gira senza sosta come un satellite attorno al loro rapporto. C'è la descrizione di una New York popolare, del Bronx dell'infanzia nello specifico, di una certa comunità ebraica intransigente e irrigidita nel suo antico senso di colpa, di una militanza politica sfumata in interiore disimpegno, di due generazioni di donne che si sono spinte fuori nel mondo per cercare un proprio posto con esiti diversi. L'io narrante, quello della figlia, segue l'andamento delle passeggiate per riportare a galla i ricordi delle loro vite e il percorso che l'ha condotta fin lì. 

Impeccabile nella partitura strutturale come un'armoniosa melodia urbana, il romanzo di Gornick nelle camminate esprime la funzione della letteratura come arte del progressivo disvelamento dell'umano.
La mappa di New York è la mappa interiore di una donna che ha preso consapevolezza della propria storia familiare attraversandola nel profondo e senza sfuggire al dolore, a quella che viene a un certo punto nominata come "infelicità viva". In un'ideale traiettoria che porta dal Bronx a Manhattan, poche fermate di metropolitana che corrispondono a un lungo viaggio personale, vediamo svolgersi una storia che in molti passi ha in sé delle note stonate. Quale esistenza non le ha. 
Lettura straordinariamente utile per chi sta compiendo un percorso di analisi incentrato sulla propria storia familiare - e più ancora per chi non sa di averne bisogno - Legami feroci è una storia imperniata sulla ricerca di identità. Femminile si direbbe a una prima lettura, identità in senso assoluto si conclude, arrivati alla fine. Certo, la femminilità è potente e totale, anch'essa feroce perché tutto abbraccia e tutto comprende. I personaggi maschili, anch'essi fortemente vivi, impallidiscono un po' di fronte a questo circo di donne straordinarie che appaiono più vivide di loro nel colore e più tese nello slancio. 
Maternità, sessualità, aspirazioni, indipendenza, perdita sono lette in profondità e riscritte in una vicenda che nella sua singolarità accomuna tantissime di noi, a prescindere dall'età e dalla geografia.  
Il conflitto tra queste intime dimensioni viene esplorato senza riserve e il risultato è una galleria in cui modelli di femminilità diversi si confrontano corpo a corpo, suscitando domande e dando poche certezze
C'è tanta analisi in questo romanzo - sebbene la figura di una psicologa venga nominata solo sul finale. Dalle pagine sgorga quella faticosa ricerca di un possibile punto di approdo di quel viaggio che è il passaggio dal luogo recintato della nostra infanzia ai territori sconfinati dell'età adulta, di fronte ai quali ci si trova spesso sprovvisti e impauriti. Il libro parla di quella strenua ricerca di strumenti che ci aiutino a definire chi vogliamo essere, cosa cerchiamo negli altri, perché ci imbattiamo in amori che hanno certe caratteristiche e non altre. Racconta la vicenda di una specifica famiglia, ma in realtà ne accoglie in sé tante diverse. Parla di una donna che ne contiene tante altre. Come scrive Jonathan Lethem nell'introduzione all'edizione Bompiani, l'immedesimazione del lettore con questa storia non ha nulla a che vedere con la pura curiosità per la vicenda della scrittrice o della madre, né con la comunanza di genere. È un'immedesimazione che funziona per altre vie: "quando ci immergiamo nella franchezza bruciante e all'apparenza spiccia del libro ci rendiamo conto di diventare Vivian Gornick...".

Nel testo si fa riferimento più volte a un rettangolo interiore che si allarga a comprendere testa, cuore e inguine. L'autrice lo descrive come uno spazio vitale e creativo che talvolta le è angusto perché non riesce davvero a espandersi diventando un unico tutto.
Finito di leggere Legami feroci questa immagine afferra anche noi ed è spontaneo interrogarsi su cosa comprenda il nostro personale rettangolo, quante emozioni vi stanno dentro, come si sono evolute, che cosa diventeranno. Questo romanzo coraggioso ci spinge a continuare a cercarci e ad amare "senza sconti". 


Claudia Consoli