Tra dedali ed epifanie si mescolano le dieci storie della gente felice di Lars Gustafsson

 

Storie di gente felice
di Lars Gustafsson
Iperborea, 2020
 
Traduttrice Carmen Giorgetti Cima

pp. 224
€ 17,00 (cartaceo)
  9,99 (ebook)

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“A un certo livello di complicazione, tipo quando un ago si è perso in un pagliaio, o un bambino in un paesaggio troppo vasto, non c’è più alcuna possibilità di cercare. Dobbiamo trovare, alla cieca nel buio”. 
Lars Gustafsson (1936-2016) è stato un autore svedese poliedrico e un conoscitore onnivoro: i suoi interessi hanno spaziato dalla filosofia alla poesia, dalla matematica alla drammaturgia, dalla musica all’arte. Pluripremiato in Europa, ha insegnato per vent’anni negli Stati Uniti Storia del pensiero europeo. Prolifico nella sua produzione, il romanzo Storie di gente felice fu pubblicato per la prima volta in Svezia nel 1981, mentre in Italia si deve la sua prima pubblicazione alla casa editrice Iperborea con la tradizione di Carmen Giorgetti Cima. 
Le dieci storie e la postfazione di Ingrid Basso accompagnano il lettore nel vasto universo di Gustafsson, un mondo popolato da personaggi a tratti solitari e nostalgici, altri utopici e sognatori, dove tra atmosfere reali e immaginarie si muovono musicisti, ingegneri, viaggiatori, professori e ferrovieri con la passione della filosofia.
Io vivo come un ferroviere, ma in realtà sono tutt’altro, riprese l’uomo di una certa età. Sono un seguace di Kierkegaard. Prima o poi nel prossimo secolo faranno cicli di lezioni su di me in ogni singola università americana. Di cosa scrive, dunque? mi informai. Filosofia morale … e dove lo trova il tempo? Chiesi rispettosamente … lo sguardo del ferroviere si incupì. Fissò con aria tetra e minacciosa le proprie mani aperte, come se la risposta fosse scritta lì (p. 34).
I protagonisti vivono storie d’amore, si lanciano in confronti tra Occidente e Oriente e si dipanano nell’incessante ricerca di moti di felicità. La gente felice si “nasconde” in quelle esistenze, diverse e differenti, che sono in un continuo e perenne movimento. La gente felice, grazie alle infinite e svariate possibilità che la vita pone dinnanzi, sceglie un percorso, che mai però può dirsi terminato del tutto, poiché labirintico è il cammino di strade e di corsi da intraprendere. 
All’inizio di questo viaggio, ci si imbatte nelle vicende del ricercatore Sven, inviato in Cina durante la rivoluzione culturale per risolvere un problema ingegneristico. Si prosegue poi con il racconto corale “Le quattro ferrovie di Iserlohn”, dove viaggiatori, ferrovieri e persone comuni disquisiscono sul senso della vita.
Zio Sven era ingegnere chimico alla Ferriera e abitava in una delle ville in collina. Era l’unico a Trummelsberg a sapere con assoluta precisione a quale latitudine e longitudine vivesse: a Trummelsberg il sole sorge esattamente otto minuti e ventinove secondi più tardi che a Stoccolma, per differenza di orario verso ponente, e di conseguenza cala otto minuti e ventinove secondi dopo (p. 9).  
Se la città di Atene diventa lo sfondo di un incontro che sembra preludere al più grande, intenso e autentico sentimento che possa esistere, nella città di Goteborg, un fisico insonne consultando l’elenco telefonico scopre che forse potrebbe essere ancora viva la sua prima fidanzata. Una ricerca tortuosa e intricata accompagna un professore di letteratura che non riesce ad allontanarsi dal suo passato, luce e oscurità sono invece i fedeli compagni della protagonista nel capitolo “L’uccello nel petto”. 
Era di nuovo solo. Girò il guanciale, lo piegò a metà come aveva imparato a fare da bambino, quando l’ascensore faceva strani rumori nella vecchia casa di Karlavagen e le ombre si avvicinavano al letto. E il suo ultimo pensiero prima di addormentarsi cullato dai lievi scatti familiari della radiosveglia fu una citazione: L’oscura ebbrezza dell’addio al distacco con gioia segreta conosce il cuore mio e al ciel di ponente di il guardo aperto volgo. In un certo senso non meglio definibile, lui consisteva solo di citazioni. Quanto ciò lo rendesse straordinariamente forte, lo intuiva soltanto (pp. 109-110).  
L’autore è abile nel ricamare trame che si alternano tra il vero e l’onirico, tra il passato e il presente e tra i ricordi e la fantasia. Con fare chiaro e diretto, ben tratteggiati sono i luoghi che elenca e le dinamiche sociali e culturali che li alimentano. Conoscitore di animi e di emozioni, Gustafsson ritrae spazi interconnessi tra loro, dove lega sapientemente la conoscenza all’immaginazione e la leggerezza a questioni più squisitamente dottrinali. 
Con una creatività brillante e con divagazioni illuminate, l’autore pone in scena una variopinta antologia di ritratti, nella quale potente e visionaria è la sua capacità di restituire immagini e suggestioni.
Rivelazioni, anticipazioni e visioni diventano le traduzioni delle molteplici e mutevoli direzioni che ciascuno può percorrere.
Dissolvenze, raffigurazioni dai contorni non definibili e fugaci certezze si manifestano nell’imprevedibile quotidiano e nella singolare e originale manifestazione di se stessi.
 
Tutto il potere nel mondo non si basava forse sulla stessa, grande menzogna: che il senso delle nostre vite si trovi "al di fuori" di noi?
 
Silvia Papa