Quelle vite spezzate nel romanzo d'esordio di Alessandra Carati, "E poi saremo salvi"

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E poi saremo salvi
di Alessandra Carati
Mondadori, aprile 2021

pp. 271
€ 18,00 (cartaceo)
€ 9,99 (ebook)



 

Ogni cosa bella che accadeva presentava subito il conto: la mancanza di chi non c'era e l'incertezza del suo destino. (p. 75)
Un romanzo doloroso, straziante, struggente, ma assolutamente necessario. Troppo dolore è passato per quelle terre senza che ce ne volessimo far carico, troppo vicine a noi quelle popolazioni dilaniate, troppo poco tempo è passato da quegli anni di guerra che hanno portato l'orrore nel cuore di un'Europa che si sentiva al sicuro dopo le tremende guerre mondiali, certa che simili barbarie non sarebbero più accadute. Non di certo negli anni 90. Per questo l'Europa intera ha girato la testa, fingendo di non vedere, tappandosi occhi e orecchie di fronte al massacro dei Balcani. Tutte le popolazioni della ex Jugoslavia, negli anni tra il 1990 e il 1995, hanno riportato ferite di guerra, lutti, perdite, ma sicuramente il popolo più martoriato è stato quello bosniaco, vittima di un vero e proprio genocidio.
Il libro di Alessandra Carati, suo straordinario esordio nella narrativa, parte proprio da qua, da un villaggio nel cuore della Bosnia dove Aida, 6 anni, trascorre un'infanzia serena. Fino a quella tremenda notte che apre il romanzo, la notte che taglia in due la quotidianità, che spezza la vita, portandosene via la parte migliore, la notte nella quale seguiamo la piccola Aida in fuga insieme alla mamma Fatima, incinta, che arranca con il suo pancione. La meta agognata sono quei pullman scassati, che tante volte abbiamo visto in tv, stracarichi di donne e bambini che coraggiosi autisti cercano di portare in salvo presso il confine con l'Italia.
...mia madre mi aveva detto che non mancava molto, all'alba saremmo arrivati all'ultimo confine. "E poi saremo salvi". Così aveva detto, salvi. (p. 28)
Una parola, salvi. In realtà l'intero romanzo, intenso e profondo, si chiede se persone che hanno subito l'orrore possano mai dichiararsi per davvero salve. L'arrivare da qualche parte è sì una salvezza del corpo, non certo dell'anima, che rimane impigliata nella vita precedente. E se tiri, si lacera.
Il confine stesso traccia una linea insormontabile, chi sta di là vive nel terrore, chi passa di qua ne diventa atterrito e impotente spettatore. E, in realtà, anche chi si salva è perduto perché non riavrà mai più la sua vita, la sua casa, la sua identità. Sarà costretto a vagare, mal tollerato, per il mondo. Ed è una lezione che l'uomo non imparerà mai, che la guerra scoppi nei Balcani, nella Siria, in Sudan, ovunque nel mondo, i profughi porteranno sulla propria pelle e nella propria psiche i segni della sofferenza.
Dall'arrivo di Aida in Italia, dove fortunatamente il padre si trova già per lavoro, il racconto della Carati, che prende le mosse da storie vere, si trasforma in una lunga riflessione narrativa sul concetto di integrazione. La ragazzina si sforza quanto più possibile di adeguarsi alla nuova vita, studia, coltiva amicizie, si affida a una famiglia di volontari che la amano e la sostengono. Ma c'è poco da fare, la faglia che ha diviso la sua vita tra un prima e un dopo, è qualcosa con la quale dovrà fare i conti per l'eternità. È il dramma delle seconde generazioni di immigrati che hanno radici troppo deboli in un mondo che non li ha visti crescere, mentre l'ambiente nel quale sono costretti a vivere spesso è ostile, comunque difficile. Ci si mette anche il conflitto con i genitori, il cui cuore è rimasto nella terra d'origine, come per i genitori di Aida, che vivono per anni in Italia sentendosi solo di passaggio, raggranellando ogni euro per ricostruire la casa in Bosnia. Assistiamo così alla lenta costruzione, da parte della ragazzina bosniaca, della propria nuova vita, che sembra una fragile casetta di Lego, sempre sul punto di andare in pezzi perché i genitori vivono il desiderio della figlia di adeguarsi al mondo che la circonda con dolore, come un rifiuto delle origini a cui loro si sentono ancora legati, impossibilitati a capire che il bene dei figli passa per uno strappo.
Ibro, il fratellino di Aida, pur nato in Italia, vivrà su se stesso questa frattura insanabile e troverà (o per meglio dire subirà) un modo tutto suo di scappare da tanto dolore, rifugiandosi in un mondo a parte. L'ultima tranche del romanzo è dedicata a lui (forse troppo e troppo improvvisamente, determinando un po' di squilibrio nei pesi della narrazione). Ibro reagisce in modo completamente diverso da Aida, sarà incapace di costruire una casa di Lego, un ponte, una diga e la sua mente si lascerà travolgere dallo tsunami del dolore. Un'altra prova tremenda per Aida che non potrà far nulla per lui se non amarlo.
"E poi saremo salvi" è un'epopea familiare, un racconto di guerra, un romanzo di formazione, la tragedia di un popolo, una riflessione sulla guerra, sulle lacerazioni che produce anche a distanza di anni, sull'inevitabilità del dolore e al contempo lancia uno sguardo di speranza su chi, come Aida, decide che la vita ha un valore, anche se staccata dalla radice, e cerca di rimetterla in carreggiata, in qualche modo. Il libro è anche una presa di coscienza su ciò che è stato a pochi chilometri dalle nostre coste, non molti anni fa. Perché la guerra nella ex Jugoslavia è ancora purtroppo poco conosciuta (se non per i grandi avvenimenti, come l'eccidio di Srebrenica o l'assedio di Sarajevo): "tu non capisci perché non sei mai stato in Bosnia", dice il padre di Aida a un volontario italiano. "A Sarajevo su dieci famiglie nove sono miste. come si fa a separarle? Cosa sono i figli di un serbo e di una bosniaca? (...) Non si può dividere quello che è indivisibile" (p. 98). E questa frase racconta meglio di tante altre l'unicità di una terra come quella bosniaca dove una chiesa cattolica sorge a due passi dalla moschea e dalla chiesa ortodossa, dove la gente per salutarsi dice "mehraba", che tu possa vivere in pace. Come accadeva prima. Ora la Bosnia, purtroppo, anche a seguito di questi eventi, è diventata un punto di passaggio dell'integralismo musulmano. Così diversa da quando il canto del muezzin si mescolava al suono delle campane e la città non era costellata di croci bianche, sorte ovunque, anche nelle isole spartitraffico, perché durante l'assedio i morti andavano seppelliti e se si usciva dalle case i cecchini serbi accampati sul Monte Trebevic prendevano la mira e premevano il grilletto.
Per tutte queste ragioni "E poi saremo salvi" è un romanzo necessario, da leggere per capire dal di dentro tante vicende, per aprire il cuore. Un racconto duro, crudele, supportato da una scrittura nitida che non lascia spazio a fronzoli, ma che arriva diretta allo stomaco del lettore. Un libro incalzante che fa sì che il lettore diventi un tutt'uno con questi personaggi così plasticamente descritti da sembrare veri, dal padre Damir, roso dalla rabbia e sfiancato dal lavoro, alla madre Fatima, logorata dalla nostalgia e irruvidita dalla realtà; dai nonni rimasti in Bosnia, figure quasi perse nella mitologia eppure così presenti, al fratellino Ibro, incapace di far fronte alla vita. E per queste stesse ragioni il romanzo della Carati è già salito sul mio podio personale dei migliori libri del 2021. Oltre ad aver già vinto il premio Viareggio Rèpaci 2021 Opera Prima.

Sabrina Miglio