«Datemi una donna o m’ammazzo!»: come costruire un corpo e programmare una storia d’amore in “Eva futura”, di Villiers de l’Isle-Adam



Eva futura
di Villiers de l’Isle-Adam
Marsilio, aprile 2021

Traduzione di Chetro De Carolis; prefazione di Ivana Bartoletti

pp. 392
€ 20 (cartaceo)
€ 9,99 (ebook)





Due uomini in pelliccia siedono in un salotto signorile fumando sigari e bevendo Sherry. Parlano di storie d’amore. Il primo si chiama Thomas Alva Edison, geniale scienziato americano che, grazie ai suoi esperimenti condotti nel laboratorio di Menlo Park, è diventato un punto di riferimento mondiale per la scienza. La sua fama si deve ai finanziamenti concessi da lord Ewald, la seconda figura della scena, nobile inglese con un dilemma che attanaglia il suo cuore. È innamorato di un’attrice americana, Alicia Clary, fatua Venus Victrix tanto bella quanto incapace di amare. Il corto circuito tra estrema bellezza esterna e sterile pochezza interna ha costretto Ewald a una triste decisione: disperatamente bisognoso di essere amato, vuole ammazzarsi. Tuché.

Eva futura esce nel 1886. Il suo autore è Villiers de l’Isle-Adam, annoverato dalla critica francese tra gli scrittori più reazionari dell’epoca e i poètes maudits, e indicato come anticipatore della civiltà meccanicistica e americanista di oggi. E maudit e meccanicistica è, infatti, la trama del suo romanzo. Per salvare Ewald dal suicidio, Edison rassicura l’amico di avere una soluzione per tutti i suoi mali. Azionando leve segrete e collegando cavi nascosti, lo scienziato lo conduce nel suo laboratorio sotterraneo in cui, grazie alle sue arti scientifiche legate all’elettricità (che sconfinano paradossalmente anche nel magico), ha creato un giardino dell’Eden artificiale con fiori fosforescenti, erba sintetica, piante cresciute in laboratorio e uno stormo di uccelli meccanici dalle inquietanti voci umane che fanno compagnia alla figura che “regna” in questo mondo underground. Si tratta di Hadaly, un’Eva artificiale, una “andreide” fatta di ossa d’acciaio, cavi elettrici, sangue posticcio al mercurio e carne sviluppata in vitro. Edison ha già installato in lei l’intelligenza, la sensibilità e l’arguzia, tanto che Ewald stenta a credere che Hadaly non sia umana. A tradirla sono le sue fattezze non compiute di robot, nascoste dietro un funereo velo nero che la ricopre dalla testa ai piedi. L’idea di Edison è quella di ricalcare il corpo dell’attrice americana su quello di Hadaly. Il risultato? Una nuova Alicia Clary, che sia capace di amare Ewald come lui vuole essere amato. A questa narrazione si aggiunge una storia nella storia riguardo le vicende di Edward Anderson, amico di Edison, che risulta essere funzionale alla comparsa di Sowana, assistente di Edison e terza figura femminile del romanzo, altrettanto misteriosa e di cui non sveliamo ulteriori dettagli per non rovinare la suspense della trama di Villiers.

Pubblicato nel vivo dell’epoca decadente, il romanzo si distacca dalla produzione precedente di Villiers dei Racconti crudeli - ancora legati agli influssi post-romantici - e sembra anticipare moltissimi temi distopici e fantascientifici. Questo perché Eva futura esce in un momento di grande fermento culturale stimolato dalla seconda rivoluzione industriale, dalla scoperta dell’elettricità, dal positivismo scientifico e dal dirompente potere della tecnologia di quegli anni. In questo contesto tecnologico, Villiers crea infatti il neologismo “andreide”, ovvero il femminile di “androide”. L’eccentricità del romanzo lo porta ad avere diverse fortunate traduzioni in italiano, una delle quali coinvolge addirittura Giorgio Agamben in veste di traduttore di un saggio di Mallarmé in apertura all’edizione Bompiani del ’64. Oggi Eva futura torna in libreria per Marsilio, con una traduzione curata nei minimi dettagli da Chetro De Carolis.

Non secondo per fama ai Racconti crudeli, Eva futura rappresenta l’apice della creazione artistica di Villiers, lasciando da parte i fronzoli tardo-romantici per dare vita ad una narrazione più snella e che si arricchisce di un lessico tecnico-scientifico che lascia di stucco il lettore. Il romanzo si apre ad un gotico “scientifico” che crea inquietanti visioni ipertecnologiche e psicologicamente perturbanti che, probabilmente, ricordavano ai lettori di un tempo la letteratura di Poe e Hoffmann, mentre il pubblico di oggi le assocerà più facilmente all’immaginario dark di Tim Burton e ai mostri inquietanti che fuoriescono dalle pellicole di Guillermo del Toro.

Una narrazione cupa quanto il suo protagonista Thomas Edison, il quale si macchia di una hybris quasi postmoderna, tendente a una schizofrenica venerazione per il “potere” della scienza, ritenuta capace di creare un corpo e una mente da zero. È proprio la follia del personaggio che ci fa capire che Villiers mette in atto una satira corrosiva contro il mondo della scienza e prende le distanze da Edison attraverso una comicità nera e una caricatura feroce del progresso scientifico. Nonostante l’implicita critica a questo mondo, Villiers ne è contraddittoriamente affascinato, generando nello scrittore una forza visionaria sorprendente. L’andreide Hadaly sembra uscire da grandi film quali Metropolis e Blade Runner, anticipando addirittura la figurazione femminista del cyborg proposta da Donna J. Haraway in Manifesto cyborg. Anche se di femminista questo testo ha ben poco, come sottolinea la prefatrice del volume. Ivana Bartoletti invita il lettore ad interrogarsi sulla supposta “neutralità” degli artefatti tecnologici. Anche se creati con un apparente scopo benefico, il software, la macchina, l’algoritmo, l’intelligenza artificiale, il robot e il cyborg corrono il rischio di rispecchiare unicamente i desideri e le necessità di chi li ha ideati, riproponendo quelle relazioni asimmetriche – quali il razzismo e il sessismo – dalle quali la tecnologia sembrava invece voler liberarci. È in parte quello che accade in Eva futura, in cui viene creata una vita femminile artificiale per soddisfare i sogni frustrati di due uomini. Ciò non significa che Hadaly sia un personaggio piatto o privo di personalità. Al contrario e diversamente da altre figure femminili “artificiali” dell’epoca, Hadaly è caratterizzata da un’umanità sorprendente: sente, si emoziona, e ama Ewald persino meglio di come lui desiderava essere amato, ma è costantemente pervasa da una vena di malinconia, cosciente del suo eterno statuto ontologico di artificialità. Ciò nonostante, il suo corpo appartiene alla genealogia del mondo maschile, il quale lo smonta, lo rimonta, lo smembra, lo scambia e lo rivende per assecondare le sue necessità. Di fatto, il corpo artificiale di Hadaly viene reinserito nell’economia consumistica della società patriarcale ed eterosessuale di cui i corpi femminili sono vittime.

Eva futura è un romanzo di denuncia e contraddittorio, corrosivo e divertente, leggero e impegnato. È l’ambivalenza stessa che Villiers prova per l’unione di carne e macchina a confondere il lettore, ora affascinato dai miracoli che la tecnologia può compiere (ancora più sorprendenti se proposti da uno scrittore di fine Ottocento), ora disturbato dall’ossessione di manipolazione e controllo che Edison e Ewald esercitano sul corpo di Hadaly. La potenza del romanzo si genera proprio da questa ambiguità che lascia uno spazio di riflessione al lettore. Di pari passo alla costruzione di un corpo automatizzato deve svilupparsi un’etica che insegni a definire i limiti delle macchine e del loro potenziale sfruttamento, con lo scopo di mostrare che «la tecnologia, per essere liberatrice, deve liberarsi di ciò che la rende oppressione» (p. 11). Il rischio che Villiers corre in questo romanzo è di trasformare Hadaly in una potenziale bambola del sesso nelle grinfie di uomini soli e tristi, opzione già ampiamente esplorata da Jeanette Winterson in Frankissstein. Una storia d’amore. Che l’esito finale venga valutato dallo spirito critico dei lettori.

Nicola Biasio