Tra favola e thriller, tra bene e male: la riscoperta di Rohan O'Grady e del suo avanguardistico "Uccidiamo lo zio"



Uccidiamo lo zio
di Rohan O'Grady
WoM Edizioni, giugno 2021 

Traduzione di Matteo Pinna

pp. 324 
€ 21,50 (cartaceo)

 



Ha proprio ragione chi sostiene che l’unico modo che una casa editrice ha per stabilire la propria personalità è tramite i libri, come fossero i mattoncini di una casa, i pezzi di un puzzle. Se infatti lo scopo di WoM Edizioni è riportare alla luce non solo testi dimenticati, ma anche modalità diverse di divertirci, commuoverci e farci intrattenere tramite la parola scritta, Rohan O’Grady è senza dubbio l’autrice perfetta per rappresentare questo intento.

Scrittrice canadese che solo negli anni ’60 decise di rivelare al mondo i quattro romanzi che aveva scritto e che teneva in un cassetto, raggiunse la fama proprio con Uccidiamo lo zio ("Let’s Kill Uncle"), pubblicato nel 1963; ma il successo del libro, anche trasportato sul grande schermo, non riuscì subito a consacrarne il nome. Eppure, cinquant’anni dopo, il mondo anglofono riscoprì e ristampò questo romanzo, riconoscendo in esso proprio quella capacità di distaccarsi dalle modalità e dai personaggi classici del genere gotico, ma anche del giallo, o dell’horror, o ancora del romanzo per ragazzi, e perfino del romanzo satirico, per cercare piuttosto un modo nuovo di approcciarsi ai generi letterari e, in ultima istanza, di avvincere a sé i lettori di ogni età.

Lo scopo di ogni autore, si sa, è stupire, affascinare, avvincere; e il mondo creato da Rohan O’Grady risponde perfettamente a questa esigenza. I protagonisti sono Barnaby e Christie, due bambini pestiferi che, dovendo trascorrere l’estate insieme su un’isola, si ritroveranno a dover evitare il piano malefico dello zio di Barnaby di uccidere suo nipote per avere la sua eredità… E qual miglior modo di farlo che batterlo sul tempo, pianificando l’omicidio dello zio? Ritagliando la narrazione nei due mesi delle vacanze estive e concentrandola su quest’idilliaca isola canadese senza nome, abitata da una manciata di personaggi tanto diversi tra loro quanto ugualmente adorabili, la O’Grady riesce a creare un mondo fittizio, quasi favoleggiante, staccato dalla realtà come la conosciamo ma ad essa collegato; perfetto per rompere con le dinamiche di bontà e cattiveria, di bene e male, di normale e anormale che sembravano ingabbiare la narrativa degli anni ’50 e ’60, per aprire le porte alle sfumature, a una letteratura che non vuole, non deve essere edificante – riecheggiando e anticipando la posizione ormai storicamente presa da Vladimir Nabokov nel 1957 in “A proposito di un libro intitolato Lolita”, dunque solo sei anni prima della pubblicazione del libro, ma diversi anni dopo la prima scrittura di Uccidiamo lo zio.

In questo, l’intento di ampliare lo spettro delle narrazioni possibili richiama molto anche quello della casa editrice, che, lungi dal limitarsi solo al testo letterario, volgono in narrazione perfino le specifiche tecniche del libro, e, per quanto riguarda Uccidiamo lo zio, hanno perfino ideato un vero e proprio quotidiano che, con articoli e rubriche, fa esplodere il mondo di O'Grady in una miriade di frammenti multicolore, fornendo approfondimenti e spiegazioni riguardo la storia convoluta del romanzo, della sua autrice, della trasposizione cinematografica e dei personaggi.

E sono forse proprio i personaggi l’elemento che più spicca nel “palco” ideato dalla Grady con il suo elegantemente azzeccatissimo world-building. Sono proprio i personaggi a sfuggire da ogni classificazione di bene e male, puntando piuttosto a distruggere queste due categorie: se i pestiferi protagonisti impareranno nel corso delle loro prime settimane sull’isola a smettere di fare marachelle e dispetti e a comportarsi bene, è anche vero che saranno proprio i rinnovati Barnaby e Christie a organizzare con un indicibile sangue freddo l’omicidio del malvagio maggiore Marchison-Gaunt, zio di Barnaby. Mentre il romanzo scivola con tensione crescente verso il finale, sullo sfondo degli angelici isolani che avevano popolato e colorato la prima parte del romanzo iniziano a stagliarsi sempre più figure che pian piano dovranno rimettere in discussione la propria etica e le proprie motivazioni, dal prestante sergente Coulter, poliziotto dell’isola, per arrivare perfino al puma Un-Orecchio, distruggendo il ritratto dell'eroe canonico e aprendo la porta, forse, a un'eroismo più umano, più tridimensionale. Apparentemente, la vita sull’isola continuerà intoccata… Ma alla chiusa del romanzo è ormai chiaro che all’interno dei personaggi qualcosa è cambiato profondamente, che il confine iniziale tra il bene e il male è stato un po' sbiadito. O forse, non è mai esistito davvero.

Marta Olivi